Anni fa, durante le passeggiate mano nella mano con le mie due figlie, quando ci trovavamo davanti a un ostacolo come un lampione ci staccavamo per aggirarlo e giocavamo a nominare coppie di opposti: “Caldo e freddo!”, “Giorno e notte!”. Un giorno, la maggiore esclamò: “Amore e odio!”. Le spiegai che amore e odio non sono veri opposti, poiché entrambi sono sentimenti passionali. Il vero opposto dell’amore, le dissi, è l’indifferenza. Capì immediatamente e, al successivo ostacolo, gridò: “Amore e indifferenza!”.

Allo stesso modo, il contrario della noia non è l’eccitazione, ma la calma. La noia è uno stato d’animo inquieto, spesso accompagnato dall’insoddisfazione. Pensate a quante volte vi sentite disinteressati senza essere davvero annoiati. Il monotono viaggio in auto da Chicago attraverso i campi di grano del Midwest fino al college nel New England che frequentavo, non mi ha mai annoiato. Al contrario, era un terreno fertile per sognare a occhi aperti. Quando l’immaginazione è libera di vagare, ci si può perdere nelle fantasie. Ma quando ci si annoia, non si riesce a sognare. Non si riesce nemmeno a pensare.

Il contrario della noia non è l’eccitazione, ma la calma. La noia è uno stato d’animo inquieto, spesso accompagnato dall’insoddisfazione

“Non riesco mai a sentire cosa dicono le persone che mi annoiano”, osserva lo scrittore Édouard Levé. Questa frase cattura l’essenza della noia: il suo obiettivo psicologico è escludere le cose ma, paradossalmente, siamo soprattutto noi stessi a essere esclusi. La noia è il sintomo di un processo inconscio, un ammutolimento interiore che lascia la mente consapevole con un senso di vuoto e un desiderio profondo di colmare ciò che manca.

Da una prospettiva psicoanalitica, la noia non è tanto una reazione al mondo esterno, quanto una difesa contro qualcosa che nasce dentro di noi: un impulso o un desiderio tabù – spesso di natura sessuale o aggressiva – che evoca sensi di colpa, ansia o paura della punizione. La noia serve a evitare queste emozioni negative bloccando i pensieri che potrebbero condurre ai desideri proibiti che le scatenano. “L’inibizione della fantasia”, scrive lo psicoanalista Martin Wangh, “avviene spesso a causa del timore inconscio che la fantasia possa portare ad azioni di natura libidica o aggressiva – un impulso a masturbarsi o a colpire – che a loro volta provocherebbero pericolo o dolore”.

Da bambini impariamo a usare le parole e a fare attenzione a ciò che diciamo. Poi cominciamo a controllare ciò che pensiamo e sentiamo. Pensieri e sentimenti viaggiano insieme. Un modo per liberarsi di un sentimento opprimente, come l’ansia o il senso di colpa, è reprimere il pensiero a cui è legato. Ma anche dopo che il desiderio o l’impulso è stato soppresso, e con esso la sensazione negativa, la spinta verso la gratificazione persiste. Una persona annoiata si trova quindi con la sensazione di desiderare o di essere infastidita da qualcosa, ma, poiché il suo obiettivo è stato soppresso, non sa cosa sia.

Ricordo una sensazione d’immenso terrore in un buio pomeriggio domenicale della mia infanzia. Mi rivolsi a mia madre, che stava leggendo sul divano, cercando aiuto. “Sento che qualcosa non va”, le dissi, “ma non so cos’è”. “Dovresti leggere”, rispose, abbassando il libro senza chiuderlo. “Esci dalla tua testa”. Per mia madre, il mio disagio era un sintomo di noia, qualcosa da affrontare con un’attività. Ma in concreto finì per insegnarmi ad assecondare il tipo di repressione che la noia tende a favorire: rispondere alla mia inquietudine con la distrazione.

L’infanzia è il periodo in cui la noia raggiunge il suo picco, poiché ai bambini impediamo di provare molte emozioni. “La vita, amici, è noiosa”, scrive John Berryman in Dream song 14, la sua poesia sull’argomento, ma “non dobbiamo dirlo”. Il poeta ricorda sua madre che gli diceva: “Confessare di essere annoiato / significa che non hai / risorse interiori”. I genitori spesso rispondono nello stesso modo ai lamenti dei figli: “Non è vero che ti annoi, sei solo noioso”. Un genitore che non riesce ad aiutare il figlio a sviluppare risorse interiori si difenderà dalla frustrazione e dall’impotenza proiettando la propria noia sul bambino. Forse ciò che irrita tanto i genitori nella noia dei loro figli è che esprime un bisogno amorfo: i bambini vogliono essere aiutati a trovare qualcosa, ma non sanno cosa.

La noia esprime la tensione tra una paura, un desiderio o un impulso represso e il desiderio residuo che galleggia nella coscienza, cercando di attaccarsi a qualcosa. È sempre più facile proiettare questa ricerca all’esterno piuttosto che guardare dentro di sé. Ma è una ricerca destinata a fallire. “La persona che si annoia”, scrive lo psicoanalista Otto Fenichel, “può essere paragonata a qualcuno che ha dimenticato un nome e lo chiede agli altri”.

Spesso pensiamo all’oblio come a qualcosa di negativo, ma per Søren Kierkegaard “la resilienza di una persona si misura dalla sua capacità di dimenticare”. Lo stesso si potrebbe dire della facoltà di rimuovere. La rimozione è un meccanismo di difesa che ci permette di reprimere pensieri troppo incontenibili per la coscienza. Ci libera per essere funzionali, per fare ciò che ci si aspetta da noi, per dare agli altri ciò che vogliono. Ci allineiamo all’ordine sociale, anche se questo significa spegnere le nostre emozioni.

“La natura difensiva della noia”, scrive lo psicoanalista Charles Brenner, “si osserva quando un paziente annoiato cerca inconsciamente di convincersi che non vuole appagare i desideri istintuali che lo spaventano, anzi, non ha alcun desiderio di fare nulla”. Ma questa difesa, come altre, funziona solo fino a un certo punto. “Quando diciamo di scrivere qualcosa nel libro dell’oblio”, continua Kierkegaard, “in realtà stiamo indicando che ciò sarà dimenticato e allo stesso tempo conservato”. La natura psicologica della noia dev’essere compresa ed elaborata per poterla alleviare.

La noia che non è risolta internamente spinge la persona annoiata a cercare compulsivamente sollievo al di fuori di sé. Questo spesso si manifesta con un’iperattività che gli psicoanalisti definiscono “difesa maniacale”: controllare continuamente i social media o le app di appuntamenti, abusare di sostanze, socializzare di continuo. Tutte azioni che sopprimono le emozioni negative che altrimenti potrebbero emergere nella consapevolezza.

È importante notare che gli psicoanalisti che ho citato scrivevano prima dell’invenzione dell’iPhone, che ormai è lo strumento fondamentale per gestire la noia. Non riesco a contare le sedute in cui ho ascoltato qualcuno descrivere l’infelicità provata dopo ore passate a scorrere i social media, un’infelicità che, si scopre sempre, viene cercata perché preferibile a qualche altro pensiero ancora più infelice che risulta così allontanato.

Alla base della noia c’è un bisogno impossibile da soddisfare perché la persona annoiata cerca sempre nel posto sbagliato. I sostituti nel mondo esterno – troppo lontani dal desiderio reale o troppo vicini, al punto da provocare ansia – non solo non sono adeguati, ma possono suscitare sentimenti d’insoddisfazione, frustrazione e rabbia. Fastidio, rabbia e cattivo odore sono le radici etimologiche di ennui, la parola francese per noia. La noia è un’emozione maleodorante, molto più stratificata di quanto pensiamo.

Tutti i mercoledì pomeriggio, durante la mia formazione da psicoanalista, incontravo il mio supervisore nel suo ufficio. Dopo i convenevoli di rito, tiravo fuori il mio taccuino per discutere delle sedute che avevo condotto quella settimana. Ogni volta che parlavo di una paziente in particolare, cominciavo a sbadigliare. Non succedeva una o due volte, ma quasi di continuo. Non ero assonnata o disinteressata. Se cambiavamo argomento, anche solo per discutere del motivo dei miei sbadigli, smettevo.

Un giorno, la paziente che induceva quei miei sbadigli entrò nel mio studio, si sedette sul divano e disse: “Devo dirle una cosa”. Il cuore mi batteva forte. Mi aspettavo uno sfogo ostile. Invece, mi comunicò una notizia neutra: aveva in programma un viaggio e avrebbe perso la prossima seduta. La mia reazione fisica mi permise di capire cosa stava accadendo. Da mesi percepivo forti sentimenti negativi che la paziente non esprimeva a parole, ma che erano comunque presenti. E una parte di me ne era consapevole.

Beatrice Bandiera

La mia risposta fu un esempio di “contro­transfert”, la reazione emotiva che un analista sperimenta quando le sue associazioni passate sono proiettate sul materiale presentato da un paziente, proprio come le associazioni e aspettative del passato del paziente possono essere trasferite sull’analista nel transfert. A volte il controtransfert può essere inesatto: dopotutto un analista è un essere umano. Ma altre volte può servire come strumento utile per cogliere la comunicazione inconscia, che coinvolge corpo e intelletto. So cosa si prova quando qualcuno ti esplode contro. Quando, a livello istintivo, ricevetti segnali simili dalla paziente, anticipai il pericolo.

La rabbia della paziente era comunicata inconsciamente, ma a quel punto della mia carriera non sapevo ancora come gestirla. Quel momento di ansia improvvisa mi permise di riconoscere che sbadigliare era stato il mio modo inconsapevole di portare nella discussione la rabbia e l’ansia che provocava. Non appena comprendemmo cosa stava accadendo e affrontammo i sentimenti nascosti, miei e della paziente, gli sbadigli finirono.

Lo sbadiglio è uno dei tanti dispositivi psicologici che usiamo per modulare sentimenti destabilizzanti e, come la noia, è più complesso di quanto sembri. Una mia amica notò che suo marito sbadigliava prima di dire una bugia; il pattinatore Apolo Ohno, campione di short track, era famoso per sbadigliare prima di ogni gara; i paracadutisti spesso sbadigliano prima di un salto; i cani a volte sbadigliano per evitare un combattimento. Lo sbadiglio è all’estremità di uno spettro di difese che la mente usa contro emozioni intense. La noia si posiziona a metà, mentre lo svenimento è all’estremo opposto. Al livello fisiologico, lo svenimento può verificarsi in risposta a un’emozione scatenante, come l’ansia, che causa una sincope vaso­vagale: la frequenza cardiaca rallenta e i vasi sanguigni si dilatano, riducendo l’afflusso di sangue al cervello. L’eccesso di sbadigli è una manifestazione meno grave. Mentre lo sbadiglio fa da balsamo emotivo, lo svenimento offre una via di fuga nell’incoscienza.

Quando avevo quindici anni, lavoravo come cameriera in un ristorante di quartiere il cui proprietario era incline a sfuriate rabbiose. L’emozione dominante tra il personale era la paura. Una sera, dopo alcune settimane di lavoro, il proprietario mi chiamò nel suo ufficio, che era dietro la cucina, e mi urlò contro. Non ricordo cosa avessi fatto o cosa avesse detto, ma ricordo di essermi sentita sopraffatta. Appena uscita dal suo ufficio e tornata in cucina, svenni, rovesciando una cassetta di fragole.

