Verso la fine della terza elementare, le mie due figlie gemelle Ariel e Natasha sono entrate ufficialmente nell’organizzazione dei Giovani pionieri, patrocinata dal Partito comunista cinese e formata da bambini tra i sei e i quattordici anni. Per diventare un giovane pioniere alla scuola primaria sperimentale di Chengdu, l’istituto pubblico frequentato dalle mie figlie nel sudovest della Cina, non erano previsti né un modulo d’iscrizione né un colloquio né una cerimonia. I genitori non venivano consultati né informati. Semplicemente, un pomeriggio le gemelle sono tornate con una spilla dei Giovani pionieri appuntata sul bavero destro. Sopra c’erano una stella d’oro, una torcia rossa e il nome dell’organizzazione – Zhongguo Shaoxiandui – scritto in caratteri cinesi dorati. Ariel e Natasha hanno detto a me e a mia moglie Leslie che da quel momento in poi avrebbero dovuto indossare la spilla tutti i lunedì, quando a scuola c’era la cerimonia dell’alzabandiera, e in altre occasioni speciali.

I giovani pionieri indossavano anche delle sciarpe rosse annodate al collo. Secondo lo statuto dell’organizzazione, le sciarpe sono rosse perché il colore rosso rappresenta il sangue dei martiri della rivoluzione comunista del 1949. Quando ho lavorato per la prima volta in Cina, alla metà degli anni novanta, gli alunni dovevano essere selezionati per entrare nell’organizzazione, e le sciarpe rosse erano un segno di riconoscimento per i bambini politicamente più promettenti. Quando sono tornato, nel 2019, l’adesione era diventata obbligatoria in quasi tutte le scuole, compresa la sperimentale di Chengdu. A differenza delle spille, le sciarpe rosse non erano in dotazione, perciò abbiamo dovuto comprarle da uno dei venditori ambulanti davanti alla scuola. Ogni lunedì mattina c’era una proliferazione di questi ambulanti, perché alcuni giovani pionieri avevano la tendenza a dimenticarsi la sciarpa, nonostante il motto ufficiale dell’organizzazione: “Per lottare per la causa del comunismo, siate preparati!”.

È uno dei tanti insegnamenti contraddittori della scuola cinese. Quando la politica è onnipresente, diventa un rumore di fondo, e gli studenti imparano a ignorarlo

Tra i circa duemila studenti della sperimentale di Chengdu, Ariel e Natasha erano indubbiamente le meno preparate. Erano le uniche statunitensi, ed erano anche le uniche a essere state ammesse nella scuola senza parlare il mandarino. Leslie è sinoamericana, ed è cresciuta parlando il mandarino in casa; io l’ho imparato lavorando in Cina tra il 1996 e il 2007. Nessuno dei due, però, aveva mai provato a insegnare il cinese alle nostre figlie. Quando le bambine erano piccole, Leslie e io ci eravamo trasferiti in Egitto a lavorare come giornalisti, e avevamo deciso che era troppo complicato provare a insegnargli il cinese mentre studiavano l’arabo. Pensavamo che prima o poi saremmo tornati a vivere in Cina, dove la bambine l’avrebbero imparato grazie all’immersione linguistica.

In teoria, sembrava semplice. Ariel e Natasha avevano nove anni, un’età in cui imparare una lingua è ancora piuttosto facile. Ma la Cina non ha una tradizione d’immigrazione, e poche scuole hanno esperienza nell’integrare gli studenti stranieri. Uno dei motivi per cui siamo finiti alla sperimentale di Chengdu è che l’istituto aveva la fama di essere di mentalità abbastanza aperta. Nonostante le pessime relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti, gli amministratori della scuola erano disposti ad ammettere le nostre figlie. Le hanno inserite in una classe di 55 studenti affidata a una donna di mezza età, la maestra Zhang. Ci siamo subito accorti che era un’insegnante molto brava. Già non riesco a immaginare di gestire 53 bambini di terza in un’aula relativamente piccola, figuriamoci aggiungerne altre due che neanche parlano la lingua. Ma la maestra Zhang ha preso la cosa con grande filosofia. Ha scelto due compagni di classe che parlavano un po’ d’inglese e durante i primi giorni li ha affiancati alle gemelle per assicurarsi che capissero l’essenziale.

Tutti i pomeriggi, quando le gemelle tornavano da scuola, io e Leslie davamo a entrambe dei bigliettini con nuovi ideogrammi da imparare. In Cina, il programma scolastico è talmente standardizzato che anche l’acquisizione delle parole segue un ordine prefissato. Tutti i bambini di prima cominciano a imparare a leggere partendo dallo stesso ideogramma: 天, “cielo; paradiso”. Da lì imparano altri 699 caratteri, e poi in seconda ne aggiungono altri 900; l’ultima lezione finisce con 坟, “tomba”. Per diventare delle brave alunne di terza – per andare dal paradiso fino alla tomba – Natasha e Ariel dovevano imparare a memoria un totale di 1.600 caratteri.

Hanno cominciato con dieci ideogrammi al giorno, che pian piano abbiamo aumentato a venti. nella conversazione, il processo è stato molto più rapido, perché le bambine erano circondate per tante ore al giorno da gente che parlava cinese. Il 2 settembre, il primo giorno di scuola, quando sono andato a prenderle all’uscita, Ariel e Natasha erano in lacrime, perché non capivano quasi nulla. Il 20 settembre, quando la classe ha fatto il ripasso di una lezione durante l’ora di cinese, Natasha si è alzata in piedi e per la prima volta, con voce ferma, ha letto un brano ad alta voce; alla fine i compagni hanno applaudito. L’8 ottobre le gemelle hanno scritto il loro primo tema in cinese. La grammatica era semplice, e molti ideogrammi erano scritti male, ma erano leggibili. Un’altra data importante è stata il 7 novembre. Quel pomeriggio non ho potuto fare a meno di provare un moto di orgoglio quando Ariel è tornata a casa ripetendo una frase che aveva sentito da un bambino in classe: wangbadan, “uovo di tartaruga”, un insulto colloquiale che significa, sostanzialmente, figlio di puttana.

Sei mesi dopo, quando le gemelle sono entrate nei Giovani pionieri, il loro cinese era più o meno al livello di quello dei loro compagni. Fino a quel momento non ci eravamo soffermati troppo a pensare al contesto generale, perché già era stato molto impegnativo farle recuperare. Ma ora eccoci qua: le sciarpe rosse, le spille d’oro, le cerimonie dell’alzabandiera. Il regolamento scolastico, che era esposto in bella vista in un cortile al centro dell’istituto, cominciava così:

1. Ama il partito, ama il paese, ama il popolo.

Quando io e Leslie abbiamo deciso d’iscrivere le nostre figlie alla scuola pubblica, diversi amici ci hanno messo in guardia sul contesto politico. Da quando Xi Jinping è diventato il leader del paese, nel 2012, c’è stata una repressione delle libertà politiche e di altri aspetti della vita civile. Il sistema scolastico è stato uno dei tanti bersagli di Xi. Una volta, durante un discorso all’università di Pechino, ha paragonato l’educazione dei giovani ai valori fondamentali del socialismo ad “allacciare i bottoni sui vestiti”. La chiave, secondo Xi, è farlo correttamente dall’inizio. “Se il primo bottone è allacciato male”, ha detto, “anche gli altri lo saranno”.

