In una casa di riposo in California, Lilia, un’ottuagenaria di origini lituane tre volte vedova, scrive un libro di memorie, destinato a essere letto, dopo la sua morte, dalla nipote Katherine, cresciuta da Lilia dopo che sua madre, Lucy – figlia di Lilia –, si è uccisa. Lo spunto per i ricordi di Lilia è la morte del padre di Lucy, Roland, un aspirante scrittore che non ha mai saputo della sua esistenza. Lilia riempie i punti ciechi mentre il romanzo passa dal diario di Roland alla narrazione in terza persona ancorata al suo punto di vista. Ma il tema e la struttura sono meno lineari di quanto possa sembrare. Leggere Se vado via somiglia a volte a quello che si prova quando ci s’imbatte in un baule di documenti personali: c’è vita in abbondanza, ma un po’ più di forma e di compromessi narrativi avrebbero aiutato il romanzo. Il suicidio di Lucy rimane inspiegabile, anche per Katherine. Se alla fine non si riesce a fare luce, forse non è per i difetti del libro quanto per la trappola di considerare il suicidio come un mistero da risolvere. Anthony Cummins, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati