Non che le matrioske e le balalaike siano da meno, ma in Russia è la vodka a essere considerata il prodotto nazionale per eccellenza. Non solo nella mitologia ufficiale, ma anche nella coscienza popolare. È la quintessenza dello spirito, della malinconia e della miseria russi. Tuttavia, nella forma in cui è conosciuta e venerata oggi, questa bevanda – una soluzione acquosa di alcol etilico rettificato con una gradazione del 40 per cento – ha poco più di cent’anni. Si possono anche indicare con una certa precisione sia l’anno della comparsa della vodka russa, il 1895, sia il nome della persona che la rese possibile, Sergej Julevič Witte. A essere scrupolosi, in realtà, bisognerebbe rimandarne la nascita di altri quarant’anni, fino al 1936. Ma andiamo con ordine.

Cominciamo con un rapido ripasso dei principi della chimica. L’etanolo (cioè l’alcol usato nelle bevande alcoliche) è prodotto a partire dal glucosio attraverso un processo di fermentazione a opera di lieviti e altri microrganismi. Così si ottengono il vino, la birra e le altre bevande a bassa gradazione alcolica, conosciute fin dall’antichità in tutto il mondo. La Russia è un paese freddo, dove l’uva non cresce e, come in tutti i paesi del Nordeuropa almeno fino al cinquecento qui si consumavano principalmente bevande a base di miele e birra, con una gradazione non superiore al 10 per cento.

Per ottenere una concentrazione alcolica più elevata serve la distillazione, cioè il processo di separazione di acqua e alcol che prevede l’evaporazione del liquido e la condensazione per raffreddamento dei vapori ottenuti. Ripetendo il processo, la distillazione consente di produrre bevande con una gradazione anche del 50-70 per cento.

La tecnologia della distillazione era nota nel mondo arabo fin dal nono secolo e arrivò in Europa all’incirca nel dodicesimo. Per molto tempo non fu applicata alla produzione di alcolici: si usava soprattutto in medicina e nei processi alchemici. È solo dal trecento che in Europa la distillazione serve a creare bevande. Questo processo, però, non produce alcol puro, perché il liquido ottenuto trattiene una certa quantità di impurità. Il gusto finale del distillato è in gran parte determinato dagli ingredienti di base, dalla tecnologia di distillazione, dal tipo e dalla durata dell’invecchiamento. Da qui deriva la varietà dei superalcolici che troviamo nei negozi e nei bar: grappe, cognac, whisky, bourbon e rakie, per esempio.

Questione di gusto

E in Russia? Le bevande con una forte gradazione ottenute con la distillazione (vinokurenie in russo) si diffusero solo a partire dal cinquecento. Come in tutti i paesi del Nordeuropa, anche in Russia l’aqua vitae (acqua della vita, oggi acquavite) era a base di grano, in particolare un tipo di segale locale.

Un pranzo in una dacia nel distretto di Valdaj, Russia, 2011 (Jonas Bendiksen, Magnum/Contrasto)

I russi chiamavano i loro superalcolici “vino di pane” o “vino semplice”. Questa bevanda poteva avere una gradazione alcolica del 38 per cento (in questo caso era polugar, che significa bruciato per metà, secondo un vecchio sistema usato per determinare il contenuto alcolico e la qualità della bevanda) o del 50 per cento (il “vino in tre prove”, ottenuto bruciando e facendo evaporare due terzi del liquido). Ovviamente si bevevano anche versioni più semplici, con una concentrazione alcolica del 15-20 per cento. Ma queste bevande di solito non erano chiamate vino.

Attraverso la distillazione si poteva ottenere una soluzione con un contenuto di etanolo non superiore al 70 per cento. Tuttavia, alla metà del novecento si cominciarono a usare le colonne di rettifica, che consentono di avere una concentrazione di alcol fino al 90-95 per cento. Questo tipo di alcol non presenta quasi impurità, perciò si rivelò particolarmente adatto a impieghi medici e tecnici. La nuova tecnologia si diffuse rapidamente. E presto ci si rese anche conto che usare le colonne di rettifica era più economico, più facile e dava anche prodotti più sicuri e senza impurità. Naturalmente, in breve si diffuse anche la pratica di produrre bevande alcoliche forti semplicemente diluendo l’alcol puro rettificato.

Tuttavia, come si sarebbe capito in seguito, le persone bevono alcolici non solo per l’effetto dell’alcol: contano anche le tradizioni, le abitudini e il gusto. Per questo nei paesi con regimi di libera concorrenza le bevande a base di alcol diluito persero rapidamente terreno rispetto ai distillati tradizionali. In Russia non successe. Se anche qui ci fosse stato il libero mercato, forse oggi la bevanda nazionale russa sarebbe ancora il distillato di segale. Ma le cose sono andate in un altro modo.

Il genio di Witte

Già dagli anni sessanta dell’ottocento in Russia la vendita di alcolici era sottoposta al pagamento di accise, più o meno come succede oggi. Per le casse dello stato le entrate erano buone, ma meno consistenti di quanto avrebbe voluto il ministro delle finanze Sergej Julevič Witte. Il quale, però, non poteva semplicemente aumentare il tributo: una misura del genere sarebbe stata percepita come un furto ai danni degli imprenditori e dei consumatori. Così Witte decise di istituire un monopolio di stato per la produzione e il commercio degli alcolici. Per superare le resistenze degli imprenditori e il malcontento della popolazione spiegò che il cambiamento era stato pensato per motivi di salute pubblica: l’obiettivo era difendere i consumatori dagli intrugli di bassa qualità, nocivi e pieni di impurità, che si trovavano sul mercato.

Il problema, quindi, non era l’abuso di alcol ma la scarsa qualità del prodotto consumato, una pericolosa miscela di alcol e sostanze nocive

Il problema, quindi, non era tanto l’abuso di alcol, ma la scarsa qualità del prodotto consumato, una miscela di etanolo e sostanze dannose per l’organismo umano. Dato che controllare la qualità dei distillati dei diversi produttori era impossibile, lo stato decise di acquistare tutto l’alcol prodotto, raffinarlo e poi metterlo in vendita in botteghe di proprietà del ministero del tesoro. In questo modo sul mercato si sarebbero trovate solo bevande sicure, essenzialmente alcol puro diluito con acqua.

Il monopolio fu introdotto nel 1895. La bevanda alcolica diluita allora veniva chiamata “vino di stato”, ma è quella che oggi conosciamo come russkaja vodka, vodka russa. L’idea di proteggere i cittadini dai prodotti pericolosi fu una grandiosa mossa di marketing. E se Witte non avesse ridisegnato radicalmente il vecchio sistema produttivo, molto probabilmente oggi non ci sarebbe nessuna vodka russa.

La storia dei monopoli alcolici in Russia richiederebbe un discorso a parte. Quello che qui conta chiarire è che il regime istituito da Witte fu un capolavoro politico: per diciannove anni avrebbe fruttato allo stato russo un quarto delle sue entrate. Anche per questo il suo impatto sulla cultura alcolica del paese fu enorme.

Poiché l’alcol diluito non aveva un gusto pronunciato, le materie prime per la sua produzione non contavano molto, l’importante era che fossero facilmente reperibili e a buon mercato. Questo fece sì che il 95 per cento dell’alcol russo fosse a base di patate. A produrlo erano i privati, ma la bevanda finale era realizzata nelle fabbriche statali.

In vendita c’erano due tipi di vodka: il vino di stato semplice (comunemente chiamato “testa rossa”, dal colore del sigillo applicato al tappo di sughero), che copriva il 99 per cento del mercato; e il vino di stato da tavola (“testa bianca”). Quest’ultimo era contraddistinto da una maggiore purezza, ma non aveva alcun sapore, era più costoso e molto meno diffuso.

Il vino di stato veniva prodotto in bottiglie di diverse dimensioni e l’unità di misura era il secchio. La damigiana più grande equivaleva a un quarto di secchio, poco più di tre litri, mentre la bottiglietta più piccola si chiamava škalik e conteneva circa 61 grammi di vodka.

Un’altra importante novità legata all’introduzione del monopolio di stato fu il rinnovamento del sistema di distribuzione, che ebbe un ruolo decisivo nello sviluppo della cultura del bere in Russia. Se infatti in precedenza l’alcol era consumato principalmente nei locali pubblici, a un certo punto fu stabilito che la vodka poteva essere venduta solo in negozi statali ed esclusivamente per l’asporto. Lo scopo era salvaguardare la salute della nazione: si credeva, infatti, che a casa le persone si sarebbero ubriacate meno che nelle osterie. In pratica, però, si ottenne l’effetto contrario. Le vendite di alcolici aumentarono molto, e di conseguenza anche le entrate per le casse dello stato. E si diffuse l’abitudine di bere nei giardini pubblici, nei vicoli nascosti o direttamente per strada.

