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Le sfide democratiche dell’Europa dopo la pandemia

Strasburgo, 9 maggio 2022. Un usciere del parlamento europeo sistema le bandiere prima dell’arrivo del presidente francese Emmanuel Macron. (Ludovic Marin, Reuters/Contrasto)

Non siamo nemmeno alla metà del 2022 e posso già dire che quest’anno non è né quello che pensavo né quello che avrei sperato. Certo, il covid-19 non è stato il “grande disgregatore” che si temeva. Anzi, la maggior parte dei governi ha messo fine a quasi tutte le misure contro il virus e la maggior parte di noi si è ormai felicemente convinta di essere entrata in un’era postpandemica. Probabilmente lo avremmo fatto anche senza la (re)invasione russa dell’Ucraina, ma questa ha di certo contribuito a modificare la mentalità e le priorità della maggior parte degli europei. E se è vero che l’illiberalismo ha sostituito la Brexit come bersaglio principale dell’Ue, questo bersaglio si trova all’esterno più che all’interno dell’Unione – la Russia di Vladimir Putin piuttosto che l’Ungheria di Viktor Orbán, per non parlare della Polonia di Jarosław Kaczyński.

La (re)invasione russa dell’Ucraina è la quinta crisi politica del ventunesimo secolo dopo l’11 settembre, la grande recessione, la cosiddetta crisi dei rifugiati e la pandemia di covid-19. Vale a dire una crisi quasi ogni cinque anni! La guerra in Ucraina ha quanto meno rimandato un bilancio politico sulla pandemia. Sarà probabilmente la crisi politica più significativa di tutte, forse pari solo a quella dell’11 settembre.

Ha già influenzato alcune delle elezioni nazionali più importanti in Europa, aiutando – ironia della sorte – sia Viktor Orbán in Ungheria sia Emmanuel Macron in Francia. Ma se il primo ha ottenuto una vittoria ampia in patria – in elezioni libere ma non corrette – sarà il secondo a uscire come principale vincitore al livello europeo.

Il fronte illiberale spaccato
Orbán ha sorpreso amici e nemici con la sua grande vittoria elettorale. Sfruttando al massimo il suo monopolio sui mezzi d’informazione statali – sui quali l’opposizione ha avuto a disposizione solo cinque minuti di trasmissioni – ha trasformato la guerra in Ucraina in una risorsa piuttosto che in uno svantaggio, presentandosi come il leader affidabile e stabile che avrebbe tenuto l’Ungheria fuori della guerra e i prezzi dell’energia bassi.

La sua posizione “neutrale” ha funzionato bene in patria, dove i mezzi d’informazione sia quelli privati sia quelli pubblici controllati dal suo partito Fidesz continuano ad avere una forte copertura filorussa. Ma lo sta isolando sempre di più all’estero. Dopo aver perso il leader ceco Andrej Babiš alle elezioni del 2021, e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz in uno scandalo politico, Orbán perderà presto un altro alleato: il primo ministro Janez Janša, sconfitto alle elezioni slovene in aprile.

Con i tedeschi reduci da decenni di dipendenza economica e di pacificazione politica della Russia, l’Europa guarda alla Francia per prendere l’iniziativa

Fatto più importante, la guerra in Ucraina ha creato una spaccatura grave nell’alleanza Budapest-Varsavia, il nucleo del fronte illiberale all’interno dell’Ue. Anche se molti analisti amano sottolineare il sostegno a Putin da parte dell’estrema destra – che comunque non è così forte come quello dell’estrema sinistra – la guerra non è comunque all’insegna di una divisione tra “generalisti” e “populisti”. All’interno del Consiglio europeo, infatti, sia i più forti oppositori sia i più forti sostenitori di Putin sono populisti (della destra radicale), rispettivamente il partito Diritto e giustizia (PiS) in Polonia e Fidesz in Ungheria. Negli ultimi mesi Orbán è stato assente da vari eventi regionali in sostegno dell’Ucraina, e il gruppo Visegrád 4 (V4) si sta rapidamente trasformando in Visegrád 3, dopo che Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia hanno rifiutato di partecipare a una riunione dei ministri della difesa del V4, in segno di protesta contro la posizione filorussa dell’Ungheria.

Macron ha approfittato della guerra in Ucraina per presentarsi come un leader mondiale, avendo più incontri con Putin rispetto ai suoi colleghi negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Germania, ma è stato costretto a concentrarsi sulla politica interna per sconfiggere Marine Le Pen al secondo turno delle elezioni presidenziali. Appena rieletto, e incaricato della presidenza del Consiglio europeo, ci si aspettava che usasse la Giornata dell’Europa, a Bruxelles, per esporre le sue ambizioni per un’Europa liberale e democratica. Ironia della sorte, lo stesso giorno in cui Putin ha usato la giornata della vittoria per esporre la sua visione di un’Europa illiberale.

Con i tedeschi reduci da decenni di dipendenza economica e di pacificazione politica della Russia, l’Europa guarda alla Francia per prendere l’iniziativa e Macron è felice di farlo, se non altro perché affronterà ancora una fondamentale elezione politica a giugno, che potrà rafforzare o indebolire la sua presidenza. Quest’ultima ipotesi si concretizzerà se sarà costretto alla coabitazione, cioè a governare insieme a un primo ministro di un altro partito: il suo secondo mandato sarà allora molto meno ambizioso e potrebbe finire in uno stallo.

Retorica familiare
Qualunque sia il risultato delle elezioni parlamentari francesi, l’Ue e i suoi stati membri hanno importanti decisioni da prendere. A breve termine, la difesa e la politica energetica saranno in cima all’agenda, ed entrambe dovranno subire cambiamenti fondamentali dopo decenni di compiacenze e negligenze. Al contempo l’allargamento dell’Ue (e della Nato) è di nuovo all’ordine del giorno, in particolare per l’Ucraina e i Balcani occidentali. Tutti questi temi saranno promossi usando la familiare retorica della protezione dell’Europa liberaldemocratica nei confronti della Russia illiberale. La grande domanda è: come influirà questa lotta esterna contro l’illiberalismo su quella interna?

Finora i campi sono stati tutt’altro che ideologicamente omogenei. Proprio come gli Stati Uniti hanno incluso l’India illiberale nel loro “vertice per la democrazia”, così l’Ue celebra sempre più spesso la Polonia illiberale per la sua posizione fermamente antirussa e filoucraina, in cui rientra la sua generosa accoglienza di oltre tre milioni di rifugiati ucraini.

Con una politica estera che assume sempre più peso rispetto alle preoccupazioni di politica interna, c’è il rischio che la nuova cartina di tornasole per l’Europa sia una posizione antirussa piuttosto che il rispetto delle istituzioni e dei valori democratici liberali. Potrebbe essere una cattiva notizia per l’Ungheria, ma anche per l’Ue. Perché, a differenza della Nato, l’Ue non è principalmente un’alleanza militare, bensì una “comunità di valori”. Più specificamente, di valori democratici liberali.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Voxeurop.

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