15 aprile 2016 15:18

Il 6 aprile 2016 Nazimuddin Samad, studente di legge e blogger di 28 anni, è stato aggredito con un machete per strada a Dhaka, la capitale del Bangladesh, e poi ucciso con un colpo di pistola. È solo l’ultimo di una serie di omicidi compiuti da estremisti islamici che prendono di mira soprattutto blogger e scrittori laici.

L’attuale scenario del paese non lascia spazio alla speranza: è un momento cruciale, ma anche molto difficile, per tutti quelli che credono ancora negli ideali della guerra di liberazione. Dal 2013, atei, non credenti, liberi pensatori e laici sono stati uccisi uno dopo l’altro, e le loro morti sono state rivendicate e celebrate dai fondamentalisti islamici.

Gli assassini sono diventati così abili nell’arte di pianificare e portare a termine questi omicidi che non hanno più nemmeno bisogno di nascondersi. Gli scrittori sono assassinati in pieno giorno, aggrediti nelle loro case o sul posto di lavoro. A causa della mancanza di legalità e di ordine pubblico e all’incapacità delle istituzioni di agire in modo efficace, gli assassini non devono preoccuparsi di nascondere la loro identità.

I persecutori sono noti

Quindi, sempre più spesso, le vittime sanno chi li perseguita, ma non riescono a proteggersi dai loro attacchi. Anch’io ho vissuto un’esperienza simile. Il 27 febbraio 2004, mio padre, Humayun Azad, scrittore e docente nel dipartimento di lingua e letteratura bengali dell’università di Dhaka, fu aggredito a colpi di machete mentre tornava a casa dalla fiera del libro di Dhaka.

Gli estremisti lo volevano morto già da tempo, perché aveva scritto diversi saggi e libri in cui aveva denunciato i criminali di guerra del 1971 e il fondamentalismo islamico. Dopo la sua morte sapevo che la mia vita non sarebbe stata facile ma, francamente, non pensavo che sarei stato in pericolo così presto.

Gli estremisti si sono resi conto che la situazione sta gradualmente evolvendo in loro favore

Nel gennaio del 2013 i fondamentalisti attaccarono, senza riuscire a ucciderlo, il blogger Asif Mohiuddin. Un mese dopo, il blogger Rajib Haider fu colpito a morte davanti casa sua. Lentamente, le forze fondamentaliste hanno cominciato a guadagnare terreno. Nel febbraio del 2015, in un luogo piuttosto affollato nei pressi dell’università di Dhaka, lo scrittore Avijit Roy è stato brutalmente ammazzato mentre tornava a casa dalla fiera del libro. Anche sua moglie, la scrittrice Bonya Ahmed, è stata gravemente ferita nell’attacco avvenuto sotto gli occhi di molti passanti e a poca distanza da un commissariato di polizia.

Gli estremisti si sono resi conto che possono facilmente farla franca e che la situazione sta gradualmente evolvendo in loro favore. Il 30 marzo 2015 anche il blogger Washiqur Babu è stato assassinato alla luce del sole, di fronte alla sua abitazione. Dopo di lui, a maggio dello stesso anno, il blogger e scrittore Ananta Bijoy Das è stato ucciso con le stesse modalità. Ananta aveva tentato di sfuggire ai suoi aguzzini, ma è stato finito a colpi di machete di fronte alla sua casa a Sylhet.

Le colpe e le responsabilità delle istituzioni

Lo scorso agosto è stata la volta del blogger Niloy Neel, assassinato a casa sua da quattro uomini. Niloy, consapevole dei rischi che correva, tre mesi prima di morire aveva scritto su Facebook di essersi accorto di essere pedinato. Si era perfino rivolto alla polizia per chiedere protezione, ma la polizia gli aveva candidamente consigliato di lasciare il paese.

Insoddisfatti, oltre agli scrittori, i fondamentalisti hanno cominciato a prendere di mira anche gli editori. Lo scorso ottobre, nello stesso giorno, due editori sono stati attaccati mentre erano al lavoro. Faisal Abedin Dipan, editore di alcuni libri di Avijit Roy, è morto, mentre Ahmedur Rashid Tutul è sopravvissuto, nonostante i violenti colpi di machete inferti sia a lui sia a un poeta e blogger presente al momento dell’attacco.

Su chi dovrebbe ricadere la responsabilità di queste morti? Sulla polizia? Qualsiasi tipo di inchiesta sarebbe inutile, perché manca l’intento politico di punire i colpevoli. Non spetterebbe forse alla prima ministra, Sheikh Hasina, assumersi la totale responsabilità di queste morti? Dopotutto è stata lei a spingere migliaia di giovani uomini e donne in una situazione di totale insicurezza sociale al solo scopo di vincere le elezioni. E ora, invece di fare qualcosa al riguardo, lei stessa è impegnata a collaborare con organizzazioni islamiste come l’Hefazat e islam.

E non dovrebbe sentirsi in colpa anche la leader dell’opposizione, Khaleda Zia, per come ha manipolato la religione a scopi politici? Con il suo costante sostegno ai fondamentalisti, non ha forse compromesso i diritti dei cittadini?

Un vento gelido

Non avrei mai immaginato di finire a vivere in Germania. Per me il mio paese è tutto. La morte non mi faceva paura e ho seguito le orme di mio padre. Ma l’anno scorso il gruppo fondamentalista Ansarullah bangla team, che aveva già rivendicato molti degli omicidi, mi ha nominato sul suo sito come il prossimo obiettivo. Lo scorso maggio ho ricevuto un messaggio terribile su Facebook. Diceva che mi avrebbero sgozzato e che la mia testa sarebbe stata appesa al monumento del Raju memorial, uno dei luoghi simbolo dell’università di Dhaka.

Dopo aver passato tre mesi quasi sempre chiuso in casa, o indossando un casco da motociclista se dovevo uscire, a giugno ho deciso di lasciare il Bangladesh. L’Ansarullah bangla team, nel frattempo, aveva pubblicato online una mia foto segnata con una croce rossa: non c’era più tempo per restare, dovevo andarmene.

C’è bisogno, oggi, di un mondo laico, dove gli esseri umani non siano uccisi in nome della religione

Il Bangladesh era nato sul sogno di una repubblica laica. La separazione dal Pakistan era stata giustificata da quest’aspirazione a essere diversi. Il popolo dell’allora Pakistan orientale aveva lottato per stabilire uno stato libero, basato sui pilastri della democrazia, del socialismo, del nazionalismo e del laicismo. Il Bangladesh era nato, dunque, come un’eccezione. Ma con il tempo questa eccezionalità è venuta meno e abbiamo ceduto alla mediocrità, e con il passare degli anni il sogno è stato man mano oscurato.

Un vento calmo, gelido, sta inaridendo la nostra terra. I barbari dilagano e non vogliono che il Bangladesh diventi un paese di liberi pensatori. C’è bisogno, oggi, di un mondo laico, libero dal terrorismo e dal fondamentalismo. Un mondo dove gli esseri umani non siano uccisi in nome della religione. Dove gli esseri umani siano, appunto, solo umani e dove non debbano essere costretti a portare su di sé un marchio religioso per tutta la vita.

(Traduzione di Mara Matta)

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