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Xi Jinping guida il sud globale nella sfida all’occidente

Xi Jinping durante un evento per celebrare la giornata nazionale della Repubblica popolare cinese a Pechino, 30 settembre 2025. (Adek Berry, Afp)

Nella sua residenza ufficiale di Zhongnanhai, adiacente alla città proibita degli imperatori cinesi, Xi Jinping può dubitare della sua potenza? Oggi il numero uno del Partito comunista cinese, al potere ormai da tredici anni, si presenta infatti come unico rivale degli Stati Uniti, e lo ha dimostrato nel corso del 2025.

Lanciando la sua guerra dei dazi, Donald Trump ha cercato di piegare la Cina con imposte doganali del 145 per cento (un record) in un contesto che registra diverse centinaia di miliardi all’anno di scambi. Ma le cose non sono andate come previsto.

La Cina ha risposto decretando un embargo sulle terre rare, i metalli preziosi indispensabili nella fabbricazione di molti prodotti, in particolare nel settore degli armamenti. Dato che Pechino detiene un semimonopolio nella lavorazione di questi metalli, le industrie statunitensi ed europee hanno immediatamente lanciato l’allarme.

Alla fine, contrariamente a quanto si auspicava, è stato Trump a tirarsi indietro per primo, fino all’incontro di novembre con Xi in Corea del Sud, che ha aperto una fase di distensione (senza dubbio temporanea). Davanti a un presidente statunitense che pensa unicamente in termini di rapporti di forze, Xi ha dimostrato di avere le armi per rispondere colpo su colpo.

Nel corso del 2025, il numero uno cinese ha messo in chiaro di volersi presentare come leader del sud globale, in contrapposizione con l’impero statunitense e con l’occidente in generale. È questo il messaggio inviato a settembre in occasione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, un’alleanza intergovernativa dominata dalla Cina, seguito dalla sfilata per l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale, organizzata due giorni dopo a Pechino.

Le foto scattate per l’occasione dicono tutto: vediamo Xi Jinping circondato dal primo ministro indiano Narendra Modi, furioso per i dazi statunitensi e diventato più conciliante nei confronti di Pechino, e da Vladimir Putin, ritenuto assolutamente frequentabile in Cina nonostante la guerra in Ucraina.

Per il 2026 Xi ha un doppio programma. Sul fronte interno, in questo periodo segnato da forti turbolenze, ha bisogno di un paese sotto controllo. L’economia cinese è molto potente per quanto riguarda le esportazioni, con eccedenze da record, ma allo stesso tempo soffre una stagnazione dei consumi interni, una tendenza che fa aumentare la disoccupazione. Il nuovo piano quinquennale cinese che comincerà nel 2026 punta a ridurre questo squilibrio.

La seconda priorità è quella di garantire l’indipendenza della Cina rispetto alle tecnologie occidentali. Da questo desiderio nascono gli investimenti massicci nell’intelligenza artificiale, nei semiconduttori, nei robot e nelle biotecnologie, campi in cui la Cina avanza rapidamente.

Gigante economico, il paese non è ancora una superpotenza a tutti gli effetti. Lo dimostra il fatto che quando in questo ultimo anno due dei suoi “amici” (o “clienti”, se preferite) come l’Iran e il Venezuela sono stati attaccati dagli statunitensi, Pechino non ha mosso un dito per aiutarli.

Per il momento la Cina accumula i benefici dell’aggressività di Trump, che tra le altre cose riesce a far dimenticare le ombre di Pechino sui diritti umani e nei rapporti con i paesi vicini. È uno dei tanti paradossi di un presidente americano che di strategico ha ben poco.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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