Siamo sull’orlo del baratro. Le attività umane stanno alterando il clima a un ritmo che non ha precedenti da migliaia di anni, con effetti catastrofici e spesso irreversibili. Le vite di miliardi di persone sono già colpite, e continuare a emettere gas serra aggraverà i rischi per la produzione alimentare, l’approvvigionamento idrico, la salute umana, le economie nazionali e la sopravvivenza di gran parte del mondo naturale. Ma l’umanità può ancora fare un passo indietro, a patto di ridurre drasticamente le emissioni in ogni settore. Le soluzioni sono molte e possono essere messe in atto immediatamente. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), che il 20 marzo ha pubblicato il riassunto di otto anni di lavori, nutre ancora una tenue speranza che sia possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi in più rispetto al periodo preindustriale, a condizione di un sussulto internazionale. “La bomba a orologeria climatica continua il suo conto alla rovescia, ma questo rapporto rappresenta una guida pratica per disinnescarla, un manuale per la sopravvivenza dell’umanità”, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres.

Il documento, redatto da 93 scienziati, è la sintesi più completa della scienza climatica che dovrebbe guidare l’azione politica mondiale. L’Ipcc vi ha riassunto le tre sezioni del suo rapporto di valutazione (pubblicate tra il 2021 e il 2022 e dedicate alle basi fisiche del riscaldamento, ai suoi effetti e alle soluzioni) e i tre rapporti speciali che hanno affrontato le conseguenze di un riscaldamento di 1,5 gradi, gli effetti sulla terraferma e quelli sugli oceani e sulla criosfera, chiudendo un percorso avviato nel 2015. Nonostante contenga considerazioni già note, la sintesi e il suo sommario per i responsabili politici sono stati concordati dai rappresentanti dei 195 paesi che fanno parte dell’Ipcc solo al termine di una lunga settimana di discussioni a Interlaken, in Svizzera. Come sempre, le trenta pagine sono state negoziate riga per riga con gli autori.

Il documento lo ribadisce in modo categorico: le attività umane hanno “inequivocabilmente” provocato il riscaldamento globale. Tra il 2001 e il 2021 la temperatura media è stata più elevata di circa 1,1 gradi rispetto al periodo 1850-1900. Le attività umane, in particolare l’uso di combustibili fossili e la deforestazione, producono emissioni di gas serra che aumentano ogni anno. Nel 2019 hanno raggiunto i 59 miliardi di tonnellate. Le emissioni variano da un paese all’altro, ma dipendono in gran parte dal livello di ricchezza. La concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha raggiunto livelli mai visti da due milioni di anni per quanto riguarda l’anidride carbonica e da ottocentomila anni per il metano. I fenomeni climatici estremi (ondate di caldo, siccità, alluvioni) sono diventati più frequenti e intensi. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari stanno accelerando.

Oggi quasi metà della popolazione umana (tra 3,3 e 3,6 miliardi di persone) vive in “luoghi molto vulnerabili al cambiamento climatico”. Milioni di persone sono esposte a un’insicurezza alimentare acuta. Circa metà della popolazione mondiale subisce una grave mancanza d’acqua almeno per una parte dell’anno. Gli eventi estremi hanno provocato l’aumento della mortalità e favorito le migrazioni e la diffusione delle malattie. Le comunità più povere sono anche le più colpite, perché hanno meno strumenti per affrontare l’emergenza, come hanno dimostrato recentemente i danni provocati dal ciclone Freddy in Malawi. A soffrire sono anche le specie animali e vegetali, vittime di episodi di mortalità di massa.

Progressi insufficienti

Le leggi e le misure per ridurre le emissioni sono molto più numerose oggi che nel 2014, quando è stato pubblicato l’ultimo rapporto di sintesi dell’Ipcc, ma spesso non sono all’altezza del problema. Nell’ultimo decennio solo diciotto paesi sono riusciti a ridurre le emissioni. E la tendenza è preoccupante. Se gli impegni presi saranno rispettati, il pianeta andrà verso un riscaldamento di 2,5 gradi entro la fine del secolo. Se invece si proseguirà con le politiche attuali, la temperatura aumenterà di 2,8 gradi.

Emissioni
Il mondo al bivio
Andamento delle emissioni globali di gas serra, miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (Fonte: Ipcc)

L’Ipcc constata alcuni progressi nell’adattamento al cambiamento climatico, ma anche questi restano insufficienti, soprattutto nei paesi a basso reddito che non hanno accesso alle tecnologie e ai finanziamenti necessari. “La maggior parte delle misure di adattamento è frammentaria, progressiva, settoriale e ripartita in modo disuguale tra le diverse regioni”, si legge nel rapporto, che sottolinea anche l’aumento del “cattivo adattamento”. È il caso della costruzione di dighe costiere, che proteggono le persone e le proprietà ma aggravano l’erosione e danneggiano gli ecosistemi naturali.

Il rapporto indica che alcuni limiti all’adattamento sono già stati superati o sono sul punto di esserlo. Gli abitanti delle piccole isole, per esempio, non possono più gestire l’innalzamento delle acque a meno di superare una serie di problemi finanziari, politici e tecnologici. Una parte degli ecosistemi – barriere coralline, foreste tropicali, regioni polari – ha ormai raggiunto un punto di non ritorno.

Il peggio deve ancora arrivare, ma siamo ancora in tempo per frenare il disastro. A breve termine (2021-2040) il riscaldamento proseguirà in ogni caso, e la soglia degli 1,5 gradi dovrebbe essere superata all’inizio del prossimo decennio. Ma le nostre azioni attuali determineranno la dimensione dello squilibrio climatico a lungo termine. Se le emissioni fossero ridotte drasticamente, la temperatura globale potrebbe aumentare di 1,4 gradi tra il 2081 e il 2100, che salirebbero a 2,7 gradi nello scenario intermedio e a 4,4 gradi in quello peggiore. Anche se molti scienziati danno per spacciato l’obiettivo degli 1,5 gradi, la climatologa Valérie Masson-Delmotte, copresidente del gruppo 1 dell’Ipcc, ritiene ancora che quel traguardo abbia senso: “La tappa successiva sarà mantenere il riscaldamento il più possibile vicino agli 1,5 gradi”.

Come l’Ipcc continua a ribadire, ogni frazione di grado ha un’importanza enorme e si traduce in eventi climatici estremi più intensi e frequenti. Il perdurare delle emissioni causerà perturbazioni più gravi nel ciclo dell’acqua, un’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai, un peggioramento dell’acidificazione e della deossigenazione degli oceani, un calo della produzione agricola e una minore efficacia dei pozzi di carbonio come foreste e oceani, che assorbono attualmente metà delle emissioni.

Alcuni cambiamenti sono irreversibili. L’innalzamento del livello dei mari, per esempio, proseguirà per secoli o millenni sotto l’effetto del riscaldamento dell’acqua e dello scioglimento delle calotte polari. In base ai diversi scenari, entro il 2100 il livello degli oceani potrebbe subire un innalzamento compreso fra trenta centimetri e un metro. L’Ipcc sottolinea il rischio di oltrepassare punti di non ritorno come la destabilizzazione della calotta polare antartica. “Le scelte che faremo in questo decennio determineranno il nostro futuro, ma avranno anche conseguenze millenarie”, spiega Valérie Masson-Delmotte.

Da sapere
Le soluzioni più efficaci
Fonte: Ipcc

L’ultimo spiraglio

La finestra per evitare gli effetti peggiori della crisi climatica “si sta chiudendo rapidamente”, ma secondo l’Ipcc possiamo ancora sfruttarla. Per restare entro gli 1,5 gradi, le emissioni nette di anidride carbonica dovrebbero diminuire del 48 per cento rispetto al 2019 entro il 2030, per poi azzerarsi all’inizio degli anni cinquanta. Per rimanere sotto i due gradi il calo dovrebbe essere del 22 per cento, con l’azzeramento netto all’inizio degli anni settanta. In ogni caso il picco massimo dovrà essere raggiunto “al più tardi” nel 2025.

Come riuscirci? Prima di tutto bisogna ridurre in modo “sostanziale” l’uso di combustibili fossili, soprattutto in assenza di tecnologie per il sequestro e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (Ccs). “Le infrastrutture fossili già attive consumano l’intero carbon budget per gli 1,5 gradi”, sottolinea Masson-Delmotte. È necessario chiudere le centrali prima del previsto e accelerare l’impiego di energie a basse emissioni, a cominciare dal fotovoltaico e dall’eolico, già molto accessibili.

Le tecniche per la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera (Cdr), soprattutto l’afforestazione, sono definite essenziali per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi e per tornare sotto questa soglia dopo averla superata, ma il loro impiego su vasta scala solleva “problemi di fattibilità” e “rischi sociali e ambientali”, soprattutto riguardo all’uso delle terre.

Il rapporto elenca nel dettaglio le possibili soluzioni: ripensare le città, gestire le colture in modo più sostenibile, modificare l’alimentazione, sviluppare le auto elettriche. Proteggere il 30-50 per cento delle terre, delle acque dolci e degli oceani contribuirebbe a mantenere il pianeta in salute. Adottare rapidamente queste soluzioni ridurrebbe i danni del riscaldamento globale e porterebbe benefici per la salute e l’economia. Il rapporto evidenzia l’importanza di aumentare i fondi per il clima, insufficienti soprattutto nelle economie in via di sviluppo, e di introdurre politiche giuste ed eque.

Tutti i paesi devono “spingere subito sull’acceleratore”, ha sintetizzato António Guterres, che ha chiesto a quelli più ricchi di anticipare l’azzeramento delle emissioni nette al 2040. Il segretario dell’Onu vuole che i governi rivedano al rialzo i loro impegni in vista della conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima (Cop28) che si aprirà a novembre a Dubai. In quell’occasione sarà stilato un primo bilancio degli sforzi singoli paesi dopo l’accordo di Parigi del 2015. La valutazione si baserà anche sul rapporto dell’Ipcc. “Ogni stato dev’essere parte della soluzione”, ha concluso Guterres. “Se ci si aspetta che siano gli altri ad agire per primi sarà l’umanità ad arrivare ultima”. ◆ as

Unione europea
Un piano per l’industria verde

◆ Il 16 marzo 2023 la Commissione europea ha presentato il Net zero industry act, una proposta di regolamento che punta a stimolare la crescita dell’industria delle energie rinnovabili in Europa. L’obiettivo dichiarato è fare in modo che entro il 2030 almeno il 40 per cento delle tecnologie necessarie al raggiungimento degli impegni europei in materia di riduzione delle emissioni sia prodotto nell’Unione europea. La legge dovrebbe semplificare l’approvazione dei nuovi progetti e l’accesso ai fondi europei per alcuni settori considerati strategici, tra cui gli impianti solari ed eolici, le batterie, le pompe di calore, l’energia geotermica, gli elettroliti per la produzione dell’idrogeno, le celle a combustibile, il sequestro di anidride carbonica e i biocombustibili, mentre l’energia nucleare e i carburanti alternativi avranno diritto a un sostegno più limitato. Come ha ammesso il commissario europeo al mercato interno Thierry Breton, l’iniziativa è una risposta all’Inflation reduction act adottato dagli Stati Uniti nell’agosto del 2022: il timore era che i generosi sussidi offerti da Washington avrebbero potuto convincere le aziende europee a spostare la produzione oltreoceano. Per evitare che la crescita di questi settori sia ostacolata dalla mancanza delle materie prime necessarie, la Commissione ha parallelamente presentato anche l’European critical raw materials act, che mira a ridurre la dipendenza europea dall’estero stabilendo dei limiti alle importazioni. Entrambe le proposte dovranno essere approvate dal parlamento e dal consiglio europeo.


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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati