Tremila “patrioti” sono riuniti in una sala spoglia a Saint-Avold, una sonnolenta cittadina industriale nei dintorni di Metz, in Francia, per un raduno elettorale del partito di estrema destra Rassemblement national (Rn). Il pubblico è composto da gente di campagna, che agita bandiere francesi e rumoreggia ogni volta che viene fatto il nome del presidente Emmanuel Macron. “Macron parla dell’Ucraina, Mélenchon (Jean-Luc, leader della sinistra radicale) della Striscia di Gaza. Noi facciamo campagna elettorale per la Francia e i francesi”, dice Jordan Bardella, 28 anni, capolista dell’Rn alle europee del 9 giugno.

L’Unione europea deve fare un balzo in avanti, ha affermato ad aprile Macron in un discorso alla Sorbona, a Parigi. Deve unirsi contro la minaccia rappresentata da Russia e Cina e contro la concorrenza economica statunitense e cinese. Solo diventando un blocco politico compatto, potrà avere la forza per difendersi.

Nel continente, però, è il momento dei partiti che esaltano il ritorno a una “Europa delle nazioni”. In Francia l’Rn è ampiamente in testa nei sondaggi per il 9 giugno: ha il 31 per cento delle intenzioni di voto rispetto al 16 della coalizione di Macron, Ensemble! I nazionalisti sono in testa anche in Austria, Paesi Bassi, Fiandre (Belgio) e Italia. In Germania, Alternative für Deutschland (Afd) è il secondo partito, nonostante il calo di popolarità causato da alcuni scandali e l’ascesa della nuova formazione populista di sinistra di Sahra Wagenknecht. Stando ai sondaggi, i due raggruppamenti della destra radicale al parlamento europeo – Identità e democrazia (Id) e Conservatori e riformisti europei (Ecr) – conquisteranno circa il 23 per cento dei seggi. Nel 2014 avevano il 15 per cento. Certo, sono ancora lontani dalla maggioranza, ma in diversi paesi fanno ormai parte delle coalizioni di governo, per esempio nei Paesi Bassi e in Croazia. E in futuro potranno avere la forza per ostacolare il funzionamento della macchina europea. In questo modo “l’Europa rischia di morire”, ha detto Emmanuel Macron con la sua tipica enfasi.

La nascita dell’unità

Saint-Avold è un ammasso di edifici grigi tra le colline della Mosella, in una provincia che può fare da cartina di tornasole per tutta l’Europa. Al ballottaggio delle presidenziali del 2022 nel capoluogo Metz, sede di un’università e di una filiale del centro culturale Georges Pompidou di Parigi, Macron ha preso il 67 per cento dei voti. Ma a Saint-Avold ha vinto Marine Le Pen con il 53 per cento. Nei vecchi quartieri di minatori, come la Cité Jeanne d’Arc, l’Rn ha superato il 70 per cento.

In un certo senso la Mosella è anche la terra natale dell’Europa. Qui è cresciuto Robert Schuman, il ministro degli esteri francese che il 9 maggio 1950 gettò le basi dell’unità europea con la proposta di creare la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca). Schuman era nato in una zona di confine, teatro di molti conflitti. Ed era nato tedesco, perché nel 1871 l’Alsazia-Lorena era stata annessa dall’impero germanico dopo la guerra franco-prussiana. Durante gli anni della prima guerra mondiale Schuman ebbe un tranquillo impiego nell’amministrazione tedesca, lontano dal fronte. Nel 1918, quando la regione tornò a far parte della Francia, diventò cittadino francese. Nel 1940 i tedeschi la invasero di nuovo, e Schuman passò gran parte della seconda guerra mondiale nascosto in un convento. L’Europa è nata da esperienze come questa. Secondo Schuman, la prima cosa da fare era mettere fine all’ostilità franco-tedesca e spesso i contrasti trai due paesi si erano concentrati sul controllo delle aree metallurgiche e carbonifere nei pressi del confine. Una gestione comune di questi bacini sarebbe stato il primo passo verso la riconciliazione.

Quell’obiettivo è stato raggiunto, forse più di quanto lo stesso Schuman potesse immaginare. Nella regione della Mosella non ci sono più confini; gli uffici della dogana sono stati trasformati in panifici o pizzerie. Molti francesi lavorano in Germania o in Lussemburgo e sono pagati in euro. L’idea di una guerra tra Francia e Germania è diventata assurda. Proprio grazie a questo successo, oggi in Europa molti pensano di poter provare a dare fiducia all’estrema destra. In un continente che non ha più confini, cercano la protezione di uno stato-nazione in cui “il popolo” del posto la faccia da padrone.

Che aspetto avrà quest’Europa delle nazioni? La risposta varia a seconda dei paesi e dei partiti con cui si parla, ma ormai quasi nessuno vuole uscire dall’Unione europea. Quest’idea ha perso terreno dopo la Brexit, e poi molti hanno paura di un salto nel buio. Oggi l’estrema destra vuole cambiare l’Unione dall’interno. L’Rn parla di una “Unione di nazioni, collaborazioni e progetti”: un gruppo di paesi che lavorano insieme su alcuni temi, per esempio il programma Erasmus per gli studenti o imprese industriali come l’Airbus, ma non un’unione in grado di imporre norme vincolanti agli stati che ne fanno parte. Un’Europa à la carte, l’ha chiamata Le Monde: una specie di club in cui tutti possono entrare e uscire, con regole talmente poco stringenti da permettere perfino ai britannici di tornare a farne parte.

Collaborare è inevitabile

“L’Unione è un superstato, un impero. Bruxelles sforna leggi che i paesi europei devono rispettare, ma su cui i loro parlamenti non hanno mai votato”, dice Patricia Chagnon, europarlamentare dell’Rn di origine olandese, che come esempio cita il patto sulla migrazione e l’asilo, entrato in vigore all’inizio di maggio dopo essere stato approvato dal parlamento europeo. E dopo nove anni di dibattiti tra i paesi dell’Unione, cominciati con la cosiddetta crisi dei migranti del 2015. In questo processo anche i parlamenti nazionali hanno un ruolo non da poco: il premier olandese viene inviato ai vertici europei con un preciso mandato della camera dei deputati dell’Aja.

Tuttavia, dato che l’assemblea nazionale francese non si è espressa sulla questione, l’Rn considera il patto sulla migrazione e l’asilo – e tutti gli accordi europei – una violazione della sovranità nazionale. L’“Europa delle Nazioni” rappresenta quindi anche un attacco al metodo con cui funziona l’Unione, con compromessi raggiunti dopo infiniti scontri e discussioni, ma poi vincolanti per tutti.

Manifestazione contro il partito di estrema destra spagnolo Vox. Madrid, Spagna, 19 maggio 2024 (Diego Radames, Europa press/Getty)

In un mondo in cui le grandi questioni non conoscono confini, degli accordi a livello europeo sono necessari, dice Hendrik Vos, politologo all’università di Gand e autore del libro Dit is Europa, de geschiedenis van een Unie (Questa è l’Europa, la storia di un’unione). “Tutte le sfide che abbiamo di fronte – clima, migrazioni, pandemie, evasione fiscale, energia, problemi geopolitici – richiedono collaborazione. Perfino paesi come la Germania e la Francia sono troppo piccoli per risolvere da soli questioni simili. Se si vuole far fronte ai grandi blocchi di altre parti del mondo, bisogna collaborare”, aggiunge Vos. Con gli accordi europei, gli stati dell’Unione cedono parte della loro sovranità perché ritengono di poter ottenere risultati più importanti lavorando insieme piuttosto che ciascuno per proprio conto.

L’Rn, però, non è d’accordo. Secondo Chagnon, la Francia è in grado di risolvere da sola i suoi problemi: “Noi crediamo in un mondo multipolare in cui la Francia possa avere un ruolo significativo, soprattutto nella difesa degli interessi del popolo francese. Il possesso dell’arma nucleare ci mette in una posizione diversa da quella degli altri stati europei. È vero, la Francia ha perso influenza a livello geopolitico, ma la colpa è solo dei governi che abbiamo avuto. Noi rimedieremo al problema”.

Quando però si parla di collaborazione tra i partiti della destra nazionalista, Vos è molto scettico. L’estrema destra non è monolitica, spiega. Fratelli d’Italia e l’Rn inseguono una certa rispettabilità istituzionale, mentre l’Afd strizza l’occhio al passato nazista. L’ungherese Fidesz e il polacco Diritto e giustizia (Pis) difendono un cattolicesimo molto conservatore, mentre gli olandesi del Partito per la libertà (Pvv) e l’Rn sono rigorosamente laici. Il Pis è decisamente ostile alla Russia, mentre il leader di Fidesz Viktor Orbán è il miglior amico di Putin nell’Unione.

C’è poi il fatto che se si costruisce la propria politica sullo slogan “prima la nostra gente” – gli italiani, i francesi o gli olandesi – si entra inevitabilmente in conflitto con gli interessi degli altri europei. Meloni è favorevole al patto sulla migrazione perché serve a smistare i migranti in tutto il continente, diminuendo così la loro presenza in Italia. I partiti di destra degli altri paesi, però, sono contrari, perché considerano la ridistribuzione obbligatoria una violazione della loro sovranità. Secondo Vos, i leader dell’estrema destra dovranno confrontarsi comunque con una realtà che li obbligherà a collaborare. “Il desiderio di agire al livello nazionale è sempre stato forte. Raramente le proposte di collaborazione sono state accompagnate da grande entusiasmo o spinte ideali. Sono sempre accettate controvoglia e sotto la pressione di qualche crisi”. Quella economica degli anni ottanta portò alla nascita del mercato unico e quella dei migranti del 2015 all’approvazione del patto sulla migrazione e l’asilo. Allo stesso modo la minaccia russa ha reso necessaria una maggiore collaborazione nel settore della sicurezza. “Non appena i partiti della destra radicale dovranno fare i conti con le responsabilità di governo, si comporteranno in modo diverso”, dice Vos, che cita l’esempio di Giorgia Meloni, ormai piuttosto benvista a Bruxelles. “Se Marine Le Pen diventerà presidente della Francia nel 2027, probabilmente seguirà le orme di Meloni. La Francia ha bisogno degli altri paesi europei, proprio come l’Italia ne ha bisogno per tenere sotto controllo l’immigrazione. Settant’anni di storia ci hanno portato a unirci. È un fatto che non si può negare”, dice Vos. Non tutti gli esperti sono così ottimisti. L’estrema destra sembra essersi in qualche modo normalizzata, ma in realtà non è cambiata, ha detto al New York Times la politologa italiana Nathalie Tocci. Oggi Meloni sembra ragionevole e responsabile, ma se la destra radicale diventerà ancora più forte, magari incoraggiata dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, sarà “più che felice di mostrare il suo vero volto”.

Nel mondo di una volta

La casa di Robert Schuman a Scy-Chazelles, un villaggio vinicolo sulle colline vicino a Metz, è stata convertita in un museo. Si respira ancora un’atmosfera di sobria devozione: Schuman era cattolico e visse una vita quasi monastica, senza mai sposarsi e dedicandosi esclusivamente al lavoro. Sulla sua scrivania c’è la celebre dichiarazione del 9 maggio 1950, scritta a macchina su foglietti ingialliti con le correzioni fatte a mano.

Le forme del continente

Ai tempi di Schuman la regione della Mosella era il cuore dell’Europa del carbone e dell’acciaio. I minatori e gli operai erano i soldati che combattevano sul fronte del progresso per una nuova Europa, pacifica e ricca. Quei giorni gloriosi sono finiti. Appena fuori da Saint-Avold c’è un grande terreno incolto e invaso dalle erbacce, dove sorge la fabbrica di coke di Carling, chiusa da anni. Sui ponti che attraversano la strada c’è ancora scritto a lettere sbiadite: Ralentissez, sorties usines (rallentare, uscita fabbriche). Accanto c’è la centrale elettrica a carbone Émile-Huchet, a lungo tra i più grandi stabilimenti della zona: chiusa nel marzo del 2022, ha riaperto pochi mesi dopo per far fronte a un’eventuale penuria di energia causata dalla guerra in Ucraina. Ma quanto durerà? “Queste aziende erano l’orgoglio del paese”, dice Bardella. Di recente la centrale è stata comprata da un’azienda ceca che vuole produrre energia da biomasse. La Mosella non è una zona povera. La disoccupazione è al 7,5 per cento, in linea con la media francese. Ma la regione ormai vive grazie all’economia della conoscenza, concentrata nelle sue città universitarie. In tutt’Europa ci sono posti come Saint-Avold, che stentano a stare al passo coi tempi e dove il passato sembra più luminoso del futuro.

In queste regioni abitano molti elettori culturalmente conservatori che hanno perso fiducia nei grandi partiti di massa di un tempo. Negli anni cinquanta l’unità europea è stata promossa dai socialdemocratici, ma soprattutto dai cristianodemocratici. Dopo due guerre mondiali, gli europei ne avevano abbastanza di strani esperimenti ideologici. Scelsero la noia e dei politici che, proprio a causa della loro rispettabilità e affidabilità, erano in grado di seguire un’altra strada.

Anche al parlamento europeo i grandi partiti tradizionali perdono terreno. Nel 2019 popolari, socialisti e liberali avevano ottenuto insieme il 6o per cento dei seggi; secondo i sondaggi, a giugno ne avranno appena il 43 per cento. A trarne vantaggio è l’estrema destra, che chiede confini netti non solo tra i singoli stati e il resto del mondo, ma anche tra “la nostra gente” e gli immigrati, tra gli uomini e le donne (“contro l’assurda ideologia gender”), tra i cittadini onesti e i criminali, che vanno puniti duramente. “Ne ho abbastanza di criminalità e immigrazione. La Francia ha fatto il pieno di immigrati. Non possiamo accogliere tutta la miseria del mondo”, dice il meccanico Clément Stern mentre porta a passeggio il cane nella Cité Jeanne d’Arc, il quartiere costruito negli anni trenta per gli operai della vicina miniera di Sainte-Fontaine, oggi roccaforte di Marine Le Pen. “Sono cresciuto qui. A scuola c’erano polacchi e italiani, figli di minatori. Mai avuto problemi con loro. I guai sono cominciati con gli immigrati del Maghreb. Alcuni si integrano, ma tanti non si vogliono adattare. Hanno un’altra visione del mondo”.

Stern ricorda che a scuola, se dava fastidio, veniva preso a bacchettate dall’insegnante. “Oggi invece i ragazzini non hanno più rispetto. Per un po’ ho lavorato in una discoteca. Durante una lite con un cliente mi sono beccato una pallottola nella gamba”, racconta. I sostenitori dell’Rn chiedono ordine e autorità. “Macron se ne frega. Il governo è troppo permissivo. Io voglio un mondo più inquadrato, sotto ogni aspetto”, dice Patricia Lukac, 50 anni, che lavorando con i richiedenti asilo è diventata “molto di destra”.

I leader dell’Rn fanno leva su quest’insofferenza. “La fermeté, encore la fermeté, toujours la fermeté”, è lo slogan di Bardella: fermezza, fermezza e ancora fermezza. Dopo il suo discorso, compare a sorpresa Marine Le Pen in persona. Con voce squillante ricorda i tempi in cui le persone erano cortesi ed educate, “gli uomini davano la precedenza alle donne e i giovani lasciavano il posto agli anziani”.

In un’Europa senza confini, i paladini delle frontiere sono sempre di più. ◆ oa

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati