Sul sentiero che profuma di anice c’è una rete da pesca abbandonata. Ci sono anche bottiglie di whisky, carta igienica, mozziconi di sigarette e due sagome umane. Un soldato mette la mano sulla bocca di una ragazza. Le dà uno schiaffo sul viso, la mette a quattro zampe e le grida: “Volevi la libertà? Eccola!”. Questo fanatico religioso ha giurato fedeltà a Daech. Siamo da qualche parte in Siria, in un mondo consegnato al terrore, dove la barbarie è l’unica alternativa alla barbarie. Nel suo nuovo romanzo, un sontuoso testo in versi liberi, Antoine Wauters si cala nei panni di un vecchio poeta tagliato fuori da tutto, e in primo luogo da Sarah, la sua amata. Mahmoud Elmachi, professore di letteratura e autore di raccolte acclamate da Damasco a Parigi, è finito in prigione perché era stufo di celebrare il potere. Giorno dopo giorno, per intervallare le sessioni in cui gli estorcevano frasi a favore del regime, i suoi carcerieri gli bucavano le unghie e gli urinavano addosso. Ora è libero. Libero di parlare da solo, libero di essere visto come un pazzo. Rifugiandosi a bordo di una barca persa nell’immensità del lago Assad, sull’Eufrate, lascia che i ricordi affiorino in superficie. La voce di Mahmoud coglie i mostri notturni e le speranze sfigurate della storia. Senza fretta Antoine Wauters soppesa ogni parola, fa vibrare il linguaggio nel paziente monologo di un uomo la cui sola voce riesce a mettere insieme, in mezzo al caos, un rifugio per vivere. Il nostro mondo feroce tollera ancora l’amore e il sogno? È la domanda posta da questo romanzo, che fa di Antoine Wauters un poeta della condizione umana.
Jean Birnbaum, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati