“Questo governo andrà a cercare gli scafisti su tutto il globo terracqueo”, ha detto la presidente del consiglio Giorgia Meloni parlando in una conferenza stampa a Cutro il 9 marzo. Si era appena concluso il consiglio dei ministri convocato nella cittadina calabrese, dove il 26 febbraio sono morte almeno 79 persone in un naufragio avvenuto a cinquanta metri dalla spiaggia. Durante la visita, Meloni non è andata né al PalaMilone, il palazzetto dello sport dove è stata allestita la camera ardente per le vittime, né sulla spiaggia in cui è avvenuta la tragedia e non ha incontrato i parenti delle vittime.

Nel corso della seduta del 9 marzo il governo ha approvato un nuovo decreto sull’immigrazione che prevede diverse misure, in particolare contro gli scafisti, ma non solo.

Cosa prevede il decreto

Il decreto prevede pene più severe per i cosiddetti scafisti (cioè chi è identificato come conducente dell’imbarcazione) e introduce il nuovo reato di “morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, con pene da dieci a vent’anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da venti a trent’anni per la morte di più persone.

Velocizza l’esecuzione dei decreti di espulsione.

Si modifica la protezione speciale, il permesso di soggiorno per motivi umanitari introdotto nel 2020 dal decreto della ministra Luciana Lamorgese che modificava a sua volta il decreto sicurezza di Salvini del 2018. Si tratta di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in cui viene valutato il grado di integrazione della persona.

Infine si introducono norme per gestire i centri di accoglienza e gli hotspot secondo princìpi di emergenza. In particolare, è previsto di “derogare al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure” quando si tratta di aprire o ampliare i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

Il pacchetto prevede inoltre che il decreto flussi – la concessione di permessi di soggiorno per motivi di lavoro secondo un sistema di quote introdotto in Italia nel 1998 – sia pianificato su un arco di tempo di tre anni e non sia stabilito invece ogni anno. Infine “i rinnovi del permesso di soggiorno rilasciato per lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo o per ricongiungimento familiare avranno durata massima di tre anni, anziché due come oggi”.

Le critiche degli esperti

“Centinaia di persone sono attualmente detenute nelle carceri italiane per aver condotto le imbarcazioni e scontano pene spesso altissime, che già raggiungono i trent’anni”, dice Sara Taylor, attivista dell’associazione Arci Porco rosso di Palermo, tra gli autori del rapporto “Dal mare al carcere”. “Questo accanimento e spettacolarizzazione della punizione dello scafista è quindi ridondante, ma anche preoccupante, perché continua a legittimare e coprire la responsabilità del governo italiano per queste morti”, afferma, ricordando che spesso i cosiddetti scafisti sono a loro volta migranti a cui viene affidata la guida dell’imbarcazione in cambio di uno sconto sul viaggio, quando non sono costretti con la forza.

Per Camillo Ripamonti del Centro Astalli, “a Cutro abbiamo assistito alla presentazione di una serie di proposte senza regia, che raccontano il volto di una politica priva di una visione d’insieme sul tema migratorio”.

“Inasprire le pene, parlare indistintamente di trafficanti e scafisti, aumentare i centri per il rimpatrio, restringere il permesso di soggiorno per casi speciali, rimodulare i decreti flussi sono misure disorganiche, inadeguate per gestire un fenomeno complesso che richiede una riforma strutturale che metta al centro vita e dignità delle persone”, continua Ripamonti.

Intanto il 9 marzo quaranta associazioni hanno presentato un esposto collettivo alla procura per chiedere di fare luce sul naufragio del 26 febbraio. “Davanti a così tanti morti e chissà quanti dispersi, è doveroso fare chiarezza”, dichiarano le organizzazioni. Per Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, “è davvero vergognoso che il governo non abbia portato la sua solidarietà ai parenti delle vittime e non abbia omaggiato i morti”.

Per Miraglia “il governo avrebbe dovuto fare un intervento per istituire una missione di ricerca e salvataggio, perché è di questo che c’è bisogno”.

Ma la vera preoccupazione del responsabile dell’Arci è che modificare la protezione speciale possa aumentare il numero di migranti irregolari nel paese, come era avvenuto nel biennio 2018-2019 con il decreto sicurezza. “Nei due anni in cui è stato in vigore il decreto Salvini, abbiamo avuto un aumento considerevole dei migranti irregolari, che hanno perso il permesso di soggiorno anche quando avevano un lavoro ed erano integrati, perché è su questo che si basava la protezione umanitaria e si basa oggi la protezione speciale”.

Per Miraglia, la conseguenza di questa misura “è che le persone semplicemente saranno rimandate nell’irregolarità. Ma se uno ha un lavoro e può ottenere un permesso di soggiorno, perché negarglielo?”, conclude Miraglia.

Per Gianfranco Schiavone dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), questo decreto denuncia una grave carenza nella conoscenza del fenomeno migratorio: “Per quanto riguarda il decreto flussi, non è presente nessuna novità. Il decreto flussi c’è già dal 1998, il governo lo ha appena usato un mese fa e per quanto riguarda la programmazione triennale, non c’è nessuna novità”, continua Schiavone.

L’esperto dell’Asgi è preoccupato invece per la deroga prevista nel caso dei centri per il rimpatrio: “Cosa vuol dire ‘in deroga a qualsiasi altra normativa’ per costruire centri per il rimpatrio? Permettere l’apertura di centri non idonei? Significa aprire centri che non hanno requisiti igienico-sanitari? Non capisco perché si vuole derogare al codice dei contratti pubblici”, conclude Schiavone, che esprime perplessità anche sulle modifiche previste alla protezione speciale: “È uno dei permessi di soggiorno che ha funzionato meglio in questi anni anche perché viene concesso valutando il radicamento della persone, dove sta il problema?”.

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