Il romeno Cristian Mungiu non è un regista prolifico, ma compensa con il peso specifico dei suoi film. Gli abitanti di un piccolo villaggio arroccato sui Carpazi sembrano formare una comunità unita e solidale, nonostante la miscela storicamente infiammabile di etnie romena, ungherese e tedesca che la compone. In un grande panificio, gestito da una capace manager ungherese, Csilla, si cercano disperatamente lavoratori per accedere a dei fondi europei. Neanche il ritorno dalla Germania del burbero e volubile Mathias, che nel villaggio ha lasciato l’ex moglie e il figlio, sembra turbare la quiete. Ma invece Mungiu, lentamente, va oltre le apparenze per rivelare un substrato nascosto di xenofobia, nazionalismo e razzismo. Il titolo originale del film, R.M.N., è la sigla che indica la risonanza magnetica nucleare, un esame usato per rilevare tumori al cervello, come quello che ha colpito il padre di Mathias. Il cancro che aggredisce la comunità invece si radica quando tre operai dello Sri Lanka sono assunti dal panificio per risolvere la mancanza di forza lavoro. Un potente pianosequenza di diciassette minuti in cui 26 persone prendono la parola durante una riunione degli abitanti, mostra il malessere profondo. Solo in pochi si rifiutano di cedere alla deriva di minacce e intimidazioni. Ma Mungiu sembra volerci suggerire che loro, come l’intera Europa, stanno combattendo una battaglia persa.
Phil de Semlyen, Time Out

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Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati