“Io sono Carmen. Piacere di conoscerla di nuovo”. È così che Carmen Aguirre, una delle centocinquanta vittime dello stupratore seriale John Horace Oughton, saluta l’uomo le cui tattiche erano così tortuose e sadiche che molti credevano fosse un mito architettato dai genitori per spaventare le figlie e costringerle a rispettare il coprifuoco. Il secondo libro di memorie di Aguirre, Mexican hooker, non è un libro sullo stupro in sé, né sull’uomo che l’ha violentata. La famiglia di Aguirre è fuggita dal regime di Pinochet nel 1973, poi è tornata in Cile nel 1978 per unirsi alla resistenza. A diciott’anni Aguirre si trasferisce in Argentina, poi a Santa Fe, in California, e infine in Canada, dove diventerà una drammaturga. Aguirre racconta la sua esperienza di attivista in Sudamerica con brutale chiarezza e coraggio. Ha vissuto nella paura cronica di essere catturata e punita per la sua partecipazione al Mir, un movimento guerrigliero di estrema sinistra. Ma è la storia dello stupro subìto a tredici anni che incombe sull’intero libro. Sapendo che Aguirre era diventata una scrittrice, il suo stupratore disse che avrebbe dovuto scrivere la sua storia. Quasi certamente Oughton leggerà Mexican hooker in carcere. Ma le parole di Aguirre sono prima di tutto una rivolta dello spirito, per chi sopravvive agli abusi e per lei stessa.
Carly Lewis,The Globe and Mail

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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati