15 ottobre 2014 12:00

Si parla di Srebrenica. Sì ma non ci siamo ancora arrivati. E di Stalingrado, ma il paragone non è calzante. Se vogliamo trovare un precedente storico per l’abominio morale in corso a Kobane dobbiamo tornare all’estate del 1944, quando Varsavia si ribellò contro l’invasore nazista, e l’Armata rossa, che si trovava a pochi chilometri dalla capitale polacca, rimase immobile fino a quando la rivolta non fu soffocata.

Stalin non mosse un dito perché non voleva che Varsavia fosse liberata dalla resistenza interna, una resistenza non comunista che avrebbe potuto opporsi alle sue mire sulla Polonia.

La ragion di stato sovietica favorì un crimine orrendo, e lo stesso sta accadendo oggi con la ragion di stato turca.

I carri armati turchi hanno l’ordine di non intervenire e non ostacolare l’inesorabile avanzata dei jihadisti dello Stato islamico a Kobane, e il motivo è semplice: la città, al confine con la Turchia, è il terzo centro curdo della Siria, e il rischio è che dopo aver respinto gli islamisti, i curdi siriani si separino dalla Siria di Bashar al Assad e conquistino la stessa autonomia del Kurdistan iracheno.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan non vuole che questo accada, perché teme un risveglio dell’ambizione indipendentista dei quindici milioni di curdi di Turchia e una conseguente spaccatura del paese.

Per questo motivo Ankara ha resistito a tutte le pressioni, dichiarando che interverrà solo a due condizioni.

La Turchia pretende che la coalizione internazionale contro lo Stato islamico accetti prima di tutto di creare una zona cuscinetto alla frontiera turco-siriana, in cui saranno inviati i rifugiati ospitati all’interno dei confini turchi, e in secondo luogo che attacchi anche il governo siriano per farlo cadere prima che la Siria si smembri definitivamente e il suo Kurdistan si dichiari indipendente.

Queste sono le condizioni di Ankara. La Francia è abbastanza propensa ad accettarle, ma gli Stati Uniti continuano a opporsi perché attaccare Damasco significa attaccare l’Iran.

Questo equivarrebbe a schierarsi a favore dei sunniti e contro gli sciiti nella guerra religiosa che sta sconvolgendo il Medio Oriente e oppone due grandi potenze come l’Arabia saudita e l’Iran. Washington preferirebbe contenere lo Stato islamico con i bombardamenti e soprattutto non intende lasciarsi coinvolgere in un conflitto regionale destinato a durare decenni.

È un ragionamento logico, ma quando il dramma di Varsavia si ripeterà a Kobane e i curdi turchi riprenderanno le armi contro lo stato che ha lasciato morire i loro cugini siriani, questi ragionamenti appariranno per quello che sono: calcoli meschini e scriteriati.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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