Per anni, la possibilità della liberazione dei detenuti dalle prigioni del regime di Bashar al Assad è rimasto un sogno irraggiungibile per chiunque fosse stato incarcerato. Come molti ex detenuti, anch’io credevo che le fazioni armate dell’opposizione sarebbero venute a salvarci, soprattutto quando i rumori di scontri e bombardamenti si avvicinavano al carcere dov’ero rinchiusa. Ma con il passare del tempo, quel sogno sembrava allontanarsi.

Negli ultimi anni chi è uscito dalle prigioni di Assad, me compresa, nella maggior parte dei casi l’ha fatto solo grazie a tangenti pagate dalle famiglie ai funzionari del regime o attraverso scambi di prigionieri. Ma il video diffuso il 29 novembre 2024, che documenta la liberazione dei detenuti politici dalla prigione di Tariq Ibn Ziyad ad Aleppo, ha riportato alla luce una speranza che credevamo perduta.

Non riuscivo a smettere di guardare quel video, in cui i detenuti e le detenute corrono con in mano i loro sacchetti di vestiti, tra grida di gioia. Mi si è fissata in mente l’immagine di una donna che corre fino a scomparire nell’oscurità. Avrei voluto abbracciarla forte. Il video non ha colpito solo me, ma ha suscitato emozioni anche in molti dei miei amici che hanno vissuto l’esperienza della prigionia sotto il regime di Assad.

La mia amica Rouaida Kanaan ha ricordato la sua esperienza nel carcere di Adra nel 2014. È stata arrestata tre volte tra il 2011 e il 2014 ed è stata nella sezione penale di Damasco e nel famigerato centro di detenzione di Al Khatib, prima di essere inviata ad Adra. Ha detto: “Quando ho visto le donne uscire, ho provato una gioia indescrivibile. Mi sono ricordata che eravamo sempre pronte a ogni evenienza. Una volta, quando gli scontri intorno al carcere si sono intensificati, abbiamo preparato dei sacchetti con i nostri pochi effetti personali, sperando che l’Esercito siriano libero venisse a liberarci.”

Un evento cruciale

Quando le fazioni armate hanno preso il controllo di Aleppo e poi di Hama, una città segnata dalle profonde cicatrici dei massacri compiuti nel 1982 da Hafez al Assad e da suo fratello Rifaat, si è aperto uno spiraglio di speranza. Da lontano abbiamo guardato le immagini e i video della prigione di Hama con un misto di gioia, tristezza e paura. Sono stati liberati circa tremila detenuti, siriani e di altre nazionalità come libanesi e iracheni, molti dei quali erano scomparsi da decenni.

La mia amica Jumana Hassan, sopravvissuta al carcere, ha scritto sulla sua pagina Facebook: “La liberazione dei prigionieri non è un dettaglio secondario, né a livello personale né collettivo. È un evento cruciale nella storia moderna della Siria, nella vita dei detenuti che hanno riconquistato la libertà e in quella delle loro famiglie, che hanno vissuto anni di dolore e attesa. Questo evento ha ridato vita a un sogno che il mondo intero, complice con il regime di Assad, aveva cercato di soffocare.”

Jumana ha trascorso quasi dieci mesi in carcere, senza un processo, senza una condanna e senza idea di cosa stesse succedendo fuori. È uscita grazie a uno scambio di prigionieri. Racconta: “Per qualsiasi detenuto, lasciare il carcere è un momento che le parole non possono descrivere. Si prova un misto di shock, gioia e confusione. Forse ho bisogno di più tempo per capire cosa è successo davvero, ma ora mi rendo conto che la libertà, comunque sia arrivata, è il miracolo che tutti stavamo aspettando”.

Abbiamo seguito con ansia gli sviluppi dell’offensiva lanciata dalle fazioni armate dell’opposizione. Gli eventi hanno accelerato oltre ogni aspettativa, soprattutto dopo anni di delusioni per il fallito tentativo di rovesciare Assad e per la normalizzazione delle relazioni tra il regime e alcuni paesi arabi che hanno riaperto le loro ambasciate a Damasco. Sui social media circolano immagini di sfollati che tornano a casa dalle famiglie e di prigionieri scarcerati.

Man mano che le città sono liberate dal controllo del regime di Assad, aspettiamo con impazienza il momento in cui i detenuti e le detenute lasciano le celle del regime. Per chi conosce questi sotterranei dove migliaia di civili di varie nazionalità arabe sono stati torturati, uccisi e fatti sparire, queste scene possono essere descritte solo come gioiose. Non importa chi apre le celle: l’importante è che le porte chiuse siano buttate giù e che i detenuti riacquistino la libertà.

Il mio amico Sarmad al Jilani, che è stato arrestato quattro volte tra il 2011 e il 2012 e trasferito in varie strutture di sicurezza del regime, dice: “Con tutto quello che è successo, anche se chi ha liberato le prigioni fosse un demonio, non riuscirei a trattenere le lacrime. Dopo dodici anni, non riesco ancora a superare i danni psicologici e fisici. Assad ci ha portato a un punto in cui non possiamo più immaginare come si sentono queste persone, come se fossero risorte dopo anni di morte. Gli è stata data una nuova vita”.

Nonostante i timori sulla possibilità che i gruppi islamici prendano il controllo della Siria dopo la caduta di Assad, non possiamo negare la nostra gioia. Lo diciamo forte e chiaro: siamo felici. Niente può darci più gioia dell’apertura delle prigioni di Assad e del ritorno alle famiglie dei detenuti e delle detenute. ◆ abi

Ruqaya al Abadi è una giornalista e scrittrice siriana che vive in Francia.

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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati