I Phoenix sono una band molto francese. Il Louvre è un museo molto francese. E quindi sembra inevitabile che per il nuovo album il gruppo di Versailles si sia connesso con un gigante della cultura francese. Dopotutto ricordiamoci che una delle loro canzoni più famose, 1901, citava la costruzione della torre Eiffel durante l’Esposizione universale. Sono stati headliner al Coachella nel 2013, hanno avuto una carriera eccellente, lodata anche dalla critica del Guardian Laura Snapes, ma realizzare un disco, il settimo, all’interno del Louvre è il culmine del loro percorso. Durante il lockdown i due chitarristi, Laurent Brancowitz e Christian Mazzalai, si sono chiusi a suonare nel Musée des arts décoratifs, proprio dentro il palazzo del Louvre, insieme al bassista e tastierista Deck D’Arcy. Tra sculture e dipinti, i tre amici si sono ritrovati intimiditi da tanta bellezza ma allo stesso tempo in preda a una creatività irrefrenabile. A loro si è aggiunto all’inizio del 2021 il cantante Thomas Mars, e per la prima volta i Phoenix hanno prodotto un disco intero da soli. Se in passato per ogni lavoro hanno sempre scelto uno stile o un genere di riferimento, stavolta nelle dieci tracce di Alpha zulu preferiscono non attenersi a niente di preciso. Fatto che a volte è un difetto, ma per la maggior parte del tempo diventa un punto di forza. Anzi, possiamo metterla così: la mancanza di un focus è il focus. Di conseguenza quello che ascoltiamo è una serie di contraddizioni e anomalie, capaci anche d’intrattenere. Qualcuno penserà che i Phoenix abbiano già passato il loro periodo migliore, ma non è del tutto vero. Sono una band che riesce ancora a divertirsi mentre cerca nuovi modi per esprimersi.
Grant Sharples, Paste Magazine

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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati