Tra l’11 e il 13 luglio 1995 le truppe serbobosniache guidate dal generale Ratko Mladić presero possesso dell’enclave di Srebrenica. Durante l’occupazione, ottomila uomini di più di 16 anni furono massacrati, nonostante la presenza delle forze di pace delle Nazioni Unite, che avevano il compito di proteggere la popolazione civile in quella che era stata dichiarata una “zona di sicurezza”.
Oggi molti interrogativi restano aperti. Perché la Nato non fece nulla? Perché le Nazioni Unite non si opposero alle azioni contro i civili? Fecero tutti finta di non sapere?
Medici senza frontiere (Msf) fu testimone della tragedia e del fallimento della Forza di protezione dell’Onu, istituita per creare le condizioni di pace e sicurezza necessarie per risolvere la crisi jugoslava. Nonostante le difficoltà, chirurghi, anestesisti, medici e infermieri di Msf fornirono assistenza ai pazienti dell’ospedale di Srebrenica, mentre alcuni edifici pubblici furono convertiti in alloggi per ventimila persone che si erano rifugiate in città. Due anni dopo, Msf denunciò il massacro.
Contribuire a stabilire la verità, chiedere trasparenza nelle operazioni di pace, cercare di far luce sulle circostanze e le responsabilità che nei conflitti globali hanno portato all’abbandono e al massacro di popolazioni a cui le sue équipe avevano fornito soccorso è uno degli obiettivi di Msf.
Il genocidio di Srebrenica è un simbolo dei limiti dell’azione umanitaria, e solleva interrogativi che restano ancora irrisolti. Si poteva chiedere lo sgombero forzato delle case, anche a costo di favorire Mladić? I civili furono spinti a credere che sarebbero stai al sicuro finché le organizzazioni internazionali erano sul posto? Questa esperienza può insegnare qualcosa di utile per affrontare le tragedie che oggi colpiscono paesi come la Siria e la Libia?
“Srebrenica, vent’anni dopo” è il titolo dell’incontro con Ed Vulliamy, Christine Schmitz, Meinie Nicolai ed Ennio Remondino il 2 ottobre alle 19 al teatro Comunale per il festival di Internazionale a Ferrara.