È un mercoledì di maggio del 2020, e la carneficina comincia presto. Poco dopo l’alba due uomini sono trovati morti: uno per strada nel quartiere di Tenderloin, l’altro davanti a una scuola elementare a Bernal Heights. Poche ore dopo gli addetti alle pulizie sfondano la porta di un appartamento messo in affitto su Airbnb, tra Eighth street e Market street, e rimangono sopraffatti dall’odore di tre corpi in decomposizione. In una settimana il medico legale ha già registrato quattordici decessi per overdose. Altre sei persone moriranno entro domenica. E in più della metà dei casi il tossicologo troverà tracce di fentanyl, un oppioide sintetico che crea forte dipendenza ed è responsabile di un numero mai visto di morti per overdose negli Stati Uniti. Tra il 2020 e il 2021 a San Francisco sono state almeno 1.310, circa il doppio delle persone uccise dal covid-19. Tre quarti delle vittime avevano fentanyl nel sangue.

Il bilancio sarebbe più alto se non fosse per il Narcan, un farmaco spray usato come antidoto e che ogni mese salva almeno cinquecento vite. Molte delle vittime sono state trovate a pochi isolati l’una dall’altra, nei quartieri di Tenderloin e South of Market, dove da tempo si concentrano i problemi più urgenti di San Francisco. I morti sono in larga parte uomini afroamericani.

Gli effetti del fentanyl – un farmaco che provoca una sensazione di benessere seguita da uno straziante bisogno di averne ancora – non colpiscono solo chi ne fa uso: stanno contribuendo a far aumentare il numero di persone che vivono per strada e i crimini, togliendo risorse alla città e accentuando le divisioni politiche su come affrontare la situazione.

Molti lavorano in prima linea per salvare vite umane, ma l’amministrazione della città non ha messo a punto un piano chiaro e coerente contro l’emergenza, anche se nell’ultimo anno fiscale ha stanziato 71,4 milioni di dollari per programmi di cura e prevenzione.

Il problema continua ad aggravarsi e la sofferenza cresce, insieme all’esasperazione degli abitanti della zona. Per capire meglio l’impatto del fentanyl sulla città, il San Francisco Chronicle ha seguito per un anno alcune persone prese nella sua morsa, che cercano di sopravvivere solo con le loro forze a questa tentacolare epidemia.

Per gli agenti è un rito quotidiano: perlustrare i marciapiedi per assicurarsi che le persone distese a terra siano ancora vive

Una vita spezzata

Per Anthony Alexander il fentanyl non funziona più: nessuna euforia, nessun intorpidimento dei sensi. Serve solo a riportarlo alla normalità. O, almeno, alla sua versione della normalità. La vita di Anthony era qualcosa di più di una stanza di 25 metri quadrati piena di topi e scarafaggi nel quartiere di Mission. Nella città dove è nato, in Florida, giocava a basket, tirava di boxe e frequentava un programma per studenti particolarmente brillanti. Era attirato dall’informatica, dalla fisica e dalla scrittura creativa.

Per un anno ha insegnato inglese in una scuola elementare in Thailandia. I bambini lo adoravano: un americano alto, simpatico e gentile, sempre pronto a organizzare una partita di basket. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a 42 anni a vivere per strada, senza lavoro, tossicodipendente e depresso. Ha cominciato con eroina, cocaina e metanfetamina. Queste sostanze hanno compromesso la sua salute, provocandogli una psicosi debilitante e spingendolo a fare scelte che alla fine lo hanno portato in prigione. Suo fratello maggiore è morto per overdose.

Il fentanyl non ha niente a che fare con le altre droghe, dice Anthony. Ogni volta che sente finire il suo effetto, prova un dolore fisico e mentale così straziante da convincerlo che le cose non potranno andare bene mai più. Vorrebbe riprendersi la sua vita, ma è difficile riuscirci in una città devastata dal fentanyl. Anthony è un afroamericano adulto, la categoria più colpita dall’epidemia. Vive da solo in un single room occupancy hotel (una sorta di alloggio per poveri). Ma non ha paura di morire a causa del fentanyl.

Quello che lo spaventa di più è che la droga gli impedisca per sempre di avere una vita normale.

