06 dicembre 2016 11:02

So che dicendolo rischio la revoca della mia cittadinanza britannica, ma mi è piaciuto molto come John Dunne – l’americano che ha inventato i badge Tube chat che incoraggiano le persone a chiacchierare sulla metro di Londra – ha reagito all’ostilità suscitata dal suo progetto. Ne ha ordinati il doppio, ha reclutato volontari disposti a indossarli, e si è gettato di nuovo nella mischia. Non mi fraintendete, da buon inglese il mio primo istinto è stato pensare che chiunque proponesse di chiacchierare di più con gli estranei avrebbe dovuto essere sbattuto in prigione senza processo.

Ma a rifletterci bene, è una reazione sbagliata. Dopotutto, Tube chat non incoraggia le conversazioni indesiderate (se non si ha voglia di parlare basta non mettere il badge). La principale obiezione sembra sia stata che sarebbe straziante essere costretti ad ascoltare i goffi tentativi degli altri passeggeri di instaurare un dialogo. Ma se uno è inorridito all’idea che esistano esseri umani pronti a impegnarsi in attività così banali in pubblico, non è che per caso il problema è suo?

Perché la verità – secondo una serie di ricerche, che adesso sono diventate un libro dell’esperta americana di educazione Kio Stark intitolato When strangers meet – è che le persone sono veramente più contente quando parlano con gli sconosciuti, anche se erano convinte di non poterlo sopportare. Qualcuno ha subito obiettato pensando alle molestie in strada, ma Stark è stata chiara, la sua teoria non le giustifica (nessuno di quelli che pensano che sia accettabile importunare una donna chiedendole di togliersi le cuffiette, come nel caso dello squallido post su YouTube che è diventato virale la scorsa estate, troverà conforto nella tesi di Stark).

Pause piacevoli e sorprendenti
Ma il suo libro suggerisce che il modo giusto per combattere una cultura di interazioni sgradevoli tra estranei è favorire una cultura di interazioni più ricche di empatia e sensibilità – non escludete del tutto la possibilità, anche se si può avere la sensazione di arrendersi agli importuni. Gestiti nel modo giusto, dice Stark, gli incontri tra sconosciuti costituiscono “piacevoli e sorprendenti pause nella prevedibile routine della nostra vita quotidiana… che ci fanno riscoprire domande per le quali pensavamo di conoscere già la risposta”.

A parte il legittimo timore di essere importunati, probabilmente non ci piace l’idea di attaccare discorso con un estraneo perché questo unisce due ostacoli su quella che consideriamo la strada della felicità. Uno è la nostra scarsa capacità di fare “previsioni affettive”, cioè di prevedere quello che ci farà felici: quando i ricercatori chiedono ai loro soggetti di immaginare di parlare con qualcuno sul treno o in autobus, molte persone rimangono inorridite; ma quando poi gli chiedono di farlo veramente, alla fine dicono di essersi godute di più il viaggio. Il secondo problema è la nostra “ignoranza pluralistica”, che ci spinge a rispettare una regola perché pensiamo che sia condivisa da tutti, mentre in realtà gli altri agiscono pensando esattamente la stessa cosa. E quindi la carrozza del treno rimane muta, anche se molti avrebbero una gran voglia di parlare.

Non mi aspetto che i lettori più bisbetici abbocchino a questa teoria. Convince a malapena anche me, il che spiega perché i miei ultimi tentativi di parlare di più con gli estranei sono stati così esitanti (anche perché sono ancora traumatizzato dall’averci provato durante un recente viaggio in Svezia, i cui abitanti sono forse gli unici meno inclini degli inglesi a chiacchierare in un luogo pubblico). Ma proprio questo è il problema delle previsioni affettive: non possiamo fidarci delle nostre. Perciò siete proprio sicuri che non mettereste mai un distintivo Tube chat? Forse questo è proprio il segno che dovreste farlo.

(Traduzione Bruna Tortorella)

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