23 agosto 2015 18:00
Un leopardo tra le rocce nel distretto di Pali, nello stato indiano del Rajasthan. (Deepak Sharma, Ap/Ansa)

L’umanità si comporta come un super predatore a livello mondiale. A causa di queste specificità di comportamento rispetto ai predatori naturali, l’impatto antropico è spesso insostenibile.

Un gruppo di ricerca canadese, composto da Chris Darimont, Caroline Fox, Heather Bryan e Thomas Reimchen, ha studiato 2.125 specie di predatori naturali, paragonandone l’azione a quella umana. I ricercatori hanno scoperto che la caccia – per lo più sportiva – e la pesca operate dagli esseri umani si concentrano sugli esemplari adulti invece che sui giovani, fino a 14 volte di più che in natura.

I predatori naturali infatti tendono a nutrirsi dei giovani esemplari, che rappresentano gli “interessi” generati da una popolazione di prede. Al contrario, l’umanità preferisce sfruttare il “capitale”, cioè gli individui adulti. Inoltre, è forte l’interesse umano per i carnivori, cioè per gli altri predatori, soprattutto quelli marini. Queste preferenze, più che la semplice pressione della pesca o della caccia, spiegano perché molte specie sono in declino. Tali scelte di comportamento portano infatti a ristrutturazioni della catena alimentare, riorganizzazione degli ecosistemi, sia terrestri sia marini, cambiamenti nella taglia dei pesci e altri fenomeni, che non si manifestano con i predatori naturali.

In genere, gli studi sulla sostenibilità della caccia e della pesca si basano sull’abbondanza delle risorse, ma non sul tipo di sfruttamento e sulle conseguenze ecologiche. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science.

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