Potente, a buon mercato, letale

All’inizio dell’epidemia di fentanyl a San Francisco, decine di persone erano andate in overdose perché prendevano senza saperlo sostanze tagliate con questo oppioide. Oggi molti di quelli che lottano con la dipendenza fumano e s’iniettano intenzionalmente il fentanyl perché è potente e costa meno delle altre droghe. Spesso dicono che vorrebbero non averlo mai provato.

Due milligrammi di fentanyl, l’equivalente di pochi granelli di sale, possono uccidere chi non ha sviluppato una tolleranza alla sostanza. L’antidolorifico è spesso somministrato negli ospedali ai pazienti più gravi, come i malati oncologici terminali, e deve essere usato con cautela. Ma il fentanyl illegale che si trova per le strade di San Francisco è prodotto in laboratori – di solito in Cina o in Messico – e spedito con un corriere, per esempio Ups e Dhl. Le dosi che arrivano in città sono a volte mescolate con altre droghe o additivi, confezionate in carta stagnola e vendute a un prezzo che va dai venti ai quaranta dollari al grammo. Il fentanyl si trova in pastiglie, compresse, spray orale, liquido da iniettare e cerotti. La sua azione è rapida e può essere da trenta a cinquanta volte più potente dell’eroina.

Si tende a pensare che la dipendenza sia una scelta o una questione morale, e che chi fa uso di droghe possa semplicemente decidere di smettere. Ma i medici spiegano che non è affatto così. Alcuni tipi di dipendenza possono essere genetici e la malattia può essere aggravata da altri fattori sociali come la povertà, le cattive condizioni di salute e i traumi.

Quando entra nel cervello, il fentanyl si lega ai recettori degli oppioidi, e così riduce il dolore e aumenta il piacere saturando il cervello di dopamina. Si lega anche ai recettori che controllano la frequenza del respiro. Crea particolare dipendenza perché agisce più velocemente di altre droghe e in modo più forte. Questo significa che basta anche una piccola quantità per placare il corpo e la mente.

Paul Harkin, un volontario, parla con un ragazzo dipendente dal fentanyl a San Francisco, febbraio 2020 (Nick Otto, The Washington Post/Getty Images)

Sul corpo agisce rallentando la respirazione e il battito cardiaco, abbassando la temperatura e provocando confusione, sonnolenza e letargia. Se le pupille si contraggono e si perde conoscenza significa che la dose era eccessiva. L’astinenza è devastante, causa dolori debilitanti ai muscoli e alle ossa, diarrea, vomito, brividi di freddo, pelle d’oca e movimenti incontrollati delle gambe. Spesso il modo più facile e veloce per stare meglio è assumere altro fentanyl. L’uso costante di droghe può danneggiare la corteccia prefrontale, il centro del processo decisionale nel cervello. Può anche influire sul modo in cui le emozioni vengono regolate e causare danni a lungo termine al sistema respiratorio e a quello cardiovascolare.

Nonostante l’alto numero di vittime, le autorità di San Francisco non hanno trattato la crisi del fentanyl per quello che è: un’emergenza evidente per molti abitanti e attivisti della città. L’assessorato alla sanità sostiene che in genere le persone possono accedere alle cure appena si sentono pronte. Ma alcuni di quelli che cercano aiuto, e gli assistenti sociali a loro assegnati, dicono che il più delle volte devono aspettare giorni, a volte settimane, per avere un letto in un centro di assistenza.

In ogni caso, finora San Francisco non è riuscita a fermare il flusso della droga che arriva a Tenderloin e South of Market. Anche se il comune ha concentrato in quei quartieri servizi e alloggi per le persone vulnerabili, comprese quelle che soffrono di dipendenza, gli spacciatori girano liberamente per le strade.

A dicembre del 2021, subito dopo aver lanciato la sua campagna per la rielezione, la sindaca London Breed ha detto che avrebbe riempito Tenderloin di poliziotti e avrebbe “reso la vita un inferno” agli spacciatori e a chi faceva uso di droghe in strada. Dopo più di tre anni in carica, Breed ha dichiarato lo stato d’emergenza nel quartiere, sollecitando l’apertura di un centro dove gli operatori sanitari potessero indirizzare le persone che avevano bisogno di terapie per le dipendenze e di un alloggio.

Antonio Chávez ha cominciato a consegnare Narcan un anno fa. Nel 2020 si era reso conto di essere circondato da morti

Ma alcuni pensano che gli interventi di Breed siano arrivati troppo tardi, siano frammentari e poco efficaci. In una città spaccata in due sul ruolo delle forze dell’ordine, la sindaca si è attirata le critiche di alcuni leader progressisti ed esperti di salute pubblica, secondo cui la minaccia di arrestare chi fa uso di stupefacenti criminalizzerebbe la dipendenza invece di eliminarne le cause. La città è divisa e in cerca di soluzioni.

Tolleranza a Tenderloin

Mentre i poliziotti attraversano a piedi le strade di Tenderloin, la sergente Heather Fegan si avvicina a una donna accasciata all’ingresso di una casa. “Siamo della polizia di San Francisco, tesoro”, dice. Un altro agente le tocca delicatamente la spalla, svegliandola. “Vogliamo solo assicurarci che tu stia bene, che non sei nei guai”. Per gli agenti è diventato un rito quotidiano: perlustrare i marcipiedi per controllare che le persone distese a terra siano ancora vive. Nelle giornate peggiori, dice Fegan, i poliziotti del quartiere devono gestire dieci persone in overdose. A volte tornano dalla stessa persona nel giro di poche ore.

Il commercio di fentanyl segue un principio economico elementare: dove c’è la domanda, c’è l’offerta. Secondo Sheila Vakharia, una ricercatrice della Drug policy alliance, un’organizzazione senza scopo di lucro che si concentra sulla riduzione del danno, l’aumento del consumo è in parte il risultato della guerra alla droga lanciata dal governo degli Stati Uniti. Quando le autorità hanno cercato di fermare l’abuso degli oppioidi su prescrizione, nei primi anni duemila, molte persone dipendenti da quelle sostanze si sono rivolte al mercato illegale dell’eroina. Poi sono aumentate le overdosi e l’offerta di eroina è diminuita. Ma la domanda c’era ancora. Per un po’ gli spacciatori hanno tagliato il loro prodotto con il fentanyl, che era più potente e più facile da reperire. Poi, visto che il fentanyl era anche più economico, hanno cominciato a venderlo da solo. “Giochiamo a mosca cieca con la droga”, dice Vakharia. “Ne inseguiamo una e ne spunta subito un’altra, perché la domanda rimane”.

La nuova posizione della sindaca London Breed segna un cambiamento rispetto ai programmi che ha sostenuto per gran parte del 2021, che miravano a ridurre gli interventi della polizia su persone bisognose di cure per la salute mentale e per il trattamento delle dipendenze. “È ora di mettere fine al regno dei criminali che stanno distruggendo la nostra città”, ha detto Breed. Ma il capo della polizia Bill Scott e il procuratore distrettuale Chesa Boudin concordano sul fatto che la città non può limitarsi ad arrestare e processare i tossicodipendenti e gli spacciatori di piccolo calibro, alcuni dei quali vendono il fentanyl perché ne sono a loro volta dipendenti e hanno bisogno di soldi.

La conseguenza di questa nuova politica è che nel 2021 le forze dell’ordine hanno fatto il 40 per cento in meno di arresti per reati di droga rispetto al 2019. Ma gli arresti compiuti riguardavano accuse più gravi e Boudin tende a sporgere denuncia più spesso che in passato. Nonostante questo, il procuratore ammette che la situazione a Tenderloin “non è migliorata”. E aggiunge: “Dobbiamo fare in modo che ricevere aiuto sia più facile che drogarsi”.

Il capo della polizia Scott riconosce che gli sforzi possono sembrare inutili: nei primi otto mesi del 2021, gli agenti a Tenderloin hanno sequestrato 25 chili di fentanyl, rispetto ai cinque di tutto il 2020. Dal 2019 sono stati arrestati più di mille presunti spacciatori. Molti sono recidivi, catturati negli stessi isolati. Una persona è stata arrestata nove volte.

“Senta”, dice un giorno Scott girando per il quartiere. “Non so se tutto questo finirà mai. Le persone avranno sempre problemi. La dipendenza esiste da secoli”. E a proposito degli spacciatori: “Il punto è come evitare che si sentano a proprio agio in strada, mentre intanto cerchiamo di risolvere la situazione”.

