17 febbraio 2021 12:14

Io ti tolgo i miei microchip, tu mi togli le tue terre rare… Nonostante l’uscita di scena di Donald Trump, la rivalità tra Cina e Stati Uniti non si è allentata, e continua a ridisegnare i contorni della globalizzazione.

Una delle conseguenze impreviste di questa guerra tecnologica è l’interruzione, in molti paesi, delle catene di montaggio dell’industria automobilistica. Secondo le stime circa un milione di vetture non potrà essere assemblato nel primo trimestre del 2021.

Il motivo? La carenza di semiconduttori, i microchip al silicio che si trovano ormai in tutti gli oggetti della nostra vita quotidiana. Nelle nostre automobili, sempre più simili a computer su ruote, ce ne sono in media ottocento.

Il campione rivale
Questa carenza è causata in parte dall’embargo statunitense sulla consegna di semiconduttori alla Cina, che ha spinto le industrie cinesi ad ammassare scorte prima del blocco. Ma non è l’unica ragione. Anche la pandemia ha provocato un incremento dell’uso di materiale informatico. Ed ecco che all’improvviso la rivalità sino-statunitense si concretizza con un impatto su un settore inaspettato.

Donald Trump ha colpito dove fa male, cominciando dall’orgoglio industriale della Cina, il colosso Huawei. L’escalation è proseguita con la mancata consegna dei semiconduttori e delle apparecchiature utilizzate per fabbricarli, un settore in cui la Cina ha diversi anni di ritardo.

La Cina ha imparato l’amara lezione degli anni di Trump e sta investendo nella propria autosufficienza

Evidentemente esiste una geopolitica dei microchip. Ironia della sorte, il suo campione si trova a Taiwan, l’isola rivendicata da Pechino. Tsmc, il gigante taiwanese, è attualmente la società più efficiente del settore, con una miniaturizzazione da cui la Cina è ancora lontana. Tsmc ha dovuto annullare le consegne a Huawei a causa delle nuove leggi americane, come anche l’azienda franco-italiana Stm.

La Cina sarà sicuramente rallentata nel suo sviluppo, ma ha imparato l’amara lezione degli anni di Trump e sta investendo grandi risorse nella sua autosufficienza. I semiconduttori sono diventati una priorità nazionale.

Il risveglio europeo
Intanto Pechino si prepara a contrattaccare. Il 16 febbraio il Financial Times ha evocato la possibilità che la Cina blocchi o rallenti le esportazioni di terre rare, la famiglia di 17 minerali usati in settori strategici, a cominciare da quello degli armamenti. Servono 435 grammi di questi minerali per fabbricare un aereo da combattimento statunitense F-35, un dettaglio che pesa sicuramente nella decisione di Pechino.

Non sarebbe la prima volta che la Cina usa quest’arma: nel 2010 il governo aveva privato il Giappone delle terre rare durante un periodo di tensioni. All’epoca la Cina controllava il 95 per cento del mercato. Oggi controlla ancora l’80 per cento, e gli occidentali stanno cercando di ridurre la propria dipendenza.

La globalizzazione ha portato una divisione del lavoro e un’organizzazione industriale ottimizzata al massimo, ma la rivalità tra Cina e Stati Uniti sta comportando un ritorno delle barriere commerciali e dei riflessi di protezionismo.

Il 15 febbraio il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire e il commissario europeo per l’industria Thierry Breton avevano parlato di un piano europeo per ridurre la dipendenza “eccessiva e inaccettabile” dell’Europa dai componenti elettronici. Il risveglio è doloroso.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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