La vendita di vodka per il consumo immediato non era vietata, ma fu resa più difficile dalla nuova legge. Per servire vino di stato sfuso bisognava avere licenze speciali, che erano di due tipi: quella più accessibile consentiva alle osterie di vendere vodka solo in bottiglie sigillate e non a singole dosi. Nei locali di lusso, inutile dirlo, questi problemi non c’erano.

Lo stato onnipotente

A questo punto restano da fare alcune considerazioni sul nome attuale della bevanda e sulla sua gradazione alcolica, che oggi è del 40 per cento. La parola vodka (diminutivo di voda, che in russo vuol dire acqua) è arrivata in Russia nel cinquecento, probabilmente dalla Polonia, dove era conosciuta già dal secolo precedente. Inizialmente era usata per le tinture alcoliche medicinali a base di erbe. Poi, dal seicento, passò a indicare tutte le bevande raffinate a base di vino di pane. Nell’ottocento il significato della parola vodka si ampliò notevolmente, fino a designare qualsiasi alcolico forte, non solo russo.

Da sapere
Grandi bevitori
Consumo di bevande alcoliche in litri di alcol puro procapite (sopra i 15 anni di età), 2019. I primi dieci paesi europei con Italia e Russia (Fonte: Oms)

Tuttavia, all’inizio del novecento, in Russia il nome ufficiale dell’unica bevanda alcolica di forte gradazione diffusa sul mercato era ancora “vino”. Spesso le persone la chiamavano vodka, ma ufficialmente era venduta con il nome di “vino”. E così fu fino al 1925, quando le autorità sovietiche abolirono la legge che proibiva la circolazione degli alcolici e ristabilirono il regime di monopolio. Le etichette con la scritta “vodka” cominciarono a diffondersi alla fine degli anni venti. E solo nel 1936 fu adottato lo standard di produzione sovietico, in cui la denominazione “vodka” era assegnata a una soluzione al 40 per cento di alcol rettificato.

La vodka russa, quindi, non ha ancora cent’anni.

E perché la gradazione doveva essere esattamente del 40 per cento? Il perfezionamento della ricetta della vodka russa, con il suo preciso contenuto di alcol, è spesso attribuito al grande chimico Dmitrij Mendeleev, che nella sua tesi di dottorato si occupò della “combinazione dell’alcol con l’acqua”. Il suo lavoro, però, era dedicato ai princìpi e alla logica delle misurazioni, non allo studio delle proprietà della bevanda. Era un testo puramente scientifico e non aveva alcuna relazione diretta con la produzione di alcolici.

Quel famoso 40 per cento non proveniva quindi da calcoli chimici, ma da valutazioni di natura economica. Come abbiamo già detto, fino al 1895 in Russia era in vigore un sistema di accise sulla produzione e la vendita di bevande alcoliche. Il valore dei tributi era calcolato in base alla gradazione della bevanda, e lo standard di riferimento era il polugar, che conteneva il 38 per cento di alcol. Con la comparsa dei primi alcolometri, il ministro delle finanze Michael von Reutern nel 1866 ebbe l’idea di arrotondare la cifra per facilitare i calcoli.

Tirando le somme, va detto che le caratteristiche principali della bevanda nazionale della Russia – la forza, l’asprezza, la semplicità – non vengono affatto dallo spirito popolare russo. Se non fosse stato per l’appassionato desiderio dello stato di tassare la popolazione con il pretesto di preservarne la salute, forse oggi saremmo abituati a gustare le complesse sfumature dei polugar di segale.

Ma queste sono solo fantasie. Il problema principale, la forza principale e spesso (molto spesso) la sciagura principale dei russi è esattamente lo stato. Anche per questo, è perfettamente logico che la vodka – un alcolico puro e senza alcun sapore, creato e venduto dallo stato – sia diventata uno dei simboli del paese e la sua bevanda nazionale. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1426 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati