12 giugno 2013 08:38

Il primo ministro ha scelto di privilegiare la sua base a scapito della Turchia. Nella giornata di martedì, facendo sgomberare piazza Taksim e rispondendo con la forza alla rivolta pacifica delle giovani generazioni che rifiutano in massa il suo autoritarismo e il puritanesimo, Recep Erdoğan ha preferito il rischio di accentuare la spaccatura nel suo paese a quello di deludere la corrente più inflessibile del suo partito (Akp), la stessa che lo ha portato al potere tredici anni fa e che da allora lo ha fatto rieleggere più volte.

Il messaggio inviato da Erdoğan all’Akp, nato dall’islamismo e diventato la prima forza politica del paese dopo aver accettato le regole democratiche, è chiaro: nel partito non c’è spazio per il dibattito, esiste un solo capo ed è a lui che spettano le decisioni. Il primo ministro aveva urgente bisogno di riaffermare la sua autorità, anche perché dalla sua partenza per il Maghreb, lunedì scorso, all’interno dell’Akp erano emerse voci discordanti dalla sua.

Spalleggiato da un vice primo ministro, il presidente della repubblica Abdullah Gül aveva criticato la brutalità della polizia, teso la mano a quei manifestanti che Erdoğan definisce “terroristi” e ricordato che il diritto a scendere in piazza è inseparabile dalla democrazia. Sottile e riflessivo tanto quando il primo ministro è granitico, Gül aveva cercato di preservare il consenso nazionale creato nel corso degli anni dagli islamo-conservatori alleandosi con gli imprenditori, confinando i militari nelle caserme, assicurando una stabilità politica che ha favorito la forte crescita economica e soprattutto introducendo importanti riforme democratiche senza le quali la candidatura europea della Turchia non avrebbe alcuna possibilità di successo.

È grazie a questo riposizionamento politico che l’Akp ha saputo allargare la sua base elettorale. Gli ex islamisti stavano diventando un grande partito conservatore sempre più paragonabile ai partiti cristiano-democratici europei, e questa linea incontrava la piena approvazione dei quadri, interessati innanzitutto alla salute dell’economia. Tuttavia Erdoğan ha una visione profondamente diversa dell’islamo-conservatorismo. Non è corretto sostenere che voglia instaurare una teocrazia o una dittatura, ma di sicuro ha intenzione di creare un regime presidenziale forte, re-islamizzare la Turchia, imporre l’ordine morale e trasformare il paese nel cuore del mondo musulmano, riportandolo ai fasti dell’impero ottomano.

All’interno dell’Akp convivono due linee, ed è imponendo la sua (e limitando di recente il consumo di alcol) che Erdoğan ha scatenato le manifestazioni di piazza. Con la prova di forza di martedì, più che domare la contestazione il primo ministro ha voluto riprendersi l’Akp. Il problema è che la tensione preoccupa sempre più gli imprenditori, e la classe media non gradisce che qualcuno le imponga uno stile di vita che non gli appartiene. In Turchia stiamo assistendo alla disgregazione di un consenso politico, e per Erdoğan sarà molto difficile ricostruirlo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it