17 novembre 2020 10:02

Se vi dicessi che i fondi europei devono essere attributi solo ai paesi che rispettano lo stato di diritto, vi sembrerebbe sicuramente un ragionamento sensato. D’altronde perché finanziare governi che ignorano o addirittura attaccano le libertà che dovrebbero essere al centro del progetto europeo?

Eppure è attorno a questo concetto che il 16 novembre, come ampiamente prevedibile, è scoppiata una crisi quando due paesi dell’Unione europea, Polonia e Ungheria, hanno deciso di bloccare l’approvazione definitiva del famoso piano di rilancio europeo da 750 miliardi, oltre al bilancio europeo per i prossimi anni.

Nel corso di una riunione organizzata a Bruxelles, Varsavia e Budapest hanno posto il veto sul vincolo che lega i finanziamenti al rispetto dello stato di diritto, una clausola che riguardava direttamente i due paesi dell’est, contro cui sono in corso procedure per infrazione delle regole comunitarie.

Regole comuni violate
La prima conseguenza, probabilmente, sarà un ritardo dell’entrata in vigore del piano di rilancio, prevista per il 1 gennaio 2021. La seconda sarà quella di mettere pubblicamente ognuno davanti alle sue responsabilità.

L’Unione europea si trova in una situazione che i fondatori non avevano previsto: come comportarsi con paesi che vivono una regressione democratica?

Che si tratti dell’indipendenza della magistratura, della libertà di stampa o del rispetto dei diritti fondamentali, Polonia e Ungheria violano le regole comuni, e le procedure avviate contro i due paesi non sono all’altezza della posta in gioco.

L’idea del vincolo sugli aiuti è stata proposta proprio per mettere fine a questa assurda situazione in cui un governo non rispetta più le regole comuni ma continua a beneficiare dei finanziamenti dell’Unione.

Cedere alla minaccia di Varsavia e Budapest? O aggirare l’ostacolo?

Ungheria e Polonia denunciano “un asservimento istituzionale politico e una limitazione radicale della sovranità”, per usare le parole del ministro della giustizia polacco. La risposta è arrivata da Manfred Weber, leader del principale gruppo politico all’interno del parlamento : “Se rispettate lo stato di diritto non avete nulla da temere”.

Per uscire da questa crisi esistono due strade che gli altri 25 paesi non vogliono prendere in considerazione: cedere alla minaccia di Varsavia e Budapest ritirando la clausola sul vincolo dei finanziamenti o aggirare l’ostacolo creando un piano di rilancio bis, fuori dell’Unione, un’idea ritenuta troppo complessa.

Resta la sapiente diplomazia europea. Tra qualche giorno un ministro ungherese si recherà a Parigi, e senza dubbio la Commissione preparerà un testo che espliciti i princìpi e le regole di questo vincolo, per evitare qualsiasi arbitrio politico.

Basterà? A Parigi ci sperano, sottolineando che il primo ministro ungherese ha già raggiunto l’obiettivo di presentarsi come nemico numero uno di Bruxelles e ricordando che Budapest ha un bisogno vitale dei fondi europei. Staremo a vedere. Resta la questione di fondo: come si può far progredire un’alleanza costruita su valori e regole di diritto comuni di fronte alla violazione palese di questi valori e di queste regole? Prima o poi bisognerà risolvere il problema.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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