La marmellata che feci svenendo non fu l’incidente più drammatico dell’estate. Qualche settimana dopo, qualcuno fece i suoi bisogni nelle mutande, le gettò nel water e tirò lo sciacquone, causando un intasamento e il traboccamento dell’acqua. Se dovessi fare un film sulla mia esperienza lavorativa in quel ristorante, il bagno che trabocca rappresenterebbe tutta la frustrazione accumulata dai dipendenti a causa del trattamento ricevuto dal proprietario, che alla fine era esplosa in modo concreto.

Nel regno animale, le secrezioni anali sono usate per scopi difensivi o aggressivi, come nel caso delle puzzole. Anche nel linguaggio comune, descriviamo un attacco emotivo come “cacare addosso” a qualcuno. La noia, però, è una forma di evacuazione interna: chi è annoiato tiene dentro i suoi impulsi, implodendo invece di esplodere.

Freud ci dice che, una volta represso qualcosa, questo non rimane semplicemente nell’inconscio come “un essere vivente che viene ucciso e da quel momento rimane morto”. In realtà, il represso esercita una pressione costante verso la consapevolezza, che dev’essere contrastata da una pressione altrettanto incessante. È come cercare di tenere un pallone da spiaggia sott’acqua: riesci a farlo solo per un po’ prima che salti fuori in una direzione imprevedibile.

La noia può essere un segnale che se questi impulsi repressi trovassero una via di fuga potrebbero esplodere. In casi estremi, la noia non alleviata può sfociare in comportamenti autodistruttivi o dannosi per gli altri. Esistono numerosi esempi di persone che si comportano in modo distruttivo – assumendo comportamenti rischiosi, appiccando incendi, commettendo omicidi – citando proprio l’ennui come causa. “Niente indica che una società sia pronta per un movimento di massa meglio della prevalenza di una noia non alleviata”, avverte il filosofo Eric Hoffer.

La noia di per sé non è pericolosa, ma ciò che si nasconde sotto di essa può esserlo. Chi si annoia porta con sé desideri e impulsi forti che devono essere interpretati. Per un vero sollievo, è necessario andare alla radice della noia, portando alla coscienza ciò che è represso. Una volta che si esamina ciò che si nasconde dietro la noia, si può spesso scoprire che si tratta di speranza. Alla fine, la delusione nasce solo quando si è interessati a qualcosa.

In una recente seduta psicoanalitica, mi sono sentita stanca. Oggi sono un’analista esperta, e ho riconosciuto che la mia sonnolenza non era una mancanza di interesse, ma la risposta a una comunicazione inconscia del paziente. Chiudevo gli occhi per evitare di affrontare un pensiero o una sensazione che lui non voleva che vedessi. Gli ho spiegato ciò che pensavo stesse succedendo: “Invece di assecondare il desiderio di evitare ciò di cui non vuoi parlare”, gli ho detto, “ti chiederò di entrare in contatto con te stesso e vedere se riesci a identificare ciò che ti sembra troppo grande per essere portato alla coscienza”.

Ha risposto: “Sento che non sto vivendo la vita che vorrei”.

Analogamente, una persona annoiata vuole di più dal presente e dalla vita, ma spesso lo fa in maniere che sfidano le aspettative comuni. Come per l’invidia, che è più facile da affrontare se ci si concentra sul desiderio che la alimenta invece che sull’impulso distruttivo – “Dimmi cosa vuoi distruggere”, scrive lo psicoanalista Adam Phillips, “e ti dirò cosa desideri” – la noia segnala lo spazio in cui è sepolta la speranza. Quando ci si annoia, non si può sognare, e senza sogni è difficile pensare al futuro. Esplorando la nostra noia, possiamo scoprire cosa desideriamo veramente e cosa vogliamo cambiare. ◆ svb

Nuar Alsadir è una poeta e psicoanalista statunitense. Questo articolo è uscito sul giornale letterario britannico Granta con il titolo On boredom.

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Questo articolo è uscito sul numero 1597 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati