Facciamo conoscenza con Tollak, il protagonista del romanzo, in età avanzata. È solo, malato e ce l’ha col mondo. La tecnologia, il tempo presente… tutto ha contribuito alla sua rovina. Barricato in una vecchia fattoria vive con la sola compagnia del giovane Oddo, detto “Oddo lo scemo”. Non vede più i figli ormai adulti e i nipoti lo infastidiscono: passano la giornata a giocare con i telefoni. L’unica luce della sua vita era la defunta moglie Ingeborg. Tollak la mette così: “Io sono Tollak di Ingeborg. Appartengo al passato. E non intendo cercare il mio posto da qualche altra parte”. All’inizio il posto di Tollak e Ingeborg è quella fattoria annessa a una segheria ereditata dal padre di lui. Poi la segheria fallisce, schiacciata dalla concorrenza dei grandi centri commerciali. I figli si allontanano per studiare in città e un giorno Ingeborg scompare nel nulla. Noi lettori sappiamo che c’è di più: la sua sparizione è una tragedia, un terribile segreto. Senza Ingeborg nella sua vita Tollak comincia a bere e sprofonda in una cupa depressione. Con premesse del genere non bisogna essere degli scienziati per capire che le cose andranno di male in peggio. Tollak è un personaggio difficile che in qualche modo ispira simpatia per la sua testardaggine ma anche per come diventa indifeso quando gli eventi cominciano a precipitare in modo bizzarro. La mia Ingeborg è un romanzo potente, meravigliosamente scritto in cui tutto sembra avere un’ambigua doppia valenza.
Jan Ø. Helgesen, Nettavisen

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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati