È facile dare per scontata la forza emotiva dei Sigur Rós. Il loro pezzo del 2015 Hoppípolla è diventato così onnipresente, dai talent show ai documentari sulla crisi ambientale, che si è trasformato nell’archetipo della musica strappalacrime. Tutto quello che fa la band islandese è carico di un impatto emotivo universale. E poi c’è la voce androgina di Jónsi, che cantando nella sua lingua inventata, il vonlenska, sembra creare canzoni folk per tutte le culture e nessuna, come se abitassero uno spazio mitico condiviso. Adesso, a dieci anni da Kveikur, sono tornati e sono esattamente come ce li ricordavamo, ma con meno chitarre e batteria per fare largo agli archi. In ogni brano di Átta l’orchestra funziona così bene da colonna sonora dei quattro elementi che sembra di sentire la voce del documentarista David Attenborough; poi arriva Jónsi con una nota più alta e abbiamo tutto quello che serve. In alcuni momenti i glissati sono troppo improvvisi, ma va bene così. Come in un film della Pixar, è un trucco così efficace da sembrare manipolatorio, ma ci ricorda anche che al centro batte un cuore umano. A volte quando qualcosa funziona, funziona e basta, e qui i Sigur Rós ci mostrano cosa sanno fare meglio.
Joe Muggs, The Arts Desk

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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati