Ada e suo padre evitano i cimiteri per paura che la loro presenza trascini i morti fuori dal terreno. Questo esordio irlandese mescola il realismo magico con la teoria critica e femminista, ma la generosa dose d’immagini da film horror ne fa un progetto fuori dagli schemi. Come tutti i migliori horror, è un gioco di equilibri tra una giudiziosa dissimulazione e una snervante rivelazione. Fin dall’inizio, tuttavia, ci è detto che padre e figlia non sono umani, anche se vivono tra noi e lavorano come guaritori: possono estrarre le malattie dai pazienti. La miscela di mostruosità e quotidianità del romanzo è sorprendente e inquietante, ma mai meno che convincente. La storia si svolge in un’estate infuocata, in una comunità d’altri tempi, forse in Irlanda o nel profondo sud degli Stati Uniti, dove le persone lavorano nei campi. Gli abitanti del luogo sono grati per le cure di Ada e di suo padre, ma hanno anche paura di loro. Solo un uomo non è spaventato, il biblico Sansone, e Ada comincia una relazione con lui che risveglia i suoi desideri. I corpi sono ovunque nel romanzo di Rainsford: colano, gocciolano, si contorcono, macchiano i mobili e i cumuli di biancheria sporca sempre più grandi. C’è molto body horror, così come altri punti fermi del genere: la paura di essere sepolti vivi e dei non morti, la mostruosità della possessione psichica. Ma ci sono anche meraviglia e tenerezza. Nelle viscere della terra può essere letto a molti livelli: come una favola sul desiderio femminile, sul contenimento e sul contagio, come un’indagine sulle relazioni tossiche o come un rompicapo sui confini tra umano e non umano.

Justine Jordan,The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati