Molti di quelli che sui social network lo avevano celebrato il giorno del suo insediamento a Montecitorio, condividendo la sua foto con gli stivali di gomma sporchi di fango e il pugno alzato, sono diventati i suoi critici più severi nell’arco di poche ore. “Non è nemmeno indagato”, hanno continuato a dire alcuni, mentre la maggior parte dei suoi sostenitori prendevano le distanze da quello che fino al giorno prima avevano acclamato come il leader in pectore dell’opposizione al governo Meloni, l’idolo della sinistra italiana. Così, Aboubakar Soumahoro, uno dei pochi deputati afrodiscendenti della storia della repubblica, è stato travolto da una valanga di sospetti e accuse ed è diventato il protagonista di una vicenda molto dolorosa, non solo per i suoi compagni di partito.

“Dalla propria area politica uno si aspetta il doppio, non la metà della trasparenza e la metà del vittimismo”, ha commentato il giornalista di Repubblica Matteo Pucciarelli con enfasi, intervenendo su Facebook dopo la pubblicazione sui social network di un video in cui il deputato dell’alleanza Verdi-Sinistra italiana, in lacrime, accusava dei non meglio precisati nemici di volerlo distruggere, dopo aver annunciato nei giorni precedenti che avrebbe querelato tutti quelli che lo stavano attaccando per l’inchiesta giudiziaria che stava coinvolgendo la sua famiglia.

In quelle ore era stato proprio un articolo di Repubblica a rilanciare accuse e sospetti sull’ex sindacalista, originario della Costa d’Avorio, diventato famoso nel 2018, in seguito all’uccisione del sindacalista maliano Soumaila Sacko a San Ferdinando, in Calabria. Soumahoro all’epoca aveva promosso una campagna di raccolta fondi per permettere il rimpatrio della salma del maliano e garantire un sostegno economico alla famiglia dell’immigrato ucciso. Ma a un mese dalla sua elezione in parlamento l’ex bracciante è stato accusato di avere chiuso gli occhi di fronte alla situazione di sfruttamento dei lavoratori delle cooperative gestite dalla suocera e dalla moglie in provincia di Latina, accusate a loro volta di non avere pagato gli stipendi ad alcuni dipendenti e di avere costretto i richiedenti asilo, ospiti delle loro strutture, a vivere in condizioni inaccettabili.

Sulla vicenda dei 26 lavoratori delle cooperative Karibù e del consorzio Aid ha aperto un’indagine la procura di Latina, mentre la figura di Soumahoro è stata toccata da altri sospetti, in realtà noti da tempo alla stampa, ma che i vertici del partito che lo ha candidato hanno negato di conoscere. Il deputato – che nel 2020 è uscito dal sindacato Usb e ha fondato una nuova associazione, la Lega dei braccianti – è stato accusato da alcuni suoi ex compagni di avere avuto una gestione opaca dei soldi raccolti attraverso dei crowdfunding che ammontano a più di 350mila euro e che avrebbero dovuto essere destinati alla distribuzione di pacchi alimentari nelle baraccopoli durante la pandemia, a organizzare scioperi e manifestazioni, o per sostenere le famiglie dei braccianti morti sul lavoro o per degli incidenti. Ma che, secondo alcuni, sarebbero arrivati solo in parte nelle mani dei loro destinatari. Infine il sindacalista è stato accusato di essersi affidato ad alcuni caporali delle baraccopoli del foggiano, nel tentativo di controllare quelle zone e impedire ad altri sindacati di svolgere la loro attività.

Ma la sua vicenda, indipendentemente da come si risolverà dal punto di vista giudiziario, avrà (e ha già avuto) conseguenze politiche profonde su un intero settore, rischia di distruggere il lavoro di molti e mostra alcune contraddizioni strutturali della politica degli ultimi anni: dalla maniera in cui i partiti della sinistra si occupano di immigrazione e accoglienza a quella in cui selezionano la loro classe dirigente, fino al razzismo che permea l’intera discussione quando il protagonista di uno scandalo è un nero, in un sistema che garantisce ancora pochissima rappresentanza a chi ha un background migratorio o è di origini straniere.

Il “business” dell’accoglienza

L’inchiesta è partita a metà novembre dalla segnalazione di un sindacato, l’Uiltcs, che ha denunciato la cooperativa Karibù (presieduta da Marie Thérèse Mukamitsindo, suocera del deputato) per non aver pagato gli stipendi a 26 dipendenti per due anni. Davanti all’ispettorato territoriale del lavoro di Latina la cooperativa ha stipulato dei verbali di conciliazione con i 26 dipendenti per la rateizzazione di retribuzioni arretrate pari a 400mila euro. Un lavoratore della cooperativa ha sostenuto anche che gli è stato chiesto di produrre fatture false per essere pagato. Inoltre alcuni richiedenti asilo hanno denunciato alla stampa di essere stati ospitati dentro a strutture che per dei periodi sono state senza acqua ed elettricità. Infine sulla stampa è emerso che una delle cooperative ha ricevuto finanziamenti pubblici senza partecipare a un bando di gara, ma con l’assegnazione diretta. In un’intervista alla trasmissione televisiva Piazza pulita, Soumahoro ha ribadito di non essere al corrente della situazione. Ma queste dichiarazioni hanno fatto discutere per l’impegno dell’ex sindacalista proprio contro lo sfruttamento del lavoro.

Al di là delle responsabilità che saranno accertate dall’indagine, in questa vicenda emergono ancora una volta le contraddizioni del sistema italiano di accoglienza: il permanere di alcune condizioni strutturali che favoriscono lo sfruttamento lavorativo degli operatori sottoposti a un regime contrattuale che non li garantisce e il taglio progressivo degli investimenti pubblici, che già in passato hanno portato ad abusi e all’erogazione di servizi insufficiente per i richiedenti asilo. Il tema non è nuovo, il sistema di accoglienza è più volte stato al centro di scandali – dal Cara di Mineo a Mafia capitale – tuttavia la campagna di criminalizzazione dell’accoglienza che ne è conseguita non ha portato a una riforma, bensì a un’ulteriore opacità e al peggioramento delle condizioni delle strutture.

L’inchiesta più famosa e capillare è stata quella che ha riguardato Roma e la sua gestione criminale dei profughi, scoperta dall’inchiesta “Mondo di mezzo” che nel 2014 ha portato a una serie di arresti importanti tra cui quello dell’ex Nar legato alla banda della Magliana Massimo Carminati e di Salvatore Buzzi. Dopo quella vicenda fu istituita una commissione d’indagine parlamentare sul sistema di accoglienza nella diciassettesima legislatura, che tuttavia si è chiusa nel 2018, senza portare significativi cambiamenti. Da due anni, inoltre, non è presentata al parlamento la relazione sull’accoglienza, che dovrebbe essere pubblicata ogni anno, e che invece è ferma al 2019. A partire dall’inchiesta Mondo di mezzo, la destra ha parlato di “business dell’accoglienza”, attaccando molte cooperative e organizzazioni che si sono occupate dei profughi legate a organizzazioni della sinistra o di area cattolica. Il giornalista Mario Giordano scrisse Profugopoli nel 2016, affermando che “l’accoglienza è un grande affare”.

Il risultato di questa campagna è stata una progressiva riduzione dei fondi pubblici destinati all’accoglienza, che ha finito per peggiorare la condizione dei centri. Dopo il ridimensionamento del sistema di accoglienza, imposto dal cosiddetto decreto sicurezza nel 2018, solo in parte emendato dal decreto Lamorgese nel 2020, la spesa per l’accoglienza è diminuita del 25 per cento nel biennio 2018-2020 e molti centri hanno chiuso, alimentando un sistema di servizi al ribasso, penalizzante per i richiedenti asilo e per i lavoratori del settore.

