30 settembre 2017 10:58

Partendo dalle recenti elezioni di Berlino, la moderatrice Tonia Mastrobuoni, giornalista de La Repubblica, ha condotto l’incontro tra Romano Prodi e il sociologo e politologo Ilvo Diamanti, che hanno dialogato sul palco del Teatro Comunale di Ferrara.

“La Germania era rimasto l’unico grande paese europeo a non vedere la crisi dei grandi partiti, non mi spiegavo questa anomalia razionalmente – ha esordito Prodi – queste elezioni mi dicono che anche la Germania è normale, anche se i gruppi antisistema sono ancora minori rispetto a quelli che si trovano in Italia o in Francia”. Potevano esserci alternative? “Credo che Schulz non avesse molte possibilità, nonostante un momento di forza in quanto novità personale, la Merkel il governo lo sa tenere, non è mica una bambina”. “Io sarei più radicale nella lettura di quello che sta avvenendo – è intervenuto Diamanti – dal mio punto di vista quello che vediamo oggi è un cambiamento sistematico della democrazia, non abbiamo più un’alternativa che sia anche alternanza, abbiamo centro-destra e centro-sinistra. Oggi i partiti di massa non esistono più”.

Il discorso è proseguito poi con una riflessione sulla storia e l’essenza stessa dell’Unione Europea, con Prodi che ha delineato un quadro sintetico ma efficace della genesi dell’organizzazione: “Caduta l’Unione Sovietica, caduto il muro di Berlino, si creò un vuoto – ha ricordato – e i vuoti vanno riempiti. Il treno della storia passa una volta sola: in fondo, tutto sommato nel nostro continente non ci sono guerre, non ci sono tragedie. Allora era politicamente impossibile, ma se avessimo messo dentro subito i paesi dell’ex Jugoslavia avremmo risparmiato anche quelle tragedie europee”. Poi certo, alcuni errori politici ci sono stati, ha ammesso. Questi errori si pagano, e si pagheranno, come ha affermato Prodi, ma “almeno l’allargamento ci ha dato un’Europa con una sua struttura”.

La politica, però, si fa anche attraverso il territorio, questa la tesi di Diamanti, che è intervenuto portando all’attenzione del dibattito l’epocale trasformazione degli ultimi anni del nostro secolo:

“Tempo fa le forze politiche in campo interpretavano una struttura sociale, classi sociali differenti – ha spiegato – La destra era la borghesia, dall’altra parte stavano i ceti bassi e la classe operaia. Oggi invece la maggioranza dei cittadini non si definisce più ceto medio, ma ceto medio-basso o classe operaia “. Un cambiamento che dipende direttamente dai protagonisti della politica: le persone stesse, e in particolar modo i giovani, che si riconoscono oggi in valori profondamente diversi e nuovi, come ha confermato anche la battuta successiva di Prodi: “Dimenticate che non ci sono più i gruppi giovanili e le aggregazioni, non trovi più il giovane con l’idea di voler dibattere”. E se manca questa linfa politica, non c’è speranza che i partiti organizzati in modo tradizionale vincano, secondo l’ex premier: “Questo tipo di aggregazione è definitivamente finito” – ha concluso.

Spostando l’attenzione a quella che è la sua più grande preoccupazione, Prodi ha parlato del desiderio di autorità dei leader nazionali, diffuso un po’ ovunque nel mondo: “Lo dimostra quello che succede in Cina, nelle Filippine, in Africa – ha detto – E l’elezione di Donald Trump. Di solito non sono isolati questi grandi movimenti”. Per questo, secondo Prodi, sono da ridiscutere i fondamenti stessi della democrazia. Tanto più che, secondo l’analisi di Ilvo Diamanti, si diventa europeisti per paura, più che per ideale. “Quello che darà energia all’Europa di domani - sarà la paura dell’avanzata di Cina e Stati uniti, sono convintissimo, più il mondo diventa globale, più questi due giganti sono attivi in politica estera, più l’Europa si unirà. Credo che Trump stia dando un grande contributo all’UE”. Ma le preoccupazioni di Romano Prodi non si esauriscono: anche i cambiamenti e gli spostamenti dei rapporti di forza nell’economia mondiale sono da tenere in considerazione, anche per la velocità con cui sta succedendo. “è come nel rinascimento: lo stato italiano era il primo in tutto, c’è stata la prima globalizzazione e siamo scomparsi per quattro secoli dalle carte geografiche – ha dichiarato – Le moderne caravalle ci sono già: sono Google e Apple, che hanno una capacità di irruenza colossale”.

Saranno quindi la paura degli altri e le preoccupazioni economiche il fondamento dell’Europa del futuro, o esiste ancora una possibilità di fare politica? “Non voglio pensare che oggi sia la morte della politica – ha dedotto Diamanti – ci sarà la possibilità di fare politica in tempi di digitale e in tempi di sfiducia, anche se i partiti tradizionali non sono più in grado. Se vogliamo salvaguardare la nostra democrazia dobbiamo rassegnarci alla politica per sopravvivere “. E del resto, forse non ci rendiamo conto di quali siano le reali priorità, come ha segnalato ancora Prodi: “Abbiamo strutture che ancora pensano, delle organizzazioni civili, non ci siamo resi conto della priorità di queste cose, e ce ne renderemo conto molto in fretta quando le nuove caravelle creeranno milioni di disoccupati, e cambieranno la struttura commerciale. Quando queste motivazioni cominceranno a ferire la realtà sociale noi resusciteremo le nostre forze, dobbiamo acquisire il senso della storia”.

A conclusione della riflessione politica, Prodi ha analizzato il futuro di alcuni ministeri europei: “La difesa europea saranno obbligati a farla: la Francia è rimasta l’unica, ora che la Gran Bretagna se n’è andata, che può mettere a disposizione una politica di difesa, e ha tutto l’interesse a farlo. Davanti a un Trump imprevedibile, sente il bisogno di diventare più forte militarmente senza creare paura. I pilastri dello stato moderno enano moneta ed esercito, ne abbiamo fatto uno, anche se traballante, facendo anche l’altro l’Europa si irrobustisce”.

Irene Lodi, collaboratrice volontaria dell’ufficio stampa di Internazionale a Ferrara

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