Aiutare dove serve

Un pilastro della risposta di San Francisco all’epidemia di fentanyl è la riduzione del danno. La città si è organizzata per fornire alle persone che non sono in cura o non sono pronte ad andarci gli strumenti per assumere stupefacenti nel modo più sicuro possibile. Alcuni criticano questa strategia, che prevede la distribuzione di aghi puliti e del Narcan. Secondo loro così si favorisce la dipendenza invece di combatterla. L’amministrazione comunale, dicono, dovrebbe adottare una posizione più dura, in alcuni casi anche imponendo terapie di recupero. Kristen Marshall, ex direttrice di Dope, l’organizzazione non profit che coordina la risposta alle overdosi in città, non è d’accordo. L’idea alla base della riduzione del danno, spiega, è andare incontro alle persone, perché la dipendenza è una questione complicata e il processo di recupero spesso non è lineare. L’unica opzione è fare il necessario per mantenere in vita le persone durante una crisi provocata dai fallimenti della società e del governo.

Tara Lowe, una donna che vive per strada nel quartiere di Tenderloin, a San Francisco, maggio 2020 (Gabrielle Lurie, The San Francisco Chronicle/Getty Images)

Oltre a chiedere l’aiuto delle forze dell’ordine, la sindaca Breed sta anche cercando di fare quello che sarebbe uno dei più grandi passi avanti della città in materia di riduzione del danno: costruire una struttura nel centro della città dove le persone possono assumere sostanze stupefacenti sotto il controllo dei medici. Gli esperti di salute pubblica pensano che un posto simile permetterebbe di salvare molte vite. New York ha aperto due di queste strutture alla fine del 2021.

Breed respinge la critica di aver gestito male la crisi, sottolineando che la sua amministrazione sta lavorando a stretto contatto con esperti e fornitori di servizi “sul campo”. Dice anche che l’amministrazione di San Francisco da sola non può controllare tutti gli elementi che contribuiscono a un’epidemia nazionale: “È una questione complicata. Penso che l’importante per noi sia applicare soluzioni di buon senso”.

Gli attivisti pensano che la crisi vada affrontata in modo più coraggioso. Mo­nique LeSarre, direttrice dell’organizzazione non profit Rafiki coalition, si occupa delle disuguaglianze sanitarie a San Francisco. Secondo lei la città deve rafforzare i programmi di alloggi, sussidi e formazione professionale per aiutare le persone a introdurre cambiamenti che possono sostenere. “Purtroppo vediamo il problema nella fase finale, quando la gente sta morendo”, dice. “È una questione di giustizia. Di lavoro. Di progetti di vita”.

Anthony si fa continuamente una domanda: cosa si prova quando ci si libera dal fentanyl? Quando ci si lascia alle spalle una vita divisa tra una squallida stanza al Mission Hotel e gli incontri con una spacciatrice a Tenderloin?

Anthony fa una riflessione sconcertante: ha 42 anni, gli stessi che aveva suo fratello quando è andato in overdose

Vorrebbe essere una persona “produttiva, che rispetta la parola data e contribuisce in qualche modo a questo mondo”. In una piovosa mattinata di marzo del 2021, pensa di essere pronto a fare il primo passo per diventare quella persona. Entra in un centro sanitario e chiede aiuto. “C’è qualcuno con cui posso parlare per Joe Healy?”, chiede a un’infermiera alla reception. Joe Healy è il nome di un programma di disintossicazione in città. L’infermiera si ricorda di lui dall’ultima volta che ha provato a disintossicarsi, nel 2020. È felice di rivederlo, ma non può accontentarlo: non ci sono letti disponibili fino alla settimana prossima. Dovrà tornare. “Mi dispiace”, dice, mentre Anthony si gira per uscire. “È per via del covid-19. Ci sono meno posti”.

Con la giornata improvvisamente libera, Anthony passa davanti alla cupola dorata del municipio alla ricerca della droga a cui sta cercando di rinunciare. Nel giro di pochi isolati è nel cuore di Tenderloin, si guarda intorno per trovare la sua spacciatrice. La sostanza che gli darà non dovrebbe essere tagliata con più fentanyl di quanto lui possa sopportare. La trova e lo scambio è veloce: venti dollari per un pezzetto di carta d’alluminio stropicciata.

