05 ottobre 2017 14:40

“La finanza è entrata pesantemente nella vita di ciascuno di noi, sostenendo progetti ed imprese che possono avere impatto sull’ambiente, sui diritti umani, nella società” ha affermato ieri al festival di Internazionale Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica. “La finanza è diventata un fine, non è più uno strumento: le banche finanziarie voglio ottenere i maggiori profitti nel minore tempo possibile, si parla ormai da tempo di homo economicus, cioè un soggetto che cerca di massimizzare il proprio utile come consumatore ed il profitto come produttore”.

Si è aperto così un seguitissimo panel sulla finanza sostenibile, moderato dalla giornalista Teresa Paoli, presenti anche Jesse Eisinger di ProPublica e Barbara Happe, che si occupa di questioni finanziarie per l’organizzazione ambientalista Urgewald.

“La crisi del 2008, partita dagli Stati Uniti con i mutui subprime e poi estesasi ad Europa ed Asia, ha visto una grossa responsabilità da parte dei manager delle principali banche e holding finanziarie internazionali, ma nessuno di loro ha poi pagato realmente o è finito in prigione, infatti il Dipartimento di giustizia americano incontra grandi difficoltà a portare gli executive delle aziende in tribunale” testimonia il giornalista Jesse Eisinger dal suo osservatorio privilegiato.

“Diventa sempre più indispensabile modificare le regole della finanza, e ci si deve chiedere che cosa sia la sostenibilità nel mondo finanziario” ha aggiunto Barbara Happe. “Spesso si tratta solo di operazioni di greenwashing, cioè le banche pubblicizzano azioni che sono solo di facciata, ma che non modificano realmente le loro modalità di investimento”.

Andrea Baranes ha illustrato le principali iniziative di Banca Etica: “I nostri investimenti, totalmente pubblicati e trasparenti, escludono il settore delle armi, le industrie inquinanti, la costruzione di impianti nucleari, mentre ci impegniamo in progetti a tutela dell’ambiente e dei diritti, ad esempio sulle fonti rinnovabili o sul sostegno al microcredito imprenditoriale o socio – assistenziale”.

Le banche d’affari, invece, sono propense a valutare solo il cosiddetto rischio reputazione, ossia considerano se finanziare progetti che poi possano causare un danno di immagine, ma non sono veramente interessate ai danni ambientali che possono provocare. Ultimamente qualcosa sta cambiando a livello legislativo, sia nazionale che internazionale e le banche si stanno accorgendo che i rischi di insuccesso ed i danni dei quali possono essere reputate responsabili sono reali. Hanno iniziato perciò a disinvestire in alcuni settori, come l’industria del carbone e dei prodotti petroliferi.

Nel campo dei diritti umani la situazione è più complicata, perché è più difficile stimare se un’azienda stia sfruttando bambini in Paesi poveri per produrre le sue merci, oppure stia minando la salute di una città con gli scarichi industriali. “Dal punto di vista interno i giovani sono i più interessati alle nostre proposte” ha continuato Baranes, “ed i rendimenti delle nostre banche etiche e sostenibili, presenti anche negli altri paesi europei, sono allineati a quelli delle banche tradizionali ed anche più stabili, se si tengono in conto le “sofferenze” che queste ultime hanno in pancia e le bolle speculative che ne conseguono. Continueremo perciò ad impegnarci per ostacolare la lobby della banche e rompere i monopoli, per una finanza più equa, e a stimolare la politica per interventi più decisivi” ha concluso Andrea Baranes.

Marina Sardi, studentessa del Master di Giornalismo e Comunicazione scientifica dell’Università di Ferrara, volontaria all’ufficio stampa del festival

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