“Se tagli la lingua che ha mentito
e la mano che ha rubato,
in pochi giorni ti ritroverai maestro
di un piccolo popolo di muti e di monchi”.
Fernand Deligny, Seme di canaglia

I ragazzi non si occupano molto di carcere, ma il carcere si occupa molto di loro. E lo fa fin dalla sua nascita. Nel sedicesimo secolo, quando in Inghilterra furono aperte le house of correction, case di correzione a cui si sarebbero ispirate le prigioni moderne, furono bambini e adolescenti poveri a esservi rinchiusi per primi, insieme a ladri, prostitute e vagabondi. L’idea era di “correggerli” con il lavoro e la disciplina. Nel diciassettesimo secolo nella cosiddetta casa dei monellini di San Filippo Neri a Firenze, i ragazzi con l’unica colpa di essere nati poveri o irrequieti finivano in celle singole e tenuti in isolamento giorno e notte. Con il decreto approvato il 7 settembre Giorgia Meloni e il suo governo ci riportano allo splendore di quei supplizi, come li chiamava Michel Foucault, ovvero al buio della galera per i minorenni.

Il testo prevede la custodia cautelare, cioè il carcere mentre si è ancora in attesa del processo o della sentenza, per reati puniti con pene di sei anni, e non più nove, come in precedenza. Il daspo urbano, cioè l’allontanamento obbligatorio da una città, potrà essere applicato anche a chi ha quattordici anni, mentre prima non era possibile sotto i diciotto. L’età per ricevere un avviso orale del questore, una sorta di ammonimento a comportarsi bene – pena il carcere da uno a tre anni – si abbassa dai quattordici ai dodici anni, e basterà essere coinvolti in risse, liti o minacce. I genitori che non fanno rispettare l’obbligo scolastico ai figli rischiano pene fino a due anni, al posto della multa di trenta euro prevista oggi. Il divieto di usare lo smartphone o altri strumenti per collegarsi a internet applicato a chi è stato raggiunto dall’avviso orale o è stato condannato per alcuni reati è l’ultimo dei problemi di questo decreto.

Di fatto Giorgia Meloni e il ministro della giustizia Carlo Nordio ignorano più di trent’anni di sperimentazioni, riflessioni e passi avanti della giustizia minorile. In Italia un tribunale per minorenni fu istituito nel 1934, ma solo nel 1988 si approvò un codice di procedura penale minorile per evitare il più possibile di mandare in cella ragazze e ragazzi non ancora maggiorenni.

Fu una svolta storica. Il testo accolse le spinte contro l’incarcerazione degli anni precedenti e stabilì che la galera doveva essere l’ultimo dei posti in cui rinchiudere gli adolescenti. Per chi avesse commesso un reato prima dei diciotto anni si immaginavano percorsi da compiere più fuori che dentro una cella. Nel tempo è stato incoraggiato l’uso dei domiciliari, delle semilibertà per andare a scuola o a lavoro, e si è arrivati perfino a sospendere il processo attraverso la messa alla prova, che in cambio prevede l’impegno in un lavoro socialmente utile o nel volontariato, un percorso di mediazione con le vittime se loro sono d’accordo oppure il risarcimento dei danni causati.

Le comunità hanno assunto un ruolo centrale in questo nuovo schema, ospitando adolescenti e aiutandoli a continuare gli studi, a trovare un impiego, a formarsi attraverso dei laboratori, a fare i conti con i propri errori con il sostegno di psicologhe, educatrici ed educatori.

È un modello che ha mille storture ma che al suo meglio funziona, ricordando la lezione del pedagogista Daniele Novara: per educare bambine, bambini e ragazzi punire non serve a nulla. Da anni il numero dei minorenni in carcere è abbastanza contenuto. Oggi sono 380: il “2,7 per cento del totale dei ragazzi in carico ai servizi della giustizia minorile”, scrive l’associazione Antigone. I tassi di recidiva sono bassi e perfino per delitti gravi come l’omicidio si immaginano alternative alla detenzione.

Il carcere è un congegno fatto di cemento, ferro e violenza, creato per annichilire il tempo. Nei racconti di chi ci è stato arriva sempre un momento in cui il tempo si trasforma in una sostanza in grado di saturare l’aria fino a renderla irrespirabile. Il tentativo della giustizia minorile è quello di conservare dell’ossigeno per i polmoni delle ragazze e dei ragazzi che finiscono dentro. Il decreto del governo vuole lasciarli soffocare.

Leggi anche

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it