Se siete appassionati di musica giapponese degli anni ottanta, avrete sicuramente ascoltato il sassofonista, compositore e produttore Yasuaki Shimizu. Shimizu era parte integrante della scena musicale di Tokyo. Era molto richiesto come sessionman, ma era anche un produttore in grado di superare i confini della musica pop e un artista solista i cui album fondevano senza timore jazz, rock e minimalismo con gli stili africani, mediorientali, etiopi e giamaicani. “A quei tempi ero molto impegnato, mi dedicavo completamente al lavoro, non dormivo. Per questo mi è venuto un esaurimento nervoso”, racconta Shimizu attraverso un traduttore dalla sua casa in Giappone. Negli ultimi anni il lavoro di Shimizu ha conosciuto una straordinaria rinascita grazie all’etichetta newyorkese Palto Flats, che ha ripubblicato album dimenticati come Kakashi (1982) e Utakata no Hibi (1983) della sua vecchia band, i Mariah, e gli ha fatto raggiungere una nuova generazione di fan. A marzo uscirà Kiren, un album inedito del 1984 in cui il sassofono di Shimizu si confronta con campionamenti, marimbe e batterie elettroniche. Dato che Kiren è rimasto inedito per decenni, nel frattempo Shimizu si è dedicato ad altri progetti, dalle incursioni nella musica etiope alle versioni per sassofono delle suite per violoncello di Bach. “Ma non mi ero dimenticato di quel disco”, dice. “Stavo aspettando d’incontrare qualcuno che lo amasse davvero”. Andy Beta, Bandcamp Daily

Yasuaki Shimizu, 1987 (dr)

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati