Guardando la mappa del bacino idrografico del fiume Po, il corso d’acqua più lungo e con maggior portata media del paese, si rimane smarriti davanti alle centinaia di venature azzurre che scendono dalle vallate alpine e appenniniche per poi riunirsi e dare forma, nella pianura padana, alla grande traccia blu che sfocia nell’Adriatico. Bagna città come Torino, Piacenza e Cremona, lambisce Ferrara e nel suo bacino vivono sedici milioni di persone.

L’economia del Norditalia è potuta crescere anche grazie alla sua acqua, sempre abbondante perché proveniente da innumerevoli e diversificate fonti e processi naturali: sorgenti montane, fusione nivale, ghiacciai, grandi laghi e risorgive di pianura. Sul Po si produce il 40 per cento del prodotto interno lordo nazionale grazie anche alla stabilità della sua portata dalla quale dipendono molti settori, primo tra tutti l’agricoltura.

Risalendo lentamente il corso del fiume lungo la ciclovia Vento, che si snoda sopra i suoi argini maestri, ci si rende conto della potenza dell’acqua che il suo letto può contenere. Un flusso che può arrivare a riempire il suo grande alveo da parte a parte con sei metri d’acqua che scorrono tra la campagna circostante, ingabbiati in argini distanti anche due chilometri uno dall’altro. Una quantità enorme, fino a diecimila metri cubi al secondo in caso di piena eccezionale, come quella avvenuta nel 1951 o nel 2000. In un solo giorno può cadere talmente tanta pioggia pari a un decimo di tutta quella che cade in Italia in un anno. Evidentemente è impossibile conservare tutta quell’acqua.

Ed è proprio ragionando sull’enorme quantità d’acqua che il fiume deve poter smaltire in caso di piena, e in base alla quale la natura e l’intervento umano hanno modellato il suo assetto, che si capisce che ora qualcosa non va. Il perdurante stato di magra del Po, con il suo letto di ghiaia sempre più visibile e colonizzato da cespugli e giovani piante, rende evidente che siamo probabilmente al di là delle normali oscillazioni, e che l’ambiente non è immutabile ma si trasforma velocemente, in tempi che non pensavamo possibili fino a qualche anno fa.

Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara, è la sezione di chiusura (cioè il punto attraverso il quale defluiscono tutte le acque) di questo bacino che si estende per 70mila chilometri quadrati. Qui, a circa cinquanta chilometri dal delta, è posizionato un idrometro che misura il livello del fiume e dal quale si deduce il valore della sua portata in metri cubi al secondo. Fin dagli anni venti del 1900, qui si registra giornalmente il vigore complessivo del corso d’acqua prima che sfoci in mare: i dati e le statistiche restituiscono una continua tendenza al ribasso della portata primaverile ed estiva; in particolare quest’ultima è calata del 45 per cento rispetto al secolo scorso. In questo quadro di graduale discesa, gli ultimi due anni hanno preso la deriva battendo di molto i record delle precedenti condizioni di magra.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Dal febbraio del 2021 è cominciato un progressivo calo delle portate che sono rimaste quasi sempre, salvo sporadiche eccezioni, sotto la media climatologica (linea blu nel grafico). Dal 2022 la discesa è diventata cronica, il fiume è andato in rosso e da lì non si è più mosso, neanche a fronte delle precipitazioni di maggio dell’anno scorso che hanno provocato solo modeste e brevi risalite. Il 24 luglio 2022 la portata misurata a Pontelagoscuro ha raggiunto il valore minimo mai riscontrato in un secolo di rilevazioni, pari a 104 metri cubi al secondo (avrebbe dovuto essere intorno ai 900 metri cubi secondo).

Questa stazionarietà è un campanello d’allarme che non si può ignorare, in quanto indice dell’esaurimento del flusso di base, ovvero della portata minima del fiume durante i periodi di bel tempo. Il flusso di base dipende dalla sinergia dei vari stoccaggi di acqua negli ambienti naturali e negli invasi artificiali del bacino. Se in tarda primavera viene a mancare, per esempio, la graduale fusione dei volumi di neve accumulati sulle montagne alpine durante l’inverno, così com’è successo nel 2022 e così come accadrà nel 2023, visto che ci ritroviamo attualmente con il 64 per cento in meno di acqua stoccata nel manto nevoso a causa delle scarse precipitazioni invernali, non ci sarà quel contributo costante che fornisce acqua al fiume nella parte iniziale dell’estate, un periodo critico per l’agricoltura. Lo stesso vale anche per le riserve dei grandi laghi alpini, ormai allo stremo.

Una forte pioggia primaverile può produrre un sollievo temporaneo all’agricoltura, ma non modifica lo stato delle riserve idriche

Quest’anno, a differenza del 2022, il nostro più grande lago, il Garda, si trova già in difficoltà e anche le falde sotterranee sono sotto stress con le risorgive di pianura molto ridotte. Per questo la prossima estate preoccupa gli addetti ai lavori, mentre non sempre politici e amministratori sembrano cogliere le possibili gravi implicazioni della situazione. Ha destato scalpore il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin che, con tono rassicurante, ha affermato che il governo sta lavorando a un piano straordinario e che non ci saranno razionamenti d’acqua, quando in alcuni comuni montani sono già in atto.

Se dal punto di vista tecnico è complesso stimare quale livello minimo potrebbe raggiungere il grande fiume nei prossimi mesi, di certo sappiamo che con l’estate alle porte l’evaporazione dal terreno e dalle piante è in continuo aumento. Già adesso, con temperature e ventilazione sopra la media al nord, si stima un’evaporazione pari a 3 millimetri di acqua al giorno che nel pieno dell’estate arriva a 5-6 millimetri. L’acqua scaricata da una forte perturbazione, statisticamente possibile tra aprile e maggio, difficilmente potrebbe invertire il quadro di siccità idrologica. Una forte pioggia primaverile può produrre un sollievo temporaneo all’agricoltura, ma non modifica lo stato delle riserve idriche: dopo qualche settimana quell’acqua ritorna nell’atmosfera attraverso l’evaporazione e non ha il tempo di accumularsi, come invece succede in autunno o in inverno quando cade come neve, nei grandi serbatoi naturali.

Per ristabilire un quadro di normalità servirebbero non solo uno o più eventi estremi, ma anche una ricarica costante con mesi di piogge continue e temperature sotto la media, cosa altamente improbabile. Il riscaldamento globale sta infatti già determinando il comportamento opposto: gli eventi di pioggia intensi sono intervallati da periodi di tempo stabile con temperature ben sopra la media. Al nord i primi tre mesi del 2023 sono stati complessivamente di un grado più caldi rispetto ai primi tre mesi dell’anno scorso, e circa di un grado e mezzo sopra la media del periodo 1991-2020.

Nel 2022 la scarsità di risorse idriche ha reso estremamente difficile la loro gestione, portando a una forte competizione tra i vari usi. Si sono avute riduzioni della produttività sia nel settore agricolo sia nella produzione di energia idroelettrica e termoelettrica, in mancanza di sufficienti risorse per il raffreddamento delle centrali, così come si sono registrati numerosi casi di mancanza d’acqua in piccoli acquedotti montani e pesanti conseguenze ambientali sugli ecosistemi.

La principale è stata quella associata alla risalita del cuneo salino (cioè l’ingressione dell’acqua dal mare verso l’entroterra attraverso il sottosuolo e il letto del fiume) nel delta del Po, che si è esteso per una lunghezza superiore ai 35 chilometri lungo il ramo del Po Grande e pari a circa 40 chilometri lungo il ramo di Goro. Quando la portata del fiume scende sotto i 450 metri cubi al secondo e poi in maniera critica sotto i 300 metri cubi secondo (linea verde nel grafico), l’acqua salmastra risale il suo corso e il mare, soprattutto in condizioni di alta marea, conquista il fiume. Come si vede nel grafico, nell’estate del 2022 la portata a Pontelagoscuro è rimasta sotto i livelli di allarme per due mesi, dal 13 giugno al 18 agosto. E anche nei mesi autunnali e invernali è rimasta bassa, quasi sempre molto sotto i mille metri cubi al secondo, ovvero il suo livello normale, e nel delta è continuata a permanere acqua salmastra anche d’inverno. Al momento l’osservatorio dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po stima che il cuneo salino si attesta già intorno ai 20 chilometri, ma ulteriori campagne di misurazione verranno messe in atto nel mese di aprile per valutare la sua reale estensione, visto che la portata del Po in questi ultimi giorni è già prossima ai livello d’allarme con due mesi d’anticipo rispetto all’anno scorso.

L’invito all’ottimismo del governo, quindi, stride con la situazione attuale. Bisognerebbe invece attivare uno stato di vigilanza e consapevolezza nella popolazione, sia al fine di ridurre i consumi individuali, anche se l’uso civile è minoritario rispetto a quello per l’agricoltura, sia per prepararsi a un’ipotesi che porti a razionamenti sui territori vasti.

Il piano dei 10mila laghetti e il suggerimento lanciato dal governo di aggirare il problema con la desalinizzazione, non paiono infatti conciliabili con i tempi e i vincoli naturali di questa crisi idrica. È giusto riflettere su soluzioni a lungo termine, che però devono essere sostenibili dal punto di vista ambientale ed energetico, ma occorre anche pensare a cosa potrebbe succedere tra pochissimo se lo scenario meteorologico non devierà sensibilmente dalla traiettoria che ha imboccato ormai da qualche anno.

Perché alla fine tutto inizia dalle gocce di pioggia e dai fiocchi di neve che si depositano sulle montagne, e il riscaldamento globale sta determinando sulle regioni mediterranee una decisa diminuzione delle piogge e della permanenza della neve. Se non agiamo subito per non alterare ulteriormente il clima, non ci saranno soluzioni tecnologiche sufficienti per rimediare a questa situazione. Mentre si preserva la risorsa e se ne controlla il consumo, è quindi fondamentale agire al più presto sulla riduzione delle emissioni di gas serra.

Leggi anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it