Non è questo che gli elettori di San Francisco avevano immaginato nel 2008, quando approvarono una proposta che chiedeva all’amministrazione comunale di garantire e finanziare abbastanza terapie per la dipendenza gratuite o a basso costo da soddisfare la domanda. Anche se la definizione di “domanda” era vaga, l’idea di fondo era assicurare che chi era pronto a chiedere aiuto lo ricevesse immediatamente. È un aspetto fondamentale, perché quel momento di determinazione può durare molto poco. “Quando un paziente decide di essere pronto per il trattamento, significa che mille le variabili si sono combinate nel modo giusto”, dice Tipu Khan, referente medico di HealthRight 360, un programma statale per il trattamento delle dipendenze. “Se non lo accogliamo subito lo perdiamo, e dovremo aspettare che tutte quelle stelle si allineino di nuovo”.

L’antidoto

Lo spray nasale Narcan è un elemento importante negli sforzi per limitare i danni. Senza, probabilmente sarebbero morte centinaia, forse migliaia, di persone in più. Ma è una soluzione estrema: il Narcan viene somministrato solo quando una persona sta per morire. E la pandemia ne ha complicato l’uso, perché sempre più spesso le persone assumono il fentanyl in posti isolati.

Antonio Chávez, corriere in bicicletta a tempo pieno, ha cominciato a consegnare il Narcan un anno fa. Gli sembrava la cosa giusta da fare. Nel 2020 era circondato da morti: amici e amici di amici, andati in overdose da fentanyl dopo aver assunto quella che pensavano fosse cocaina, ketamina o metanfetamina. In quel periodo era dipendente dalla metanfetamina. Aveva smesso di farsi dopo la morte improvvisa di un familiare per quella che inizialmente pensava fosse stata un’overdose (in seguito i medici avrebbero scoperto che si trattava di una malattia preesistente). Voleva anche essere sobrio per suo figlio, Antonio jr. Mentre il numero di morti cresceva, ha deciso di fare qualcosa. Sapeva che se il Narcan fosse stato più facile da trovare si sarebbero potute salvare decine di vite. La sua missione è diventata consegnare l’antidoto a chiunque lo chiedesse, senza fare domande.

Il Narcan è il nome commerciale del naloxone, un farmaco introdotto circa cinquant’anni fa, e serve a bloccare gli effetti degli oppioidi. Secondo il progetto Dope, nei primi dieci mesi del 2021 a San Francisco ne sono state somministrate più di seimila dosi.

Quando qualcuno assume una quantità eccessiva di un oppioide, la sostanza inonda i recettori del midollo e del ponte (due aree alla base del cervello). Spruzzato nel naso, il Narcan si lega ai recettori e impedisce temporaneamente alla droga di farlo. Per un oppioide potente come il fentanyl, potrebbe essere necessaria più di una dose.

Antonio ha cominciato in piccolo, prendendo il Narcan dalla Drug users union, un centro per la riduzione del danno a Tenderloin: lo distribuiva per le strade o lo consegnava alle persone che gli mandavano messaggi su Instagram.

Jamel Davis davanti alla sua tenda a San Francisco, aprile 2021. La sua ragazza è morta per overdose di fentanyl (Jim W​ilson, The New York Times/Contrasto)

Alla fine i responsabili di Dope gli hanno chiesto di allargarsi ai centri di trattamento e di accoglienza intorno a San Francisco. Calcola di aver consegnato più di 12mila dosi di Narcan nell’ultimo anno. Questo vuol dire che probabilmente ha salvato centinaia di vite.

Non è ancora l’alba, ma Damian Morffet e la sua squadra sono qui già da un’ora. Stanno pulendo l’isolato tra Golden Gate e Hyde Street prima che apra La Cocina, alle otto. Lo fanno ogni giorno: svegliano le persone svenute contro il muro del mercato, cacciano gli spacciatori e spazzano via i rifiuti e gli aghi. Morffet versa sul muro un secchio di detergente caldo – la sua miscela speciale di perossido, candeggina ed enzimi – e l’odore pungente avvolge l’isolato.“Devi assicurarti che tutto sia completamente pulito”, dice Morffet, che è cresciuto a San Francisco. “Lo facciamo per gli abitanti del quartiere. Siamo una comunità”.

