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Il Consiglio europeo riporta la politica nel cuore dell’Ue

Un incontro a margine del vertice del Consiglio europeo a Bruxelles, Belgio, 18 luglio 2020. Sulla sinistra, al centro, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel; sulla destra, dall’alto in basso, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. (Francisco Seco, Reuters/Contrasto)

La scomparsa di Valéry Giscard d’Estaing ci ha ricordato che nel 1974 l’ex presidente francese era stato il promotore del Consiglio europeo, che riunisce i capi di stato e di governo dell’Unione europea. Sembra difficile pensare che prima di quella data non esistesse, tanto è diventato cruciale per le decisioni dei 27.

In questo strano 2020 le riunioni del Consiglio, virtuali o in presenza, hanno raggiunto numeri da record. Durante i periodi di lockdown i vertici si sono svolti in videoconferenza, e per forza di cose sono mancate le conversazioni dirette, le trattative nei corridoi e i tipici battibecchi di aggiustamento.

Per questo gli incontri più importanti sono avvenuti in presenza. È stato il caso del vertice straordinario di luglio, in cui si è deciso il piano di rilancio da 750 miliardi di euro, non senza una trattativa prolungata, come nelle migliori drammaturgie europee.

Politica e amministrazione
In presenza sarà anche la riunione dell’11 e 12 dicembre a Bruxelles, perché il programma del vertice è ricco ed estremamente importante. Ancora una volta, abbiamo la dimostrazione che alla guida dell’Unione europea c’è la politica e non la burocrazia.

Spesso l’Europa è stata rimproverata di essere guidata da “Bruxelles”, cioè da una tecnostruttura anonima, non eletta e svincolata da qualsiasi controllo.

L’amministrazione europea esiste, questo è innegabile, ed è guidata dalla Commissione. Tuttavia sono i capi di stato e di governo dei 27 a gestire, ora più che mai il potere, e si preoccupano di farlo sapere. Questi leader hanno un mandato democratico e devono rispondere ai cittadini che li hanno eletti. Lo stesso vale per il parlamento europeo, che però non ha ancora l’importanza desiderata dai deputati.

È al Consiglio europeo che toccherà risolvere il conflitto con la Polonia e l’Ungheria, i due paesi che bloccano il piano di rilancio opponendosi al vincolo sul rispetto dello stato di diritto. Questo ostacolo dovrebbe essere cancellato nella giornata dell’11 dicembre, senza però rinunciare ai princìpi guida dell’Ue.

Esponendosi in prima linea, però, i capi di stato e di governo diventano più vulnerabili

Anche se l’argomento non è all’ordine del giorno, i componenti del Consiglio faranno il punto sulle inverosimili trattative per la Brexit, e infine decideranno come affrontare il comportamento della Turchia nel Mediterraneo orientale, scelte che spettano di fatto ai capo di stato e di governo.

Il Consiglio è più “facile” da comprendere per i cittadini europei. Questa centralità dei rappresentanti eletti dei diversi paesi è una risposta alla diffusa avanzata dell’euroscetticismo e un ritorno alle decisioni intergovernative, diventate garanzia di sovranità.

Jacques Delors, ex presidente della Commissione, aveva l’abitudine di descrivere il progetto europeo come un “oggetto politico non identificato”, che come i famosi “oggetti volanti non identificati”, gli Ufo, non somigliava a niente di conosciuto. Con il controllo nelle mani del Consiglio europeo ci avviciniamo a lidi più familiari.

Esponendosi in prima linea, però, i capi di stato e di governo diventano più vulnerabili. Il solito ritornello riproposto da molti politici secondo cui tutte le cattive decisioni sono “colpa di Bruxelles” non funziona più. Bruxelles la fanno i leader europei, e di conseguenza la facciamo noi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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