Europa centrale

L a Polonia ha osservato a lungo in silenzio la politica indulgente di Viktor Orbán nei confronti della Russia, ma non sembra disposta a tollerare all’infinito l’atteggiamento del premier ungherese. Tanto più che nelle ultime settimane alcune sue uscite sono sembrate particolarmente fuori luogo. Orbán poteva tranquillamente evitare di definire il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj un avversario politico, come ha fatto dopo il voto legislativo del 3 aprile. Ma a irritare Jarosław Kaczyński, leader del partito conservatore e nazionalista Diritto e giustizia (Pis, al potere dal 2015), è stata soprattutto la scelta del premier ungherese di non prendere posizione sulla strage di civili a Buča. Solo con diversi giorni di ritardo il portavoce di Orbán ha condannato quelle violenze, senza però nominare i colpevoli. Inoltre, sui mezzi d’informazione legati al partito al potere, Fidesz, si sentono spesso voci che mettono in dubbio le responsabilità dei russi nei massacri in Ucraina.

Prima del voto, Kaczyński aveva detto di voler aspettare l’esito delle urne per dare una valutazione sulle mosse di Orbán. Oggi dice chiaramente che ha intenzione di riconsiderare i rapporti tra i due paesi. Tutto questo mette in discussione il futuro dell’alleanza di Visegrád (V4), che riunisce, oltre a Polonia e Ungheria, anche Repubblica Ceca e Slovacchia. La collaborazione tra i paesi del gruppo è stata sospesa per alcune settimane. Non poteva essere altrimenti. Il vertice dei ministri degli esteri del V4, in programma a Budapest il 30 marzo, è saltato perché nessuno voleva farsi vedere insieme agli esponenti del governo ungherese. La ministra della difesa ceca Jana Černochová lo ha scritto chiaramente: “Mi dispiace molto che per i politici ungheresi il petrolio russo sia più importante del sangue ucraino”. A pensarla così sono anche gli altri paesi del gruppo.

Prima del voto ungherese Kaczyński riteneva che il V4 si potesse trasformare in una specie di gruppo di pressione interno all’Unione europea, ma ormai anche quest’ipotesi è in dubbio. La disgregazione dell’alleanza sarebbe un duro colpo per i progetti geopolitici di Orbán. Il premier ungherese sognava infatti la nascita di un blocco di paesi centroeuropei che non avesse bisogno di “protettori” statunitensi o tedeschi: “C’è un mondo, il nostro mondo, che sta nel mezzo, tra quello tedesco e quello russo. Nel corso della storia per noi ungheresi e per gli altri popoli della regione la domanda principale è stata: chi organizzerà, e in che modo, questo mondo?”. Orbán riteneva che questo ruolo potesse essere ricoperto dai polacchi. “Se organizzeremo le nostre navi da guerra e le nostre truppe intorno alla guida dei polacchi e riusciremo ad accordarci con loro”, diceva, “l’Europa centrale sarà capace di difendere i suoi interessi, noi saremo più ricchi e cresceremo più rapidamente di quanto succederebbe se ci facessimo guidare da altri”. All’idea aveva anche dato una dimensione storica: “È dalla notte dei tempi che i popoli dell’Europa centrale non avevano un’occasione così preziosa per diventare padroni del proprio destino, organizzandosi attorno alla nave ammiraglia polacca”.

Secondo la concezione geopolitica di Orbán, con il cuore dell’Europa organizzato intorno all’asse franco-tedesco e la parte centrale del continente costruita sul binomio polacco-ungherese, l’Unione avrebbe potuto finalmente avere una chiara sovranità strategica.

La Polonia, tuttavia, non si è dimostrata pronta a seguire una strategia che l’allontana dal suo storico alleato, gli Stati Uniti. Per Varsavia, infatti, la principale minaccia alla sicurezza è rappresentata dalla politica imperiale di Mosca, e la nave ammiraglia sono gli Stati Uniti. Inoltre, l’autonomia in materia di difesa caldeggiata da Orbán è inimmaginabile senza un’Unione europea più federale e senza una politica estera unitaria, obiettivi che proprio l’Ungheria è la prima a rifiutare.

Seguire la linea

Nelle ultime settimane tutto questo sembra averlo capito anche Orbán, che ha infatti abbandonato i suoi grandi piani geopolitici. All’inizio di aprile ha definito l’alleanza una collaborazione esclusivamente tattica. Anche l’idea dell’ammiraglia polacca è superato: oggi Orbán sostiene che “l’intesa polacco-ungherese non è geo­politica e non è nata per avere una politica estera comune, ma per permettere all’Europa centrale di difendere i suoi interessi all’interno dell’Unione europea”.

Le stesse cose le ha dette anche Kaczyński, eppure Varsavia continua a tenere il piede in due staffe. Il risultato è che, anche se entrambi i paesi sono accusati di aver violato lo stato di diritto, Bruxelles ha avviato la procedura per bloccare l’erogazione dei fondi europei, in base al cosiddetto meccanismo di condizionalità, solo nei confronti di Budapest. “È perché la Polonia ha fatto valere il ruolo che sta giocando nel conflitto russo-ucraino a difesa dei valori europei”, ha commentato Tibor Navracsics, ex commissario europeo dell’Ungheria e deputato di Fidesz.

C’è inoltre da sottolineare che la Polonia ha fatto diversi passi indietro nello scontro con l’Unione europea sulla questione del rispetto dello stato di diritto. All’inizio di febbraio il presidente Andrzej Duda ha presentato una proposta di legge che metterebbe fine al contenzioso con Bruxelles sulla giustizia e a marzo ha messo il veto a una modifica della legge sull’istruzione che avrebbe reso i presidi dipendenti da ispettori scolastici nominati dal governo. In caso di guerra bisogna essere uniti e non c’è tempo per i dibattiti ideologici, ha spiegato il presidente.

A questo punto, se riusciranno a sottrarsi alla procedura d’infrazione europea sulle violazioni dello stato di diritto, prevista dall’articolo 7 del trattato di Lisbona, difficilmente i polacchi saranno disposti a mettere il veto in caso di sanzioni contro l’Ungheria, come invece avrebbero fatto in passato in base a una sorta di patto di difesa comune. E se l’alleanza tra Budapest e Varsavia è spacciata, allora il gruppo di Visegrád, che dopo i recenti cambi di governo in Repubblica Ceca e in Slovacchia già non era più il V4 del passato, rischia di ridursi a un V1.

I rapporti sono infatti tesi anche tra slovacchi e ungheresi. E la politica estera di Budapest non piace nemmeno ai cechi. A luglio Praga assumerà la presidenza di turno del consiglio dell’Unione europea, e cercherà d’intensificare la collaborazione con i principali governi del continente. Questo vuol dire che in Europa i paesi di Visegrád potranno far valere i loro diritti solo se non si allontaneranno dalla rotta tracciata da Bruxelles. ◆ ct

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Questo articolo è uscito sul numero 1459 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati