×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

Aiutare l’economia del Sahel per sconfiggere i jihadisti

Base militare di Villacoublay, Francia, l’11 maggio 2019. Il presidente francese Emmanuel Macron, il ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian, la ministra della difesa Florence Parly, il capo di stato maggiore della difesa Bernard Rogel e l’ambasciatore sudcoreano in Francia Jong-moon Choi accolgono l’arrivo degli ostaggi liberati in Burkina Faso. (François Guillot, Reuters/Contrasto)

L’11 maggio due militari francesi sono morti durante un’operazione per liberare due turisti rapiti in Benin e portati in Burkina Faso. La notizia, inevitabilmente, ha alimentato le polemiche. Qualcuno si chiede se il prezzo da pagare non sia troppo alto per quella che il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian ha definito “l’imprudenza” dei turisti.

Il ministro ha senz’altro esagerato, e tra l’altro la domanda è mal posta. Certo, tutti i viaggiatori devono mantenere un comportamento responsabile nelle zone pericolose, ma in questo caso non si tratta di malsano turismo di guerra. Il Benin era e resta sostanzialmente un paese tranquillo. Ancora oggi, il sito del consolato del Benin in Francia raccomanda a chi sente di avere “l’animo del pioniere” di “partire alla scoperta del parco nazionale del Pandjari”.

Il turismo, in questa vicenda, è chiaramente all’origine dello specifico incidente, ma potrebbe rappresentare una soluzione, o almeno una parte. Chiudere intere regioni al turismo, spesso unica risorsa per le popolazioni locali, significa lasciare campo libero ai jihadisti e ai criminali che si nutrono dell’abbandono.

Negli anni novanta una rivolta dei tuareg del Sahel si era conclusa con un accordo politico, ma per risollevare la regione serviva anche uno stimolo economico. E così un organizzatore di viaggi francese audace e innovativo, Maurice Freund, aveva ideato una serie di percorsi turistici negli straordinari paesaggi del Niger e del Mali. Il fondatore di Point Afrique aveva reclutato centinaia di tuareg come autisti, cuochi e guide, creando le risorse necessarie per far rivivere regioni impoverite.

Maurice Freund credeva in un turismo non predatorio basato sull’incontro e lo scambio, il contrario delle invasioni di turisti occidentali scatenati. Grazie alla sua iniziativa, migliaia di francesi hanno scoperto queste regioni che oggi sono finite nella “zona rossa” della mappa del Quai d’Orsay.

I turisti in ostaggio e gli attentati dimostrano che il perimetro dell’insicurezza continua ad allargarsi

Freund ha dovuto fermarsi quando una nuova ondata d’insicurezza ha travolto la zona. I suoi dipendenti africani si sono ritrovati senza un impiego. Già diversi anni fa Freund manifestava tutta la sua tristezza nel vederli attirati dalla nebulosa jihadista. Attualmente Point Afrique offre solo una destinazione, la Mauritania, messa in sicurezza dall’esercito locale con l’aiuto dei militari francesi.

Il resto del Sahel sembra sprofondare nell’instabilità. La vicenda degli ostaggi, ma anche l’attentato del 12 maggio in una chiesa nel nord del Burkina Faso (con almeno sei vittime), dimostrano che il perimetro dell’insicurezza continua ad allargarsi.

Nel 2013 l’intervento militare francese aveva allontanato i jihadisti dal nord del Mali, ma a quell’operazione non hanno fatto seguito i necessari accordi politici né la ricostruzione di uno stato inclusivo. Il Mali, oggi, non riesce a sfuggire all’ingranaggio della violenza, e lo stesso vale per i paesi vicini. La ripresa della guerra civile in Libia non fa che aggravare la situazione.

Il vero dibattito che dovrebbe scaturire dalla morte dei due soldati non è quello sul turismo, ma quello sul modo di aiutare questa parte dell’Africa a uscire da una situazione difficile. Ormai è evidente che l’invio di militari non basta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Guarda:

pubblicità