08 gennaio 2017 16:01

David Rieff, In praise of forgetting
Yale University Press, 145 pagine, 19 euro

Brecht scriveva: “Buona cosa è la dimenticanza! Altrimenti come farebbe il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?” e pensava che la “fragilità della memoria dà forza agli uomini”. In questo libro David Rieff mostra in modo complementare che l’utilità del ricordare è sopravvalutata.

Tutti ripetono la frase di George Santayana “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”, ma le cose stanno così? Se davvero non dimenticare un genocidio avesse permesso di evitarlo non ci sarebbero stati la Cambogia e il Ruanda. E molti genocidi, a partire dall’Olocausto, sono avvenuti in nome di una fondante memoria della nazione.

Anche quando non serve a perpetrare massacri, del resto, quella pratica collettiva che chiamiamo memoria storica si presta a legittimare coloro che governano, a perpetuare un conflitto che potrebbe attenuarsi o finire, o ancora a solleticare gli istinti peggiori del popolo.

In un momento in cui nel mondo la maggior parte dei leader politici cerca di far leva su un “popolo unito”, David Rieff, che ha seguito da vicino le guerre dei Balcani e che ci ha consegnato importanti riflessioni sul fallimento degli aiuti umanitari, lancia con questo libro una nuova provocazione: e se la memoria, alla fine, fosse meno morale dell’oblio?

Questa rubrica è stata pubblicata il 6 gennaio 2017 a pagina 86 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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