14 ottobre 2016 09:33

Forse accadrà davvero. Non possiamo azzardare previsioni, ma forse, il 15 ottobre a Losanna, in occasione del prossimo vertice, i capi della diplomazia russa e americana riusciranno ad accordarsi su una nuova tregua in Siria e a riaprire il negoziato per dare una speranza di pace a questo paese in macerie.

Vogliamo credere a questo scenario, perché almeno dal punto di vista logistico è chiaro che John Kerry intravede una possibilità di successo se ha deciso di attraversare l’Atlantico. Vogliamo crederci perché l’interesse di Putin non è quello di impantanarsi in una guerra senza fine, ma di diventare un artefice della pace favorendo un compromesso che potrebbe imporre senza troppa difficoltà a Bashar al Assad. Vogliamo crederci perché, se non fosse così, questo ignobile massacro provocherebbe la morte dell’intera popolazione siriana. Ma davvero abbiamo motivo di avere fiducia?

Non lo sappiamo, non lo so. Fino a questo momento Vladimir Putin si è comportato in modo totalmente irrazionale. Il suo intervento in Siria, cominciato nell’estate del 2015, gli aveva regalato diverse carte vincenti.

Un’occasione sprecata
Avendo salvato Bashar al Assad dal collasso militare che minacciava il suo regime, il presidente russo si era messo nella posizione ideale per ottenere un risultato senza precedenti: convincere il presidente siriano a ritirarsi e al contempo collaborare con gli occidentali e i paesi sunniti affinché una coalizione di uomini del regime permettesse una transizione ordinata, garantisse la sicurezza di tutte le comunità e proteggesse l’integrità territoriale della Siria.

In più di un’occasione è sembrato che Putin volesse favorire un compromesso, le cui grandi linee sono state tracciate e accettate da tutti gli attori coinvolti, ma questa speranza è stata regolarmente delusa perché, ogni volta, il presidente russo si è ridotto alla volontà di restituire ad Assad i poteri perduti.

La popolazione siriana potrà perdere una battaglia ma non si allineerà mai al governo di Assad

Putin non riuscirà mai a farlo, ma crede di poterlo fare. Questo è il suo grande errore (suo e di tutti quelli che lo applaudono sui social network) perché i popoli arabi, in Siria e altrove, non vogliono più dittature, perché la dittatura siriana è una questione privata della famiglia Assad, perché il clan Assad fa parte di una corrente dello sciismo, gli alauiti, mentre più del 60 per cento dei siriani è sunnita, perché il presidente ha deciso di trascinare il paese in guerra pur di non concedere la minima apertura e perché i paesi sunniti non accetteranno mai che questo alleato dell’Iran sciita possa prevalere, con l’appoggio di Teheran e di Mosca, contro la maggioranza sunnita della popolazione siriana.

In Siria non ci sono solo due schieramenti, il regime Assad e il gruppo jihadista Stato islamico (Is), ma tre: il regime che deve la sua sopravvivenza agli alleati stranieri, l’Is che continua ad arretrare sotto i colpi della coalizione internazionale guidata dagli americani e la popolazione, che potrà anche perdere una battaglia ma non si allineerà mai al governo di Assad. Fino a quando Putin non avrà compreso questo stato di cose, continuerà a spingere la Russia in una guerra che non può vincere. È per questo che dobbiamo sperare in un’illuminazione, magari domani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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