16 novembre 2015 13:11

Kate e Geoff, una coppia di pensionati middle class senza figli, vivono in una confortevole casa nella campagna inglese non lontano da una tranquilla cittadina di provincia e sono vicini ai festeggiamenti per i 45 anni di matrimonio, quando a Geoff viene recapitata una lettera in cui gli si dice che in un ghiacciaio svizzero è tornato alla luce, intatto, il cadavere del suo primo grande amore. Questo pretestuoso punto di partenza, che servì già per un vecchio film di Fred Zinnemann, muove in Kate sotterranee insicurezze e postume gelosie, e costringe la coppia a fare i conti con i 45 anni di vita in comune, anzi non la coppia, piuttosto la sola Kate. I dubbi che vengono alla coscienza di Kate, il malessere che l’ha invasa si risolvono alla fine, quando Geoff fa il suo discorso alla festa per l’anniversario e le dichiara pubblicamente il suo lungo, immutato amore.

45 anni

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Seguiamo per lievi notazioni, con momenti più intensi, i pensieri di Kate, Andrew Haigh, il regista, mostra con pudore e rispetto i sentimenti di una donna che ha puntato tutto sul suo rapporto con un uomo, l’uomo della sua vita, il suo unico amore. Non più di questo c’è nel film, notevole però anche per la descrizione di un ambiente che gli italiani non sanno descrivere da tempo, forse perché morto definitivamente in fondo a un immenso ghiacciaio, e per l’analisi di sentimenti, che idem come sopra… E viene nostalgia per il cinema di Zurlini, Lattuada, Comencini, ma anche di Franco Brusati e di Fabio Carpi. Insomma quei nostri registi che non si vergognavano di una sensibilità definita allora “da borghesi”. Ma viene anche nostalgia – e questo il regista lo ha calcolato – per anni più aperti di quelli che Kate e Geoff vivono oggi, e per i ruoli che i due ottimi protagonisti, Tom Courtenay e Charlotte Rampling, hanno interpretato in gioventù, esprimendovi con buona sensibilità “politica”, soprattutto Courtenay, un disagio e una speranza generazionali.

È il pudore la qualità più evidente e più simpatica di questo film, che mostra in filigrana, certamente oltre le intenzioni del regista, anche i confini di una cultura, di una società, di una visione dell’uomo, di un’Inghilterra pacifica, benestante, che ha da pensare solo ai sentimenti ma lo fa come sottovetro, come in apnea, come in agonia. Il regista non voleva certamente questo, gli bastavano i buoni sentimenti della buona gente comune, ma la magia del cinema sta anche in questo: che ci sono film che dicono più di quanto non vogliano grazie a quel che la macchina da presa mostra e registra. Questo piccolo film è più istruttivo, in definitiva, di quanto non volesse il suo regista. Ma è probabile che i due attori, non fosse che per la vita che hanno vissuto e le rughe che essa gli lasciato, ne abbiano avuto il sospetto.

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