“Tutti gli scrittori attraversano una fase Thomas Bernhard, prima o poi”, ha detto Geoff Dyer. Non è difficile da individuare. Primo, assenza di paragrafi (o paragrafi molto lunghi). Secondo, la ripetizione. Infine, la rabbia che si fa commedia. Anime morte è la fase Thomas Bernhard di Sam Riviere. È un romanzo di un solo paragrafo, scritto in una prosa rabbiosa e ricorsiva, sul piccolo mondo della poesia inglese. È brillante e divertente. La scrittura è spietata, la rabbia è genuina. È satira, ma è anche un’analisi meticolosa che proviene da un luogo di disperata intimità. L’impostazione è semplice. In una versione leggermente futuristica del Regno Unito, in cui i droni punteggiano il cielo e le impronte digitali hanno sostituito le carte di credito, ma non è cambiato molto altro, il poeta Solomon Wiese è giudicato colpevole di plagio, scompare per un po’, poi è accusato di plagio una seconda volta. Nel corso di un’unica lunghissima notte, il narratore senza nome è informato dell’ultima disgrazia di Wiese, tiene una lettura di poesie, partecipa a una festa alla fine di un festival, incontra Wiese e trascorre le successive sette ore ascoltando il suo esilarante monologo sul destino del poeta. L’effetto cumulativo è esilarante. Passo dopo passo, Riviere estende il suo raggio d’azione satirico ben oltre la mostruosa scena della poesia. Il romanzo diventa un verdetto di colpevolezza sui suoi compatrioti degno di Bernhard, appunto. E non è solo una fase.
Toby Litt, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati