Al centro dell’intrigo di La presidente c’è una politica valenciana che indossa perle, è sovrappeso, carismatica, bevitrice, fumatrice, collerica, sboccata, lesbica, divertente e ipercompetitiva. Si trova al centro di una rete di corruzione in cui il suo ruolo non è chiaro, cade in disgrazia, deve testimoniare all’Audiencia nacional, è molto sola, beve caffè nelle prime ore del mattino e muore, forse assassinata, in un hotel di Madrid. Si chiama Vita Castellá. A imbattersi nel suo caso sono le sorelle Berta e Marta Miralles, detective di trenta e trentadue anni, ragazze di provincia e poliziotte alle prime armi che vivono insieme a Valencia. In una delle loro indagini compare Brenda, una giovane psicologa che qualcuno pensava potesse essere stata la fidanzata di Vita nei suoi ultimi mesi. Secondo Brenda il problema di Castellá era che aveva un bisogno molto doloroso di essere amata, e che questo bisogno l’aveva spinta a tollerare la corruzione dei suoi collaboratori, perché i regali erano il suo modo di placare la sua dipendenza dall’amore e dall’accettazione: “Non era una donna corrotta, ma ha permesso la corruzione, anche quella organizzata e mafiosa, a causa del suo desiderio di acquiescenza. Aveva bisogno che tutti la amassero e le obbedissero. Era al centro di una rete criminale, ma non ne ha beneficiato”, spiega Giménez-Bartlett. Molte pagine di La presidente sono divertenti, e le sorelle Miralles sono come Buster Keaton, stupide e intelligenti allo stesso tempo.
Luis Alemany, El Mundo

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati