10 settembre 2020 10:26

Quale posizione adottare davanti a un presidente turco che moltiplica le sfide, si mostra sempre più aggressivo e insulta quelli che dovrebbero essere i suoi alleati? Il comportamento di Recep Tayyip Erdoğan rappresenta un problema già da qualche tempo, ma ora le tensioni nel Mediterraneo a proposito dei giacimenti di gas sottomarini costringono i paesi dell’Unione ad adottare una strategia comune. E non sarà facile.

Il 10 settembre, in Corsica, si svolgerà un vertice che riunirà attorno alla Francia gli altri sei paesi mediterranei dell’Unione. La Turchia sarà nella mente di tutti. È una tappa di avvicinamento al Consiglio europeo previsto per fine settembre e in cui i 27 dovranno affrontare un tema simile, ovvero i rapporti con due autocrati che governano poco lontano dai confini europei, Putin ed Erdoğan.

In questa situazione è consigliabile mostrare i muscoli come fa la Francia nel mar Egeo? Oppure è meglio negoziare con Ankara, come suggerisce la Germania? Questi due approcci possono sembrare agli antipodi, ma potrebbero diventare complementari. La soluzione, infatti, potrebbe essere quella di riequilibrare il rapporto di forze prima di avviare il dialogo. Per riuscirci, però, bisognerà superare le divisioni europee che nascono dall’eredità storica, dai rapporti economici e dalle diverse inclinazioni.

Crocevia di tensioni
La Turchia di Erdoğan presenta una sfida particolare, perché si trova al crocevia tra diverse tensioni. Ankara costringe l’Europa a comportarsi da potenza in un momento segnato dall’eclisse americana. Ma questo ruolo non è nel dna dell’Europa, o almeno non lo è stato finora.

La Turchia è una potenza regionale che per molto tempo è stata un componente disciplinato della Nato, ma che oggi porta avanti il proprio gioco con forti spinte revansciste legate alla storia ottomana. In Siria, in Libia o in Palestina (dove il governo turco ha apertamente elogiato Hamas) Erdoğan si presenta come capofila dell’islam sunnita. Il presidente turco ha ormai deciso di voltare le spalle a un’Europa che giudica troppo debole e vulnerabile, dunque pensa di poter avanzare le proprie pedine.

Inviare navi e aerei militari non è la soluzione a meno che non si voglia scatenare una guerra tra stati della Nato

È esattamente quello che sta accadendo in acque greche e cipriote, dove la Turchia sta effettuando ricerche di giacimenti di gas in zone che non le appartengono.

La Francia ha deciso di alzare i toni inviando navi e aerei per sostenere la Grecia e Cipro. Ma questa non può essere la soluzione, a meno che non si voglia scatenare una guerra tra stati che fanno parte della Nato.

A questo punto l’importante è ritrovare un minimo di credibilità agli occhi di Erdogan in modo da favorire un negoziato. Domenica il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian ha evocato una “serie di rappresaglie” contro la Turchia da discutere in occasione del prossimo Consiglio europeo.

Ma come si fa a essere credibili senza una posizione comune e senza una politica d’immigrazione che possa scongiurare le scene agghiaccianti come quelle che arrivano dall’isola greca di Lesbo, evitando che l’Europa si esponga al ricatto turco sui migranti?

Ogni bastone deve avere la sua carota. Davanti a una Turchia che si considera penalizzata dalla spartizione delle acque mediterranee, dobbiamo trovare il modo di favorire la prosperità comune senza tirare in ballo gli egoismi nazionali ereditati da una storia turbolenta. Ma tutti questi interrogativi, per il momento, non hanno ancora trovato risposta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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