Alla sperimentale di Chengdu mi aspettavo che le gemelle e i loro compagni di classe fossero indottrinati con storie nazionalistiche sulle guerre dell’oppio o l’invasione giapponese. Sorprendentemente, però, nel programma c’era pochissima storia. Ho scoperto che questi argomenti di solito sono approfonditi negli anni successivi, quando ai bambini più grandi viene insegnata la versione della storia dettata dal partito. Nei libri di testo usati per la terza e la quarta era difficile trovare contenuti esplicitamente politici. In terza, durante l’ora di cinese, le gemelle hanno fatto una lezione sulle isole Spratly, l’arcipelago conteso nel mar Cinese meridionale. Il capitolo del libro era intitolato “Le fertili e abbondanti isole Spratly”, e sosteneva le rivendicazioni territoriali della Cina: “Le prospere e fertili isole Spratly sono state la nostra casa per generazioni. Grazie allo sviluppo e alla promozione di cause costruttive della nostra madrepatria, le incantevoli isole Spratly diventeranno ancora più belle e ancora più fertili”. La lezione spiegava che una delle risorse primarie delle fertili e abbondanti isole Spratly era la cacca degli uccelli. Questa cosa ha fatto morire dal ridere Ariel e Natasha: sono tornate da scuola citando il testo e sghignazzando. A volte la gente chiedeva a me e a Leslie se sentivamo l’esigenza di contrastare la propaganda, ma gli insegnamenti politici erano sempre talmente ingessati e pesanti che non era necessario. I bottoni di Ariel e Natasha erano allacciati male fin dall’inizio: sembrava che diffidassero istintivamente dell’approccio cinese al nazionalismo e alla politica. Per me e Leslie era più importante ricordare alle bambine di essere rispettose. Spesso gli dicevamo che a scuola erano ospiti, e che anche se non erano obbligate a credere a tutto quello che gli insegnavano, dovevano tenere per sé le loro opinioni.

A tutti i livelli del sistema scolastico cinese ci sono corsi politici controllati dal partito. Per gli alunni delle elementari, il corso politico si chiama “morale e regole”, anche se in realtà ci sono pochissime lezioni che possono essere considerate apertamente politiche. Il corso è incentrato molto di più su come comportarsi in società; alla fine, il libro di testo di morale e regole delle mie figlie era più confuciano che comunista. Una lezione era intitolata “Maestro, stai lavorando duramente”, e l’attività prevedeva che i bambini copiassero a mano il programma settimanale dei loro insegnanti per apprezzare meglio il loro impegno.

In un altro capitolo c’erano dei fumetti in cui i bambini criticavano i loro stessi comportamenti. “Sono schizzinoso a tavola”, diceva un bambino. “Questo non fa bene al mio corpo, perciò in futuro lo correggerò”. In un’altra vignetta, un bambino diceva: “Non gioco sul davanzale della finestra e non faccio lo scivolo sulla balaustra, così non cado e non mi faccio male”.

Il testo era pieno di racconti che invitavano alla prudenza: bambini che si facevano male, che si ammalavano o peggio. Queste disgrazie tendevano ad accadere soprattutto durante le vacanze, con il messaggio implicito che il tempo non organizzato era pericoloso. Il libro di morale e regole delle gemelle raccontava di una recente vacanza estiva in cui sette studenti delle medie erano affogati in un fiume nello Shandong. Secondo il libro, altri cinque bambini, stavolta delle elementari, erano affogati durante le stesse vacanze in un lago nella provincia dell’Henan. Contemporaneamente, nell’Heilongjiang, sette studenti si erano messi a giocare sulla riva di un fiume, e quattro di loro erano affogati. Perché le mie figlie stavano leggendo questa litania di annegamenti? E che cosa c’entrava con la morale e le regole?

Negli anni novanta, quando avevo cominciato a insegnare in Cina, avevo notato nei miei studenti e nei miei colleghi un atteggiamento molto ansioso nei confronti della salute. Non c’era da sorprendersi, vista la lunga storia di povertà, epidemie, incidenti su larga scala e calamità naturali in Cina. Anche all’epoca vidi con i miei occhi quanto fosse difficile a volte la vita delle persone. Uno degli studenti del nostro dipartimento era morto dopo aver ricevuto cure mediche scadenti, mentre la figlia piccola di un mio collega era morta per via di una malattia misteriosa. Da allora il paese ha fatto un salto senza precedenti verso il benessere, con enormi miglioramenti sia nella sicurezza sia nell’assistenza sanitaria. L’aspettativa di vita in Cina è salita a più di 78 anni. Molte antiche paure, però, sono rimaste, soprattutto dopo l’adozione della politica del figlio unico, che è stata applicata in modo molto severo fino al 2018. Quasi tutti i compagni di classe di Ariel e Natasha erano figli unici, e sia i genitori sia gli insegnanti sembravano spaventati dai giochi spontanei o dalle attività fisiche particolarmente vigorose. Nel cortile della scuola c’era una normalissima struttura per l’arrampicata, ma i dirigenti proibivano severamente di giocarci a tutti i bambini fino alla quinta per paura che si facessero male.

Anche il manuale d’inglese era pieno di racconti del terrore. Durante le lezioni, spesso la maestra chiedeva a Natasha e Ariel di mostrare agli altri la pronuncia leggendo ad alta voce. Alle gemelle piaceva moltissimo, specialmente se l’argomento erano le ferite, il dolore e improvvisi errori di valutazione che avevano conseguenze permanenti. Un capitolo era diviso in due parti, intitolate “Tempo del divertimento” e “Tempo del racconto”. Era difficile capire la differenza: il divertimento e il racconto sembravano altrettanto spaventosi. Quando le gemelle leggevano ad alta voce, usavano sempre un tono intimidatorio:

TEMPO DEL DIVERTIMENTO. Non buttate le cose dalla finestra. È pericoloso. Potete far male a qualcuno. Non cucinate qui. È pericoloso. Un piccolo incendio può diventare grande. Siate prudenti! Fate attenzione alle automobili. Non andate contromano. Non aprite la porta a un estraneo. È pericoloso.

TEMPO DEL RACCONTO. Cosa stai facendo, piccolo orso? Sto accendendo dei mortaretti. Stai attento! Ahi! Fa male. Non correre per le scale. Ahia! Mi fa male il braccio. È proprio una brutta giornata. Guarda là! Sta arrivando una bicicletta. Mi fa male la gamba. Non riesco a camminare. Adesso ti portiamo all’ospedale. Ahimè! È proprio una brutta giornata!

Anche nel libro di morale e regole c’era una lunga processione di bambini che pagavano care la loro stupidità e la loro sbadataggine. Un capitolo raccontava la storia di Mo Mo, un bambino di nove anni che si mette a giocare con l’accendino del padre in un campo deserto. Fortunatamente alla fine l’incendio viene spento, ma il capitolo si sofferma sulle sorti di Mo Mo:

Ha riportato ustioni su tutto il corpo, che gli hanno provocato un’invalidità permanente. La curiosità cieca e gli esperimenti avventati hanno portato grande sventura a Mo Mo, alla sua famiglia e alla società.

Questi racconti del terrore non hanno avuto alcun effetto su Ariel e Natasha. Quando sono andate in quarta, hanno imparato la lezione più importante su morale e regole, ovvero che è la materia meno importante nella scuola cinese. Appena si sono accorte che i loro compagni sfruttavano l’ora per fare di nascosto i compiti delle altre materie, hanno fatto lo stesso. Ariel mi ha raccontato che teneva aperto il libro di morale e regole con dentro il libro di matematica. Sfruttava l’ora anche per zoushen, che letteralmente si traduce “lo spirito se ne va” e che significa sognare a occhi aperti. I laureandi all’università del Sichuan, dove insegnavo inglese e scrittura, mi dicevano che lo facevano durante i corsi politici obbligatori. Nessuno dei miei studenti sembrava prendere sul serio queste materie.

È uno dei tanti insegnamenti contraddittori della scuola cinese. Quando la politica è onnipresente, diventa un rumore di fondo, e gli studenti imparano a ignorarlo. A soli nove anni, le mie figlie e i loro compagni di classe avevano già capito le vere priorità dell’educazione cinese. Il presidente Xi aveva chiesto al partito di creare una generazione di giovani patrioti e il partito sembrava esserci riuscito con i giovani chiamati “piccoli rosa” per la loro tendenza ad attaccare i punti di vista non comunisti su internet. I sondaggi nazionali, però, dicevano che i giovani più istruiti stavano diventando meno patriottici e meno inclini a iscriversi al partito. Dal punto di vista del partito, forse non era neanche così male. Finché i giovani erano apolitici, era meno probabile che creassero problemi.

L’arte della dissociazione ha una lunga storia in Cina. Nel libro di cinese della quarta elementare delle gemelle c’era la storia di Liu Yuxi, poeta e funzionario di governo degli inizi dell’undicesimo secolo, durante la dinastia Tang. Nel testo, Liu si scaglia contro la corruzione e viene esiliato in un posto sperduto chiamato Hezhou, dove un supervisore meschino lo declassa ripetutamente. A ogni declassamento, l’alloggio del poeta diventa più modesto. A ogni passo, Liu trova il modo di zoushen – guarda dalla finestra e scrive un verso sul panorama e sulla disconnessione da ciò che è dentro la sua mente:

Di fronte al possente fiume, guardo le vele bianche che fluttuano oltre/ Il mio corpo è stato declassato a Hezhou, ma il mio cuore difende ancora le mie convinzioni…

Guido Scarabottolo

La poesia è una delle tante cose positive che compensano i difetti della scuola cinese. Nell’ora di cinese, gli studenti si confrontano con opere che sono al centro della cultura del paese da secoli. In quarta elementare, Natasha e Ariel hanno imparato a memoria decine di poesie di Li Bai, Du Fu e altri. Tutti i cinesi istruiti imparano a memoria alcune poesie, come Un dono a Wang Lun, che Li Bai scrisse nell’ottavo secolo dopo aver detto addio a un amico:

李白乘舟将欲行 Li Bai chengzhou jiang yu xing,

忽闻岸上踏歌声. Huwen anshang ta gesheng.

桃花潭水深千尺 Taohua tan shuishen qian chi,

不及汪伦送我情. Buji Wang Lun song wo qing.

Io, Li Bai, mi imbarco su un battello, pronto a salpare/ Quando improvvisamente dalla riva giunge un melodioso addio/ Gli abissi del lago dei Fiori di pesco, a mille piedi di profondità/Sono ancora incomparabili/ O Wang Lun! All’amore che tu doni.

Da bambino, Li Bai viveva vicino a Chengdu, che era anche la casa di Du Fu, l’altro famoso poeta dell’epoca Tang. La stessa dinastia ha prodotto Xue Tao, anche lei originaria di Chengdu, una delle più grandi poete dell’antica Cina. In classe di Ariel e Natasha hanno imparato a memoria una delle poesie di Xue Tao, e c’era un monumento dedicato a lei a meno di due chilometri da casa nostra, sulle rive del fiume Jin. È difficile immaginare un contesto migliore per far avvicinare i bambini alla letteratura. In quale altra parte del mondo una scolara delle elementari può leggere una poesia di 1.200 anni fa sapendo che l’autrice è una donna, che è vissuta nella sua stessa città e che scriveva nella sua stessa lingua?

Nella classe delle gemelle facevano imparare a memoria circa una decina di poesie a semestre. Periodicamente la maestra Zhang pescava un numero per scegliere chi doveva andare a recitare una poesia. Se sbagliava, perdeva punti su un tabellone che teneva traccia del comportamento e del rendimento scolastico. I primi dieci bambini in classifica potevano essere nominati xiao zuzhang “leader del gruppo”, responsabile della gestione dei compagni. Natasha e Ariel ci tenevano molto a diventare xiao zuzhang. Io e Leslie gli ripetevamo continuamente di non preoccuparsi dei voti; l’obiettivo principale era imparare il cinese. Ma le gemelle ci tenevano, e con il passare del tempo abbiamo capito che avevano alcuni vantaggi nonostante la partenza in ritardo. Gli ideogrammi cinesi sono talmente difficili che tendono a sfuggire dalla memoria; anche quando i bambini imparano delle nuove parole, ne dimenticano continuamente delle altre. Per Ariel e Natasha era ancora tutto fresco, mentre gli altri alunni di quarta erano costretti a reimparare da capo la prima grande ondata di ideogrammi che avevano studiato. Quando i bambini sbagliavano, a volte gli insegnanti sottolineavano che Ariel e Natasha avevano scritto correttamente.

Per gli altri genitori, questa opportunità era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Quando andavo a prendere le bambine a scuola, non di rado una mamma o un papà mi si avvicinavano con il figlio al seguito. “Guarda Cai Cai e Rou Rou”, diceva la mamma, usando i nomi cinesi delle gemelle ed esaltando oltre misura le loro capacità. “Hanno appena cominciato a imparare il cinese e sono già più brave di te!”. Il povero bambino se ne stava lì in piedi, stanco per la lunga giornata, la sciarpa dei Giovani pionieri sbilenca come la cravatta di un ubriaco il venerdì sera. “Devi seguire l’esempio di Cai Cai e Rou Rou!”, diceva la mamma. “Impegnati di più!”.

Succedeva talmente spesso che mi domandavo se fosse proprio quello il motivo per cui ci avevano ammesso alla sperimentale di Chengdu. Negli Stati Uniti, pensavo, sarebbe stato un disastro annunciato: si prendono due bambine di un paese che essenzialmente è diventato un nemico della nazione e poi si umiliano senza pietà i ragazzini del posto dicendogli che non sono alla loro altezza. Nel contesto, però, la nazionalità di Ariel e Natasha sembrava irrilevante. Ai genitori non importava da dove venissero le gemelle né che cosa stesse facendo in quel momento l’amministrazione Trump. L’unica cosa che contava era che le gemelle potevano essere usate per motivare i loro compagni di classe. Soprattutto, non sembrava che gli altri bambini ce l’avessero con gli stranieri. In Cina, criticare l’infanzia rientra nell’ordine delle cose, è un elemento del mondo naturale. E fin dalla più tenera età, i bambini sviluppano una tradizionale riverenza per l’istruzione. In Cina i più bravi della classe spesso sono anche i più popolari, ed era per questo che Ariel e Natasha erano così motivate. Le cose importanti per essere popolari a scuola negli Stati Uniti – la prestanza atletica, il predominio sociale, l’essere cool – contano poco e niente in un’aula cinese.

Guido Scarabottolo

Durante l’autunno, Natasha è stata la prima delle due a essere nominata xiao zuzhang, leader del gruppo. Poco dopo anche Ariel ha avuto questo onore. La cosa le ha rese orgogliose, ma mi sono accorto che si trattava di un ruolo sostanzialmente sgradevole. Le xiao zuzhang avevano non solo la responsabilità di togliere punti a chi si comportava male, ma anche quella di raccogliere i compiti a casa e le verifiche in classe. Periodicamente gli insegnanti organizzavano delle gare tra i vari gruppi, che dovevano recitare poesie Tang o risolvere al volo equazioni matematiche. Era stressante essere leader del gruppo, perciò io e Leslie abbiamo detto alle gemelle che potevano semplicemente declinare l’incarico. Ma l’onore era troppo importante. Il partito falliva miseramente ogni volta che tentava di indottrinare Natasha e Ariel con la sua goffa propaganda politica, ma il sistema funzionava benissimo mettendo in ballo la competizione e i titoli.

Quando la classe ha studiato l’immortale poesia di Li Bai sulla partenza, l’amicizia e la tristezza, gli altri alunni hanno insegnato ad Ariel e Natasha una versione alternativa. Le gemelle sono tornate a casa dopo aver diligentemente imparato a memoria questo secondo verso.

李白乘舟要拉屎 Li Bai chengzhou yao lashi,

忽然发现没带纸 Huran faxian mei dai zhi,

勇敢伸出大拇指 Yonggan shenchu da muzhi,

抠抠屁股全是屎. Kou kou pigu, quan shi shi.

La metrica e le rime erano perfette, il messaggio eloquentemente sintetizzato in quelle 28 sillabe:

Io, Li Bai, siedo a bordo di una nave e devo cacare /Quando improvvisamente scopro che non ho la carta / Valorosamente allungo il pollice / E scavo e scavo nel mio culo – Oh, è pieno di merda!

Ho raccontato di questa poesia ai miei amici cinesi e loro mi hanno citato altre parodie imparate da bambini. In alcune versioni, Li Bai scandaglia gli abissi della memoria, dell’emozione e della merda perché il suo grande amico Wang Lun gli ha fatto il generoso dono della carta igienica. In altre riscritture il lago dei Fiori di pesco serve a Li Bai come bidet. Un amico di nome Willy, alle soglie dei cinquant’anni, ricordava ancora a memoria la poesia che si recitava nella sua scuola rurale più di trent’anni prima:

李白乘舟去拉屎 Li Bai chengzhou qu lashi,

坐在船上忘带纸 Zuo zai chuanshang wang dai zhi,

桃花潭水深千尺 Taohua tan shui shen qian chi,

水洗屁股当草纸 Shui xi pigu dang caozhi.

Io, Li Bai, viaggio in barca per cacare / Ma seduto sulla barca mi accorgo che ho dimenticato la carta / Per quanto sia profondo il lago dei Fiori di pesco / Mi pulisce il culo come una qualsiasi carta paglia.

Queste versioni alternative dei classici m’impressionavano tanto quanto le poesie Tang nei libri di testo di quarta elementare. Immaginate se gli scolari statunitensi conoscessero così bene la poesia da apprezzare versioni scatologiche di Andrew Marvell o John Donne! E poi, pensavo, c’era un sollievo nell’irriverenza. Nonostante la disciplina in aula e le lezioni ingessate sulla morale e le regole, gli alunni giocavano e prendevano in giro le materie che gli venivano insegnate. Nel complesso, sembravano sorprendentemente sani ed equilibrati. Ogni tanto invitavamo a casa una decina di bambine della classe, e le dinamiche di gruppo erano diverse da quelle che avevo osservato tra le loro coetanee statunitensi. Le scolare della Chengdu non formavano cricche né escludevano deliberatamente nessuna, e non c’erano mai bisticci perché qualche ragazzina era cattiva o snob. La spiegazione è in parte che le ragazzine cinesi di dieci-undici anni normalmente non mostrano i comportamenti preadolescenziali tipici degli Stati Uniti. Inoltre, l’enfasi culturale sul gruppo predispone i bambini cinesi a imparare a fare compromessi e ad accontentare gli altri. Anche se quasi tutti erano figli unici, non si comportavano come mocciosi viziati.

Il problema semmai non era far andare d’accordo le bambine, ma riuscire a farle incontrare. Per organizzare un invito servivano settimane di messaggi con i genitori su WeChat a causa degli innumerevoli buxi, i corsi supplementari, e altre attività. La routine era ormai così consolidata che i genitori sembravano disorientati dalla possibilità del gioco non strutturato. Una volta Leslie ha invitato una compagna delle gemelle per un pomeriggio nel fine settimana e la madre, quasi nel panico, le ha chiesto che cambiassero programma e andassero al museo delle scienze. Voleva una destinazione con uno scopo educativo chiaramente definito, altrimenti cosa avrebbero potuto fare le bambine, e cosa avrebbero imparato?

A ogni festicciola, le bambine giocavano nel cortile del nostro complesso residenziale, organizzando i giochi per conto loro. I genitori spesso ci dicevano che era bellissimo vederle così felici. In due anni, però, nessun altro del giro delle gemelle ha mai organizzato una festa. Semplicemente nessuno lo faceva; i bambini avevano troppi impegni e i genitori erano troppo concentrati sull’istruzione. Molte madri avevano lasciato il lavoro per seguire quell’unico figlio, una cosa inaudita rispetto alla generazione precedente. Negli anni novanta, tra tutte le mie allieve – circa un centinaio – non ce n’era neanche una che non lavorasse a tempo pieno dopo aver partorito. Ora invece è diventata una pratica molto più comune, in parte per il nuovo benessere, ma anche per la pressione educativa.

Alla fine, abbiamo smesso di organizzare feste perché era troppo difficile far coincidere i programmi. Alcuni genitori si rendevano conto di quanto fosse malsano tenere così occupati i figli. Una volta, io e Leslie siamo andati a cena con i genitori di una compagna delle gemelle. Quando la conversazione si è spostata sull’istruzione, il padre ha detto che detestava iscrivere la figlia ai corsi buxi, ma che si sentiva impotente. “Tutti si sentono così”, ha detto. “C’è troppa competizione. Però se vuoi che tua figlia abbia una possibilità, devi farle fare tutte queste cose”. Per i genitori cinesi, l’incubo più terrificante – più del tempo libero, o delle vacanze estive, o dei bambini che giocavano intorno ai corsi d’acqua dell’Henan e dell’Heilongjiang – era il gaokao, l’esame di ammissione all’università. In Cina gli studenti dell’ultimo anno delle superiori devono superare il gaokao e l’ammissione all’università dipende interamente dal punteggio. Questo era uno dei motivi che aveva convinto me e Leslie a trasferirci a Chengdu quando le bambine erano ancora alle elementari: pensavamo che a quell’età avrebbero evitato l’influenza malefica del gaokao. Il sistema, però, era diventato così competitivo che anche i più piccoli cominciavano a sentirne la pressione. Alla sperimentale di Chengdu, come in tutte le scuole cinesi, ogni semestre si concludeva con una settimana di esami. Già in terza elementare erano massacranti: cento minuti per il test di cinese e novanta per quelli di matematica, scienze e inglese. I bambini erano addestrati come atleti di resistenza e Ariel e Natasha erano diventate molto più brave a concentrarsi. Anche loro, però, parlavano della pressione e raccoglievano qua e là informazioni sul gaokao. All’inizio della quarta, la maestra aveva detto agli alunni che se speravano di entrare all’università Tsinghua dovevano avere un punteggio di almeno 649 al gaokao.

