Da quando è stato nominato presidente della prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop28), Sultan al Jaber, amministratore delegato dell’azienda petrolifera statale di Abu Dhabi, ha portato avanti un messaggio chiaro: il mondo non deve assolutamente abbandonare l’obiettivo degli 1,5 gradi.

In vista del vertice, in programma a novembre a Dubai, Al Jaber ha intrapreso un tour globale in cui ha sottolineato ripetutamente l’importanza di raggiungere gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi del 2015. Quel documento, firmato da 195 paesi, s’impegnava a mantenere l’aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali ben al di sotto di due gradi e idealmente anche di 1,5 gradi.

Quel numero è diventato la chiave dell’azione sul cambiamento climatico, su cui si basano tutti i piani governativi e aziendali per ridurre le emissioni di gas serra, e la parola d’ordine degli attivisti per il clima. I firmatari dell’accordo di Parigi si sono impegnati ad azzerare le emissioni nette, e molti di loro hanno fissato la scadenza al 2050. Ma per riuscirci bisognerebbe ridurle del 43 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019: uno sforzo colossale per un mondo ancora dipendente dai combustibili fossili.

Al Jaber ha dichiarato che il traguardo degli 1,5 gradi “non è negoziabile”. Tuttavia, più di sette anni dopo quella storica sera di Parigi e a meno di sette dalla scadenza del 2030, la possibilità di raggiungere l’obiettivo è oggetto di accese discussioni. Alcuni climatologi ritengono che gli 1,5 gradi non siano più realistici, mentre altri sono convinti che potremmo rimetterci in carreggiata solo adottando provvedimenti molto più drastici. Nel mondo dell’imprenditoria, soprattutto nell’industria dei combustibili fossili, c’è chi vorrebbe abbandonare l’obiettivo perché mantenerlo significherebbe limitare l’espansione del settore.

È già in corso un ampio dibattito su cosa succederebbe se non si rispettasse il limite degli 1,5 gradi, sull’opportunità o meno di ripensare le priorità e su chi sarebbero i vincitori e i perdenti di un eventuale abbandono o ridimensionamento dell’obiettivo.

Acqua alla gola

Nel 2022 le emissioni globali di anidride carbonica hanno toccato un nuovo record, anche a causa della crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Gli scienziati stimano che il pianeta si sia già riscaldato di almeno 1,1 gradi rispetto al periodo preindustriale. Il senatore democratico statunitense Sheldon Whitehouse è particolarmente pessimista: “A questo punto è virtualmente sicuro che supereremo gli 1,5 gradi”. I rappresentanti del mondo degli affari cominciano a sostenere in privato che sarebbe meglio prepararsi a un pianeta più caldo invece di concentrarsi su un obiettivo ormai irraggiungibile. Bill Gates, la cui società d’investimenti Breakthrough Energy finanzia le innovazioni per contrastare il cambiamento climatico, ha ripetuto più volte che il traguardo degli 1,5 gradi non è più realistico.

Per qualcuno l’insistenza di Al Jaber sugli 1,5 gradi è strana visto il suo ruolo di amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company. Nel 2021 ha promesso di aumentare rapidamente la produzione di petrolio degli Emirati Arabi Uniti entro il 2030, sostenendo allo stesso tempo che le emissioni possono essere ridotte. È una posizione che contrasta con la comunità scientifica, secondo cui i progetti esistenti e quelli previsti nel settore dei combustibili fossili stanno spingendo il mondo a mancare il traguardo degli 1,5 gradi.

Molti scienziati e attivisti però temono che prendere atto della sconfitta nella battaglia per gli 1,5 gradi significherebbe giustificare una riduzione dell’impegno dei governi e delle aziende. “La soluzione non è cambiare obiettivo”, sottolinea Mark Howden, vicepresidente del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), di cui fanno parte scienziati e specialisti provenienti da tutto il mondo. “Quello che dobbiamo fare è accelerare la riduzione delle emissioni”.

L’obiettivo degli 1,5 gradi è dovuto in gran parte all’impegno dell’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), un’organizzazione di 39 paesi – tra cui le Maldive, il Belize e le isole Cook – preoccupati dalla grave minaccia che la crisi climatica rappresenta per loro. Alcuni stati, come le isole Salomone, hanno già visto scomparire una parte del loro territorio a causa dell’innalzamento del livello dei mari.

Alla conferenza di Parigi nel 2015 la maggior parte dei paesi occidentali e degli stati con le più alte emissioni si era concentrata sul traguardo dei due gradi, ma alla vigilia del vertice l’Aosis aveva proposto l’obiettivo degli 1,5 gradi. Secondo il samoano Fatumanava-o-Upolu III Pa’olelei Luteru, attuale capo dell’organizzazione, “gli 1,5 gradi sono il livello oltre il quale molte piccole isole verrebbero travolte dal cambiamento climatico. È la nostra linea rossa”.

Le due soglie “sono il risultato di considerazioni scientifiche ma anche politiche”, spiega Howden. “Se ci basassimo esclusivamente sulla scienza avremmo cifre leggermente diverse, mentre se dipendesse soltanto dalla politica avremmo ancora altri numeri”.

L’inclusione del traguardo degli 1,5 gradi nell’accordo del 2015 è stata una grande vittoria per le piccole isole. Da allora è diventato un caposaldo del movimento per il clima, grazie anche al rapporto del 2018 con cui l’Ipcc ha rivelato che i danni per il pianeta sarebbero molto più gravi se la temperatura aumentasse di due gradi.

Mezzo grado può sembrare poca cosa, ma Howden spiega che “la differenza nelle conseguenze è sorprendentemente elevata”. Secondo gli scienziati, per esempio, un maggiore riscaldamento potrebbe comportare la scomparsa del ghiaccio estivo nell’Artico, che riflette la luce solare e contribuisce a regolare la temperatura dell’oceano e dell’aria. Questo potrebbe esporre miliardi di persone a eventi meteorologici estremi e provocare alluvioni, perdita di ecosistemi e riduzione della produttività agricola.

Inoltre superare gli 1,5 gradi potrebbe avere effetti negativi sulla salute. Con un aumento di 1,5 gradi, l’Ipcc prevede che il 14 per cento della popolazione mondiale sarà esposto a ondate di calore estremo almeno una volta ogni cinque anni, ma con un incremento di due gradi la percentuale sale al 37 per cento. Il climatologo Tim Lenton spiega che negli anni settanta circa dieci milioni di persone vivevano in aree con una temperatura media annuale di 29 gradi o più. Ma secondo uno studio di cui è coautore centinaia di milioni di persone potrebbero presto trovarsi in condizioni simili.

Gli scienziati hanno individuato altri punti di non ritorno che potrebbero essere raggiunti se le temperature dovessero aumentare di più di 1,5 gradi, tra cui lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia, che provocherebbe un consistente innalzamento dei livelli dei mari in tutto il mondo, o il cambiamento delle correnti convettive nell’Atlantico settentrionale, che potrebbe determinare forti variazioni delle temperature in Europa e alterare la stagione dei monsoni in Africa.

Un regalo ai petrolieri

Ma mentre le conseguenze del riscaldamento globale sono diventate più evidenti e il mondo ha assistito a eventi devastanti come le alluvioni in Pakistan e gli incendi negli Stati Uniti, in Australia e in Europa, anche i dubbi sulla fattibilità del traguardo degli 1,5 gradi sono aumentati.

Le conseguenze
Due mondi diversi
Fonti: Ipcc, Financial Times

Al momento della firma dell’accordo di Parigi, gli scienziati dicevano che si sarebbe potuto ridurre le emissioni abbastanza da evitare di superare quella soglia, ma che sarebbe stato difficile. Dal 2016 però le emissioni sono aumentate ogni anno tranne il 2020, e il mondo ha dilapidato il suo carbon budget, cioè la quantità di anidride carbonica che possiamo emettere prima di provocare un riscaldamento di più di 1,5 gradi. Questo significa che per rispettare l’obiettivo “dovrebbe succedere qualcosa di drastico nei prossimi due o tre anni”, spiega Joyeeta Gupta, che insegna scienze ambientali all’Amsterdam institute for social science research. “Ci siamo mossi troppo tardi, e ora dovremmo ridurre le emissioni così rapidamente che sarebbe molto doloroso”.

Ma alcuni scienziati credono già che l’obiettivo degli 1,5 gradi sia spacciato. Secondo un sondaggio realizzato nel 2021 da Nature, il 75 per cento degli scienziati dell’Ipcc riteneva che il riscaldamento avrebbe superato i 2,5 gradi entro la fine del secolo. Un rapporto dell’Australian academy of science è altrettanto pessimista: “limitare il riscaldamento a 1,5 gradi è ormai praticamente impossibile”.

Secondo Laurie Laybourn-Langton del centro studi britannico Chatham House, alcuni dicono queste cose nel tentativo di “scuoterci dal nostro torpore”, ma quest’idea fa il gioco di tutti quelli secondo cui il mondo dovrebbe continuare a bruciare combustibili fossili e concentrarsi sulla gestione degli effetti del cambiamento climatico invece di affrontarne le cause: “Se l’obiettivo fosse abbandonato, a vincere sarebbero i combustibili fossili e tutti quelli che non vogliono la grande trasformazione di cui la società ha bisogno per affrontare la crisi climatica”.

Nell’industria del petrolio e del gas si parla già delle nuove tecnologie che potrebbero permettere di superare il limite degli 1,5 gradi per poi invertire la tendenza, nonostante l’Ipcc abbia avvertito che alcuni effetti sarebbero duraturi o irreversibili. Recentemente l’amministratrice delegata della Occidental Petroleum, Vicki Hollub, ha dichiarato a una conferenza del settore energetico che la cattura diretta dall’aria – una nuova tecnologia che permette di rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera – potrebbe consentire all’industria del gas e del petrolio di fare affari per altri decenni.

Secondo Myles Allen, uno degli autori del rapporto dell’Ipcc sugli 1,5 gradi, è troppo tardi perché si possa fermare il riscaldamento semplicemente riducendo le emissioni dovute ai combustibili fossili, e catturare l’anidride carbonica e immagazzinarla nelle formazioni geologiche potrebbe avere un ruolo importante nel raggiungimento dell’obiettivo. Ma Al Jaber ha ribadito ai manager dell’industria petrolifera che dovranno impegnarsi di più anche se emergeranno nuove tecnologie. “Sappiamo che siamo fuori strada. Dobbiamo correggere la rotta”.

Punti di svolta

Nonostante l’aumento delle emissioni, secondo Laybourn-Langton ci sono segnali di cambiamento. La guerra in Ucraina ha accelerato la trasformazione del sistema energetico europeo. Nuovi progetti di energie rinnovabili e misure di risparmio energetico sono stati approvati rapidamente, contribuendo a compensare la riapertura di alcuni impianti a carbone in risposta al calo delle importazioni di gas dalla Russia.

L’Inflation reduction act da 369 miliardi di dollari varato dal presidente statunitense Joe Biden sta favorendo enormi investimenti nelle tecnologie verdi. “La gente si sta rendendo conto che dobbiamo liberarci dagli idrocarburi, perché sono un problema per la sicurezza nazionale”, spiega David Blood, cofondatore della Generation Investment Management.

Le ricerche di Lenton e altri esperti hanno identificato tre “punti di non ritorno positivi” che potrebbero innescare una reazione a catena in settori che rappresentano il 70 per cento delle emissioni globali di gas serra: imporre il passaggio ai veicoli elettrici, ordinare agli enti pubblici di sostituire una parte della carne che acquistano con proteine vegetali e sostituire i componenti più inquinanti dei fertilizzanti agricoli con ammoniaca prodotta da fonti rinnovabili. “Sono ottimista sugli 1,5 gradi, perché ho ancora un barlume di speranza in queste misure”, spiega Lenton. “Sono piccoli passi che fanno una grande differenza”.

Secondo Nick Stansbury del fondo d’investimento Legal and General Investment Management il modo migliore per garantire il raggiungimento del traguardo degli 1,5 gradi sarebbe introdurre un prezzo adeguato per l’anidride carbonica. “Si possono rendere più costose le attività che producono emissioni tassandole, oppure si può sovvenzionare tutto il resto.

Secondo Detlef van Vuuren dell’istituto di ricerca olandese Pbl, invece, continuare a discutere sul traguardo degli 1,5 gradi è inutile. “Non importa se siano un obiettivo realistico o no. Più riusciremo a contenere il riscaldamento e meglio sarà. Non dobbiamo arrivare a due gradi, quindi se non riusciremo a fermarci a 1,5 dobbiamo fare il possibile per non superare gli 1,6”.

Stansbury è convinto che tornare in carreggiata verso gli 1,5 gradi sia “assolutamente possibile”, ma come altri avverte che il tempo stringe. “Esiste un momento in cui questa finestra si chiuderà definitivamente? Sì, esiste, e non è molto lontano”.

Howden dell’Ipcc riconosce che allo stato attuale rispettare l’obiettivo degli 1,5 gradi “è piuttosto improbabile”, ma sostiene che non bisogna abbandonarlo. “Dobbiamo rivoltare il discorso da ‘non possiamo farlo’ a ‘non possiamo permetterci di non farlo’”.◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati