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Il dibattito sulle nomine ai vertici dell’Unione europea è partito male

Il parlamento europeo a Bruxelles, il 28 maggio 2019. (Piroschka Van de Wouw, Reuters/Contrasto)

La nuova Europa somiglia parecchio alla vecchia. Il primo test postelettorale, le nomine dei vertici dell’Unione – presidenza della Commissione, presidenza del Consiglio europeo e Alto rappresentante per la politica estera – ha infatti creato una competizione tanto affollata quanto sgradevole.

Un vertice straordinario è stato convocato per il 30 giugno nel tentativo di risolvere l’impasse generata dall’incontro della settimana scorsa. Il programma ufficiale prevede una cena tra i leader politici e la possibilità di una colazione il 1 luglio in caso di nottata difficile.

Non bisogna drammatizzare, perché l’Europa ha sempre funzionato così, con gesti eclatanti che producono compromessi a notte fonda. Ma in questa vicenda emerge una preoccupante tensione franco-tedesca che merita di essere analizzata.

Necessari ma non sufficienti
È la regola non scritta dell’Unione europea: l’intesa franco-tedesca è necessaria ma non sufficiente per andare avanti. Non si può far niente se Parigi e Berlino non sono d’accordo, e in questo momento non è così.

Il parlamento europeo nato dalle elezioni di maggio prometteva di essere diverso grazie all’assenza di una maggioranza composta dai conservatori e dai socialdemocratici, che solitamente si dividono le responsabilità di governo. Questa volta per avere una maggioranza c’è bisogno del contributo dei liberali, di cui fanno parte gli eurodeputati di République en marche (il partito del presidente francese Emmanuel Macron), o di quello dei Verdi.

Resta il fatto che i conservatori hanno ottenuto il maggior numero di voti e di conseguenza rivendicano la presidenza della Commissione per il loro capolista, il bavarese Manfred Weber. Ma Macron non vuole saperne, perché ritiene che non abbia abbastanza esperienza e non sia capace di incarnare un nuovo inizio. E non è il solo a pensarlo.

Palesemente innervosito, il capogruppo della Cdu a Strasburgo ha definito Macron un “antitedesco”. Berlino, intanto, si oppone alla nomina di Michel Barnier (in quanto francese) e a quella di Margrethe Vestager, la favorita di Parigi. Presenti entrambi al G20 di Osaka il 27 e il 28 giugno, Angela Merkel e Macron farebbero meglio a interrompere questo gioco deleterio.

Ascoltando Trump viene da pensare che Vestager sarebbe un’eccellente presidente della Commissione

Come si può uscire da questa querelle? Prima di tutto rendendosi conto che lo scontro non è all’altezza della posta in gioco. Già indebolita, l’Europa commetterebbe un suicidio se continuasse ad alimentare le divisioni di stampo nazionalista tra i paesi, proprio mentre il mondo continua a cambiare senza la partecipazione del vecchio continente e si accumulano le crisi in cui la voce Europa sarebbe assolutamente necessaria.

Ora o mai più
A tal proposito basta citare l’attacco indegno lanciato 48 ore fa da Donald Trump contro Vestager, colpevole di aver osato tassare i giganti statunitensi Apple e Google. “Questa donna odia l’America”, ha tuonato Trump su Fox News. Ascoltando Trump viene da pensare che Vestager sarebbe un’eccellente presidente della Commissione.

Se invece l’Europa farà come ha sempre fatto, scegliendo il minimo comune denominatore per rappresentarla, i cittadini del continente continueranno ad allontanarsi dal progetto europeo, mentre il resto del mondo faticherà a prenderlo sul serio. Per questo motivo è il caso di chiedere ai leader europei, parafrasando il marchese de Sade, di fare “ancora uno sforzo” per essere europei. Ora o mai più.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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