Alla fine dei due anni siamo tornati nella nostra casa in Colorado. L’ultimo giorno di scuola delle gemelle, io e Leslie siamo andati a prenderle prima. La maestra Zhang e altri bambini avevano preparato un video di addio, e dopo averlo proiettato, i compagni sono venuti uno a uno davanti alla cattedra per consegnare alle bambine dei piccoli doni e salutarle. Alla fine ha parlato la maestra. “Questi due anni sono stati molto lunghi”, ha detto. “C’è stato un periodo in cui siamo stati a casa a causa della pandemia. Ma voi avete sempre continuato ad apprendere, e tutti i nostri studenti possono imparare dal vostro esempio. La cosa più importante, però, è la nostra amicizia”.Sotto certi aspetti, aver iscritto Ariel e Natasha alla scuola pubblica è stata la parte più difficile della nostra vita a Chengdu, perché hanno dovuto faticare moltissimo. Per altri versi, invece, è stata un’esperienza totalmente priva di complicazioni. Dopo che Natasha e Ariel si erano iscritte, nessuno a scuola ci aveva chiesto favori o regali, e non abbiamo dovuto pagare neanche uno yuan di retta. I tossici battibecchi politici tra la Cina e gli Stati Uniti non hanno mai avuto la minima influenza sui dirigenti scolastici. Se Ariel e Natasha facevano il loro lavoro, se arrivavano in classe preparate, erano trattate come tutti gli altri bambini. Da questo punto di vista, la scuola è stata una delle poche cose della mia vita a Chengdu non complicata dalla politica.

Il primo giorno di scuola, quando ero andato a prendere Ariel e Natasha, le avevo trovate in lacrime. Credevo che non si sarebbero mai integrate, e certi aspetti della didattica cinese – i carichi di lavoro, la pressione, la mancanza di attività fisica – ci avevano sempre messo a disagio. Ma ci sono tanti altri elementi che abbiamo imparato ad apprezzare. Nella cultura cinese il rispetto per l’istruzione è fondamentale, e questi valori sono sopravvissuti a tutti i cambiamenti che hanno attraversato il paese, e perfino alla competitività ottusa del gaokao. Leslie e io abbiamo potuto apprezzare la competenza degli insegnanti e la dignità del comportamento. C’è una differenza abissale rispetto agli Stati Uniti, dove genitori e studenti spesso mancano di rispetto agli insegnanti. È vero: sono stati due anni molto lunghi. Sapevo che l’esperienza di Chengdu avrebbe accompagnato Ariel e Natasha per tutta la vita. Alla fine del saluto della classe, gli altri bambini hanno applaudito, e la maestra ci ha accompagnato in corridoio e poi all’uscita. Leslie e io le abbiamo detto quanto le eravamo grati per il suo aiuto. “Cai Cai e Rou Rou non ce l’avrebbero mai fatta senza di lei”, ha detto Leslie. La maestra Zhang si è schermita con un gesto della mano e si è inginocchiata per abbracciare le bambine. Hanno pianto, come il primo giorno, e stavolta ha pianto anche la maestra. ◆ fas

Peter Hessler è uno scrittore e giornalista statunitense, ex corrispondente da Pechino del New Yorker. Questo testo è stato adattato da Other rivers. A chinese education (“Altri fiumi: un’educazione cinese”, Atlantic Books 2024).

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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati