Tookie, l’eroina del nuovo romanzo di Louise Erdrich, è condannata a sessant’anni di carcere per aver rubato un furgone. Ma Tookie non è sorpresa dalla durezza della pena. “Ero dalla parte sbagliata delle statistiche. I nativi americani sono le persone in carcere con le condanne più pesanti”, afferma. In cella i libri sono la sua salvezza. Così, quando nel 2015 è rilasciata trova lavoro in una libreria di Minneapolis. E qui questo romanzo potente e accattivante prende una svolta. Non è il periodo di detenzione di Tookie il vero fulcro del libro, ma la sua vita dopo, delineata con la cura e l’acume politico che hanno sempre contraddistinto il lavoro di Erdrich. L’anno che bruciammo i fantasmi ha un’immediatezza quasi scioccante, ambientato sullo sfondo della pandemia e dell’omicidio di George Floyd a Minneapolis, dove Erdrich vive. Dopo che la sua vita le è stata restituita, Tookie assapora la quotidianità: la presenza confortante del marito, il rapporto aspro con la figlia dell’uomo. Man mano che la cronologia del romanzo procede, la catastrofe s’intromette nella vita felice, anche se tormentata, di Tookie. Erdrich sa cogliere la paura e il piacere di una metropoli improvvisamente deserta e di una vita improvvisamente chiusa per via del covid-19. Nei primi mesi della pandemia Tookie si sente al sicuro. Ma la morte di Floyd fa saltare tutto e in un certo senso riporta il lettore a un sistema legale costruito su ingiustizia e oppressione.
Erica Wagner,The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati