03 ottobre 2017 18:08

Zerocalcare e Delisle: come un graphic novel può trasportarci al centro di un conflitto senza la spettacolarizzazione della violenza a cui i media tradizionali ci hanno ormai assuefatti. Uscire dall’informazione mainstream sulle guerre che ci circondano è possibile anche attraverso il potente linguaggio del fumetto.

Giorgio Zanchini di Rai Radio1 incontra al Teatro Comunale di Ferrara Zerocalcare, per la prima volta alle prese con una storia di guerra, Kobane Calling (Bao Publishing 2016) e Guy Delisle, autore canadese di famosi racconti di viaggio come Cronache di Gerusalemme e PyonYang, il cui ultimo lavoro, Fuggire è stato pubblicato in Italia lo scorso aprile, sempre da Rizzoli-Lizard.

I fortunati partecipanti di questa edizione del Festival di Internazionale che sono riusciti ad assistere all’affollatissimo incontro con Zerocalcare e Guy Delisle hanno potuto ascoltare interessanti riflessioni di due rockstar del mondo del fumetto contemporaneo, sul ruolo di un linguaggio che solo di recente sta acquisendo il diritto di raccontare la realtà. Ma se l’attenzione dei lettori nei confronti dei loro lavori è molto alta, quella dei giornalisti non lo è altrettanto. Entrambi concordano sul fatto che la quasi totale assenza di critiche provenienti dalla stampa sugli argomenti controversi trattati nei loro ultimi libri possa derivare da due ordini di ragioni. Intanto il fumetto non è ancora considerato un linguaggio del tutto legittimato a parlare di cose serie e anche se viene dato risalto mediatico al momento della pubblicazione, viene fatto ricadere ancora nella logica del prodotto artistico/ludico e non si entra nel merito della precisione storica o giornalistica degli eventi raccontati. “C’è sempre l’impressione che siamo le bertucce del mondo della letteratura”, sintetizza con la sua sempre puntuale autoironia Zerocalcare. “Però credo che anche in Italia ci si stia accorgendo che il fumetto è un linguaggio e non un genere e che ci si possa quindi fare di tutto”. In secondo luogo, questi due autori dichiarano sempre in modo molto esplicito nei loro libri di stare fornendo una visione totalmente soggettiva dei fatti e questo rende più difendibili eventuali imprecisioni o parzialità. “Non sarei credibile a provare a nascondere il mio punto di vista”, afferma Zerocalcare. “Al netto del sentirmi onesto intellettualmente io narro sempre in maniera super schierata. In Kobane Calling è stato molto forte l’intento di dare una mano alla causa curda, senza però farlo diventare un testo di propaganda”.

Anche se non si tratta di un racconto di viaggio autobiografico come i precedenti lavori, nel suo ultimo graphic novel Delilsle mostra unicamente il punto di vista del protagonista, narrando la storia vera del sequestro di Christophe André durante una missione con Medici Senza Frontiere in Cecenia. “Per raccogliere il materiale per Fuggire ci sono volute ore di incontri e interviste con Christophe, ma soprattutto la grande amicizia che ne è scaturita. E’ una storia che ho tenuto nel cassetto per anni e che alla fine ho voluto rendere a partire dai suoi racconti dettagliatissimi e anche molto fisici”. E se spesso si può dubitare anche di ciò che abbiamo vissuto in prima persona e si teme di discostarsi troppo dalla realtà, a maggior ragione il rischio aumenta quando la storia è la testimonianza di qualcun altro. “Ho avuto un blocco all’inizio perché ero pieno di dubbi rileggendo i miei appunti. Mi aveva davvero detto quello? Avevo capito bene? Così gli ho mostrato le prime 10 pagine perché me le approvasse e dal quel momento sono stato più tranquillo. Mi ha detto che si ritrova molto nel suo personaggio”. L’unico grosso incidente dovuto alla mancanza di fedeltà biografica, che ha costretto Delisle a ritirare il libro per correggere l’errore, ha riguardato il numero di fratelli del protagonista: lui scrive prima di una sorella, ma poi Andrè lo corregge dicendo che ne ha due. A libro stampato salta fuori che in realtà ha anche un fratello, chiaramente piuttosto offeso dal fatto di essere stato ignorato.

La sfida di questi “non-reportage” è quella di mantenere un buon equilibrio tra la neutralità del racconto e gli elementi personali come l’ironia che, seppure in modo diverso, contraddistingue questi due autori e avvicina il lettore anche ad argomenti impegnativi o potenzialmente noiosi. La sfida di non annoiare anche visivamente è, nel caso di Fuggire, davvero ardua. Gran parte della vicenda si svolge nella stanza dove Andrè è rinchiuso attaccato a un termosifone e le pareti grigie e uniformi sono riempite solo dai suoi pensieri . “Andrè mi ha raccontato di trovarsi costantemente nella penombra e ho quindi dovuto muovermi su due tonalità di grigio: una per il giorno e una per la notte, perché erano gli unici cambi di luce che lui potesse percepire. Ho anche dovuto modificare il mio stile e ricorrere ad un alto grado di minimalismo per ricreare l’ambiente carcerario”. Per Zerocalcare invece il lavoro su Kobane Calling è stato esattamente opposto. Ci ha abituati ad assistere ai dialoghi filosofici con la sua coscienza-armadillo mentre divora plumcake sul divano e, come nelle sit-com americane classiche, le location delle sue storie sono parecchio ridotte. “So disegnare solo le librerie di casa mia e i palazzi di Rebibbia. Ho usato molto le fotografie perché chiaramente altri strumenti come lo street view di Google maps in Kurdistan non sono molto applicabili. Per non far faticare il lettore certe foto le ho proprio ricalcate, anche se è una cosa che non si dovrebbe dire …”

Ma davvero il fumetto può diventare un modo per avvicinare i lettori più giovani a certe tematiche? Secondo Zerocalcare sì e no. In quanto linguaggio estremamente complesso non è necessariamente più comprensibile di un romanzo o di un articolo di giornale, ma il fatto di appartenere a un canale di comunicazione non mainstream potrebbe d’altro canto rappresentare un motivo per una maggiore presa sui ragazzi, ma anche su chi cerca nuovi strumenti per osservare la realtà. Quello che lo ha colpito di più è infatti l’enorme distanza tra ciò che ha potuto osservare da vicino e il modo in cui gran parte della stampa italiana lo descrive. L’esempio più banale è di come i curdi siano sempre rappresentati come un blocco unico e non come 4 distinti gruppi in Turchia, Siria, Iraq e Iran. Da inguaribile pessimista non nutre però molte speranze di aver risvegliato chissà quali motivazioni per superare la cortina di disinformazione che ci avvolge. “Ho sempre l’impressione di non smuovere mai niente nella testa delle persone. Forse a qualcuno un’infarinatura minima l’ho data. Quanto poi questo possa diventare voglia di informarsi non lo so. Secondo me poco”.
Alice Pelucchi, studentessa del Master di Giornalismo e Comunicazione scientifica dell’Università di Ferrara, volontaria all’ufficio stampa del festival

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