La Cocina, un mercato gestito da donne immigrate e non bianche, è stato creato per difendere la diversità di Tenderloin, per sostenere le famiglie lasciate sole e le persone che vivono ai margini e hanno bisogno di un luogo caldo e accogliente e di un pasto sano. All’interno c’è un’oasi spaziosa e luminosa, con cuochi che mescolano gumbo, farciscono dei panini con gamberetti e preparano enchiladas ricoperte di salsa verde, crema e formaggio fresco. Fuori Morffet e i suoi collaboratori fanno in modo che l’isolato resti pulito.

Ma non lontano da lì i problemi di San Francisco saltano agli occhi.

Tenderloin rimane una sorta di zona di contenimento della città, con la più alta concentrazione di senzatetto, alloggi comunali, spaccio di droga e overdose. Il reddito familiare mediano è di circa 40mila dollari (dati del 2019), un terzo di quello cittadino. I neri costituiscono quasi il 12 per cento della popolazione (in tutta la popolazione sono meno del 6 per cento), un riflesso di decenni di disuguaglianze e discriminazioni.

Da sapere
Numeri mai visti
Morti per overdose negli Stati Uniti, per tipo di sostanza, migliaia (fonte: cdc)

Il quartiere è in queste condizioni per un motivo semplice: per molte persone è troppo costoso vivere altrove. Per decenni l’amministrazione comunale – spalleggiata dai residenti dei quartieri più ricchi – si è rifiutata di creare servizi e di costruire alloggi a prezzi accessibili, rifugi o centri di accoglienza in altre parti della città. Vivere circondati da criminali e tossicodipendenti è difficile per i genitori che vogliono veder crescere i loro figli al sicuro e per gli abitanti che cercano di cambiare le cose.

La Cocina è uno dei tanti segnali del fatto che la gente di Tenderloin vuole rendere il quartiere un posto migliore. Mentre sciami di studenti vanno e vengono da scuola, i volontari dirigono il traffico. I bambini giocano sul nuovo scivolo del Turk and Hyde mini park e si godono il verde del Boeddeker park. Quelli che hanno bisogno di un pasto si mettono in fila fuori dalla chiesa Glide memorial, che offre anche servizi come l’asilo nido e i tamponi per il covid -19. Intanto i volontari delle squadre di assistenza vanno per le strade ad accertarsi delle condizioni delle persone stese sul marciapiede.

C’è speranza nel quartiere, insiste Morfett, e molti vogliono vederlo migliorare. Ma da quando è stata aperta La Cocina, nella primavera del 2021, sono aumentate la criminalità, la disperazione, le persone che si trascinano per il quartiere in cerca di aiuto. La ragione, dice, è evidente: il fentanyl.

Da sapere
L’esperimento di New York

◆ Alla fine del 2021 a New York sono state aperte due strutture dove le persone con dipendenze possono assumere le droghe sotto la supervisione di personale specializzato. Sono i primi centri di questo tipo negli Stati Uniti. Altre città alle prese con un aumento di decessi per overdose, tra cui Filadelfia, San Francisco, Boston e Seattle, hanno intenzione di fare lo stesso. In questi centri il personale medico somministra naloxone (un farmaco usato per salvare chi va in overdose), fornisce aghi e indirizza i pazienti verso programmi di recupero. Strutture simili esistono anche in altri paesi, per esempio in Germania e Canada. “Uno studio pubblicato da The Lancet nel 2011 mostrava che a Vancouver, in Canada, c’era stata una significativa diminuzione di morti per overdose dopo l’apertura del primo centro del genere in Nordamerica”, scrive il New York magazine. Nel 2020 New York ha registrato più di duemila morti per overdose. Sempre più spesso i decessi sono causati dal fentanyl, un oppioide sintetico molto più potente dell’eroina. Le strutture di New York sono finanziate dal comune e gestite dall’organizzazione OnPoint Nyc. “La strategia è sostenuta anche dai procuratori distrettuali della città (a eccezione di quello di Staten Island)”, scrive il New York Times. Ma a livello federale questi centri sono illegali. Una legge approvata nel 1986, ai tempi dell’epidemia di crack, vieta di aprire, gestire o affittare strutture dove si somministrano sostanze non autorizzate. Nel 2019 l’amministrazione Trump aveva bloccato l’apertura di un centro di questo tipo. Il governo guidato da Joe Biden si è schierato a favore della politica di riduzione del danno, ma non ha sostenuto ufficialmente le strutture come quelle aperte a New York.