Fabrizio Coresi, tra gli autori dello studio di Action Aid e Openpolis Centri d’Italia, conferma che l’affidamento diretto degli appalti senza bando di gara nel 2020 ha riguardato 128 centri su quattromila (il 3 per cento del totale) e nel 2021 sono aumentati del 4,3 per cento gli appalti affidati senza bando di gara (168 centri). I fondi pubblici arrivano spesso in ritardo agli enti gestori e in generale, dopo i tagli del 2018, gli enti più titolati e più professionali si sono ritirati dai bandi di gara, non riuscendo a garantire un servizio adeguato, così sono stati favoriti i grandi centri e gli enti gestori meno qualificati.

“Le cooperative spesso non riescono ad anticipare i fondi pubblici, per chi lavora nel settore dell’accoglienza ricevere lo stipendio in ritardo è abbastanza frequente”, continua Coresi. “Senza considerare che le condizioni contrattuali sono spesso precarie. Il lavoro degli operatori è molto delicato ed è impossibile farlo vivendo in una condizione di difficoltà economica e incertezza”, conclude Coresi.

Dopo il 2018, la spesa media stanziata per l’accoglienza è passata dai 35 euro al giorno a persona ai 21-25 euro al giorno a persona, questo ha prodotto un’offerta in generale più scandente e una riduzione complessiva dei posti disponibili. Lo stesso ministro dell’interno Matteo Piantedosi, parlando alla camera e al senato il 16 novembre, ha denunciato che i bandi di gara per l’assegnazione dei posti in accoglienza vanno sempre più spesso deserti, senza spiegare tuttavia le ragioni di questo fenomeno, che risiedono proprio nella scarsità di fondi stanziati da parte dello stato. Secondo quanto ammesso dallo stesso Piantedosi, 76 gare di appalto sono andate deserte nel 2022 e solo metà dei 66mila posti in accoglienza sono stati quindi contrattualizzati.

“Infine in questo settore continua a permanere una profonda mancanza di trasparenza”, conferma Coresi. “Per accedere ai dati e alle informazioni spesso abbiamo dovuto passare dalla via giudiziaria, fare ricorso al Tar oppure chiedere accesso agli atti con gli avvocati”, spiega il ricercatore. Al di là del caso Soumahoro quindi si dovrebbe aprire una riflessione più ampia sulle condizioni di lavoro nei centri di accoglienza, sull’opacità che permane nell’erogazione di questi servizi e sugli standard offerti ai richiedenti asilo in Italia.

Un vuoto da colmare

Soumahoro è arrivato in Italia a 19 anni dalla Costa d’Avorio, si è laureato in sociologia all’università orientale di Napoli con il massimo dei voti con una tesi sui lavoratori immigrati in Italia, prima ha fondato la Coalizione internazionale sans-papiers, migranti e rifugiati (Cispm), poi è entrato nell’Unione sindacale di base (Usb).

Era già conosciuto nella cerchia dei movimenti di sinistra, quando nel giugno del 2018 è emerso sulla scena nazionale in seguito alla morte del sindacalista maliano Soumalia Sacko, ucciso con dei colpi di fucile alla schiena mentre stava cercando di recuperare delle lamiere per costruire una baracca a San Ferdinando. Qualche giorno prima, il leader della Lega Matteo Salvini era diventato ministro dell’interno e aveva cominciato a realizzare quello che prometteva da anni: una politica molto aggressiva contro le ong e contro tutte le organizzazioni che si occupavano di immigrazione. La sua prima visita da ministro fu all’hotspot di Pozzallo, una delle sue prime azioni di governo fu la chiusura dei porti alle navi delle ong. “È finita la pacchia”, è stato uno degli slogan più ripetuti da Salvini in quel momento.

Ma i partiti dell’opposizione non contrastarono in maniera compatta l’ex ministro dell’interno, almeno in un primo momento, per almeno due ragioni. La prima era che nel 2017 era stato il governo guidato da Paolo Gentiloni (con Marco Minniti ministro dell’interno) a cominciare la campagna di ridimensionamento del soccorso in mare e dell’accoglienza con l’approvazione dei decreti Minniti-Orlando, la firma degli accordi con Tripoli per fermare i migranti e l’approvazione del codice di condotta per le ong.

Aboubakar Soumahoro durante una manifestazione contro il razzismo a Roma, giugno 2018. (Antonio Masiello, Getty Images)

Il secondo motivo era che non volevano perdere consenso sulla questione dell’immigrazione, come ha spiegato lo stesso Minniti nel suo libro Sicurezza è libertà (Rizzoli 2017). “La sinistra riformista deve uscire dallo scacco prodotto dall’alternativa del diavolo tra consenso e principi etici. La frase che noi spesso ripetiamo ‘Di fronte alla salvezza di una vita preferiamo perdere voti’ segnala una fragilità politica. Si tratta di cimentarsi con il governo dei flussi migratori e allo stesso tempo di non perdere voti”, scriveva Minniti già nel 2017.

Per questo soprattutto in una prima fase dell’insediamento del governo giallo-verde, l’opposizione al ministro dell’interno Matteo Salvini e alle sue politiche migratorie è stata impersonata da figure dell’associazionismo, da intellettuali o personaggi che hanno avuto un approccio più etico che politico, hanno sfidato Salvini cioè più sul piano dei valori (l’obbligo al soccorso, il dovere umano all’accoglienza) che sul piano delle politiche (riforma delle leggi migratorie, politiche più razionali dei visti, politica estera e leggi sul lavoro che includano gli stranieri).

Soumahoro è diventato uno di questi personaggi, come la comandante della SeaWatch Carola Rackete che decise di infrangere il divieto di attraccare nei porti italiani nel 2019. Hanno avuto un ruolo anche intellettuali come Roberto Saviano o Michela Murgia che si impegnarono in prima persona sul tema e si contrapposero all’allora ministro dell’interno. Il loro lavoro si è svolto soprattutto nelle trasmissioni televisive e sui social network, mentre nelle piazza militanti e volontari si sono ritrovati in contrapposizione non solo con la destra al governo, ma anche con i partiti della sinistra istituzionale.

Soumahoro rispondeva anche a un’altra esigenza: la domanda di rappresentanza da parte delle persone afrodiscendenti e di origine straniera. Nel dicembre del 2017, infatti, era naufragato un nuovo tentativo di riformare la legge sulla cittadinanza e questo fallimento aveva ancora una volta messo in luce che la classe dirigente italiana (non solo i vertici dei partiti) era (ed è) ancora formata solo da persone bianche e di lingua italiana.

Ma in alcuni settori della società, in particolare nel sindacato, stavano avvenendo dei cambiamenti: sempre più spesso in alcuni comparti gli stranieri conducevano e guidavano le lotte nei posti di lavoro. Soumahoro dava visibilità a questo mutamento: per la prima volta sulla scena pubblica un sindacalista afrodiscendente parlava per sé, superando lo stereotipo dell’immigrato vulnerabile che ha bisogno di cure e che delega l’espressione dei suoi bisogni alle associazioni e agli umanitari. Era un elemento di novità rispetto al passato.

La scelta della classe dirigente

Nel suo libro Pelle nera, maschere bianche (Edizioni Ets 2015) lo psichiatra e antropologo francese Frantz Fanon ha descritto il circolo vizioso a cui vanno incontro i neri che cercano una legittimazione nelle società bianche. Spesso cercano di assecondare lo sguardo delle classi dominanti, nel tentativo di farsi accettare, provano a rispecchiare l’ideale positivo del “buon immigrato”. Le classi dominanti a loro volta accettano di includere solo chi attenua gli elementi di conflitto e si rende assimilabile.

Il ricercatore e traduttore Richard Braude in un articolo su Jacobin ha spiegato come “il primo Soumahoro, quello del periodo antisalviniano, non nominava il suo essere africano o nero. Aveva creato una propria figura televisiva e per questo manifestava visivamente il proprio colore della pelle ma lo lasciava semplicemente intendere. Ha ostentato un linguaggio aulico, l’italiano della Crusca, è stato prolisso anche nel citare teorici militanti italiani (Giuseppe Di Vittorio, Antonio Gramsci, Danilo Dolci) quasi sfottendo la destra visivamente bianca per non essere in grado di rispondergli intellettualmente”. Anche per questo è stato molto amato dalla stampa ed è diventato un personaggio mediatico.

Sulla scia del suo successo, nel 2020 ha lasciato l’Usb, in contrasto con l’organizzazione, e sempre in quell’anno ha convocato diverse manifestazioni, tra cui una a piazza San Giovanni chiamata “gli stati generali”, in cui molti hanno ipotizzato una sua imminente discesa in campo. In un comunicato pubblicato negli ultimi giorni il sindacato Usb ha spiegato: “Nel 2018, dopo le prime apparizioni sui media, Abou ha mostrato una evidente insofferenza a una relazione d’organizzazione, piegando le iniziative sindacali alla propria necessità di emergere piuttosto che alla concreta risoluzione dei problemi”.

L’Usb, nel comunicato, avvalora la tesi secondo cui Soumahoro avrebbe avuto una gestione poco trasparente dei fondi raccolti nei crowdfounding: “La costruzione della Lega braccianti, non un sindacato ma un’associazione, avviene a marzo 2020, quindi all’insaputa di Usb. La sua fuoriuscita e l’emersione della Lega braccianti produce una spaccatura tra i braccianti del foggiano, tra quelli che scelsero di rimanere nell’Usb e quanti decisero inizialmente di seguire Abou ma che, scottati da una gestione economica come quella che sta emergendo dalle indagini e dalle denunce degli stessi, ne fuoriuscirono”.

Il giornalista di Radio popolare Massimo Alberti ha ricostruito le accuse contro Soumahoro che erano note alla stampa ben prima che emergesse la possibilità di sua candidatura per le elezioni politiche del 2022. “A Radio Popolare, per primi in un’intervista dell’8 settembre abbiamo, in modo corretto, puntuale e circostanziato, chiesto conto ad Aboubakar Soumahoro di una serie di accuse di opacità che iniziano almeno un anno fa e arrivano da sindacalisti e braccianti. Non era ancora emersa, in modo così dirompente, la vicenda delle cooperative, già comunque ben nota da mesi a chi in Agro Pontino svolge attività sindacale, ma ce n’erano sul tavolo almeno altre due, ben note da tempo a chi segue le dinamiche nel mondo sindacale e dei braccianti”, scrive Alberti sulla sua pagina Facebook, citando anche altre inchieste di Avvenire e di Fanpage, oltre a quelle dei giornali di destra come La Verità e alle denunce degli ex compagni di lotta di Soumahoro, Alfa Berry e Sambare Soumalia, co-fondatori della Lega dei braccianti o di altri attivisti raccolti sotto la sigla di Campagne in lotta.

Il giornalista di Radio popolare si chiede se i dirigenti di Verdi e Sinistra italiana fossero al corrente di queste accuse, note a tutti da almeno un anno. I vertici del partito, dopo che l’inchiesta è trapelata, hanno chiesto chiarimenti al deputato che si è autosospeso dal gruppo, Fratoianni ha fatto capire che avrebbe voluto le sue dimissioni. In diverse interviste alla stampa Angelo Bonelli, leader dei verdi, ha riconosciuto che “c’è stata un’incapacità di selezione nella candidatura”, ma in un’intervista video a Repubblica se l’è presa con la stampa e la tv, che hanno avuto la colpa di accreditare l’ex bracciante e dargli spazio: “Sfido chiunque… lo invitavano, gli hanno dedicato una copertina”.

Nessuna riflessione è stata aperta sui metodi di selezione della classe dirigente da parte dei partiti della sinistra, né sulle conseguenze per le battaglie che il deputato rappresenta. Soumahoro ha smesso di rispecchiare l’immagine del “buon immigrato”, per incarnare un altro stereotipo, quello del “nero che tradisce” la fiducia dei bianchi, “l’immigrato immeritevole”. E così è stato rapidamente abbandonato da chi avrebbe dovuto difenderlo.

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