28 marzo 2017 19:00

1. Mudimbi, Empatia
Canto non canto, rap un po’ trap, inno all’amore da un poliamoroso: “Ho scritto la prima strofa quando ero fidanzato con una ragazza. La seconda quando ero fidanzato con un’altra ragazza. Poi la canzone era troppo lunga; l’abbiamo spezzettata e rincollata. E per tenere incollato il tutto ne abbiamo aggiunta una terza”. Mudimbi è il cognome del giovane talento del Tronto, marchigiano-congolese di San Benedetto, l’album si chiama Michel come lui, e ricorda gli Arrested Development agli inizi, la freschezza e la parlantina.

2. Daymé Arocena, Negra caridad
Ora che è ancora più aperta si torna a dirottare su Cuba, con la negra carità e altre virtù, teologali e no, della cantante reclutata da Gilles Peterson, arbiter della coolness dipinta di black, per la sua etichetta Brownswood. Una interpretautrice di razza per l’album Cubafonía, tra cumbia, rumba e altri sincretismi di cuore e di rum. A volte evoca Sade, a volte Aretha, ma senza mai spostarsi troppo dal Buena Vista Social Club, accogliendo anzi multiple influenze globali nella sua isola, che musicalmente rimane l’approdo più fertile dei Caraibi.

3. Corde Oblique, A fondo oro (feat. Ensemble Micrologus)
Altro che trap: è un trip la musica antica riletta dal chitarrista, compositore e arrangiatore Riccardo Prencipe (le cui Corde Oblique ripartono dal Lanificio25 di Napoli con il tour dell’album Maestri del colore). Qui si canta della madre di Gesù, la quale non consente atti di villania nel monastero di Montserrat e opera un sortilegio, intrappolandovi un furfante mischiatosi ai pellegrini. Quasi un proto-rap sulla virtù come necessità, e già ad ascoltarlo (grazie anche alla voce di Annalisa Madonna) ci si sente più buoni.

Questa rubrica è stata pubblicata il 24 marzo 2017 a pagina 92 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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