Un’opportunità

Un martedì mattina Anthony si sveglia alle 7, prima che sorga il sole, per chiamare il centro di recupero e chiedere se hanno letti liberi. Per molte mattine si sentirà ripetere la stessa cosa: riprova domani, i posti per la disintossicazione sono tutti presi. E chiuderà la giornata sempre con la stessa routine: videogiochi, film e poi a Tenderloin per comprare il fentanyl.

Jason Blantz, un infermiere dello Street medicine team che Anthony conosce da tempo, afferma che l’unica struttura per la disintossicazione dalla droga aperta in città non ha abbastanza posti per soddisfare la domanda. A volte capita che uno dei suoi pazienti riesca a entrarci, ma il più delle volte vengono respinti.

Al San Francisco general hospital una donna in un letto emette un lungo gemito di sofferenza. Le mediche Ayesha Appa e Marlene Martin si inginocchiano, posando delicatamente le mani sul fianco della paziente. “Sono due giorni che resisti”, dice Appa, con tono dolce e comprensivo. Le chiede di descrivere come si sente. Nausea, dolori muscolari, formicolio alle gambe, risponde la donna: “È un dolore che non si può descrivere”.

È arrivata lì per problemi cardiaci e di respirazione. Ora la sua astinenza da fentanyl è l’unica cosa che la preoccupa. Appa e Martin le dicono che possono darle un altro oppioide come il metadone, la buprenorfina o l’ossicodone. Le due dottoresse fanno parte dell’Addiction care team, una cooperativa itinerante di medici, infermieri e assistenti.

Da sapere
Più vulnerabili
Popolazione e morti per overdose da fentanyl a San Francisco per comunità, percentuale (fonte: San Francisco Office of the Chief Medical Examiner)

È stata proprio Martin a creare il gruppo alcuni anni fa perché, lavorando in medicina generale, vedeva spesso persone alle prese con la dipendenza che arrivavano per infezioni o problemi cardiaci. Si occupava del disturbo che le aveva portate in ospedale, e raramente si concentrava sulla radice del problema: la dipendenza. La cooperativa, che visita più di dieci pazienti al giorno, ha solo cinque professionisti a tempo pieno. È finanziata per un quarto dal comune e per il resto da donazioni di privati.

Appa e Martin promettono alla paziente distesa sul letto che le daranno altri farmaci per alleviare il dolore. “Non voglio andar via”, dice la donna. Ma a proposito dell’ossicodone aggiunge: “Farò venire qui il mio amico perché mi porti una dose se non posso averne di più. Dico sul serio”. Le mediche le ripetono ancora una volta che faranno tutto il possibile per farla stare meglio. Anche in ospedale, il dolore di dover rinunciare al fentanyl può essere atroce. Quando hanno a che fare con pazienti che stanno cercando di liberarsene, è come se Appa e i suoi colleghi fossero davanti a una bomba a orologeria: se non riescono ad alleviare i sintomi abbastanza velocemente, le persone firmano e se ne vanno. Escono. E tutti sanno dove andranno: torneranno a Tenderloin.

Un letto e una speranza

Anche se si è trovato davanti tanti ostacoli, Anthony è ancora determinato a entrare nel programma di disintossicazione. Dice che sa di essere l’unico che può tirarsi fuori da questa vita, ha solo bisogno di non perdere di vista quello che vuole. “Una volta che ne sarò uscito, non dovrò più farlo per il resto della mia vita, spero. So che non sarà piacevole, ma a lungo andare sarà molto meglio”.

Dopo cinque giorni passati a chiamare il centro di recupero, i suoi sforzi sono ripagati: si è liberato un letto e un’infermiera gli dice di andare. Si dirige alla fermata dell’autobus in una mattina piovosa. Nello zaino rosso ha messo una maglietta, una bottiglietta di Gatorade, un pacchetto di caramelle Skittles e i farmaci per la pressione sanguigna.

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A confronto
Paesi con il numero più alto di morti legate alle droghe. Per milione di abitanti tra i 15 e i 64 anni, ultimi dati disponibili (fonte: onodc)

Nel centro per la disintossicazione, Anthony gioca ai videogiochi e dorme continuamente mentre un’infermiera lo controlla. Passate le prime 24 ore, nota che i sintomi dell’astinenza non sono così intensi come lui temeva. Se ne va tre giorni dopo, pieno di ottimismo. Era da tempo che non si sentiva così. Il giorno dopo aver lasciato il centro, si siede su una panchina dell’Alioto mini park del Mission district, con gli uccelli che cinguettano intorno. Dice che è la prima volta da anni che riesce a pensare a qualcosa che non sia come procurarsi la prossima dose. Ora può pensare a cose come andare in palestra, tornare a scuola, trovare un lavoro, forse anche un posto migliore dove vivere. “Ieri ne stavo parlando con un amico che si fa di fentanyl, ed era più entusiasta di me”, racconta. “‘Amico, sei libero’, mi ha detto”.

Nei giorni seguenti prova a rimettere in sesto la sua vita. Cerca di incontrare l’Homeless outreach team della città, che mette in contatto le persone con i servizi e gli alloggi. Vorrebbe lavorare come guardia di sicurezza davanti alla biblioteca principale di San Francisco, su Larkin street, ma poi lascia perdere. Va in un negozio Target per comprare calzini e biancheria intima. Pensa di andare in palestra, ma si sente troppo fuori forma per provarci. Cinque giorni dopo perde il suo slancio. La colpa, dice, è della depressione, della noia e delle apnee notturne che lo fanno sempre sentire affaticato. Fumare fentanyl in biblioteca o per strada spesso era la sua unica interazione sociale. Così torna a Tenderloin, dove trova la sua spacciatrice. Questa diventa la sua vita nei mesi successivi: stare lontano dal fentanyl per alcuni giorni alla volta, per poi tornare a Tenderloin.

A settembre del 2021 cammina per Mission street con le lacrime agli occhi: ha 42 anni, gli stessi che aveva suo fratello quando è andato in overdose. Se fosse ancora vivo, avrebbe 55 anni. “Mi piacerebbe arrivare a 55 anni”, dice. Quindi ci riprova.

Seduto in una stanzetta del centro di accoglienza, spiega a Blantz che sono passati cinque giorni dall’ultima volta che ha preso il fentanyl. “Anthony”, dice Blantz con uno sguardo orgoglioso, “è fantastico”. Ma lui ammette che probabilmente non durerà: sta cominciando a sentire i sintomi dell’astinenza e non vuole prendere farmaci come il suboxone. L’ultima volta che l’ha preso, si è sentito anche peggio. “È molto difficile”, dice. “Sto pensando di uscire subito, prendermi una dose e ricominciare da capo”.

Blantz lo ascolta con comprensione e gli propone altre opzioni per il trattamento. Torna a una conversazione che avevano già fatto sull’importanza di avere uno scopo, trovando un lavoro, facendo volontariato una volta alla settimana o frequentando un corso. I programmi di assistenza non possono fare di più. “Tutto questo creerà una spirale ascendente”, dice
Blantz. “Mi dispiace, ma il nostro sistema non fa un buon lavoro nell’aiutare le persone che non sono in crisi. Hai cercato di smettere, non hai mai chiesto nulla, ma sei solo nella tua stanza e quindi è molto facile che un programma non soddisfi le tue esigenze”. Anthony annuisce.

Un giorno, mentre aspetta l’autobus che lo porterà al centro di accoglienza, s’imbatte in un vecchio amico che viveva per strada. “Tutto bene?”gli chiede. “Sì, sì”, dice l’uomo. “Sono stati giorni intensi. Ho deciso di cambiare vita. Sono ancora in astinenza ed è spaventoso”. “Fentanyl?” chiede Anthony. “È insopportabile”, dice l’altro, annuendo. “Sì”, risponde Anthony, mentre arriva l’autobus. “Buona fortuna”. Sale sull’autobus e si dirige verso il centro. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati