Foto di Francis Chung, Politico/Ap/Lapresse

Il 30 settembre il congresso degli Stati Uniti è riuscito ad approvare un provvedimento per evitare lo shutdown, la chiusura parziale delle attività del governo federale. Secondo la legge statunitense spetta al congresso finanziare le attività dell’esecutivo. “L’accordo trovato poco prima della mezzanotte, frutto di un’intesa tra i democratici e una parte del Partito repubblicano, è temporaneo”, scrive il Los Angeles Times. “Durerà 45 giorni, quindi alla fine di novembre il paese potrebbe ritrovarsi nella stessa situazione”. La vicenda ha evidenziato le fratture della politica statunitense. Per prima cosa, i leader del Partito repubblicano non riescono più a tenere sotto controllo la fazione più radicale e vicina all’ex presidente Donald Trump. Questo gruppo di deputati si è schierato contro il provvedimento e ha promosso un voto di sfiducia contro Kevin McCarthy (nella foto), lo speaker repubblicano della camera che ha trovato un compromesso con i democratici. Il 3 ottobre McCarthy è stato destituito. Inoltre si sta allargando il fronte dei parlamentari contrari a sostenere ancora la resistenza ucraina. Dal testo della legge sono stati esclusi nuovi aiuti militari a Kiev. “I democratici, che restano favorevoli agli aiuti, sperano comunque di approvare un provvedimento separato” su questo punto. I sondaggi mostrano che la maggioranza degli statunitensi continua a sostenere le sanzioni economiche contro la Russia e l’invio di forniture all’Ucraina, ma molti elettori repubblicani sono contrari. Intanto a New York è cominciato un processo civile contro Donald Trump e due dei suoi figli. Avrebbero commesso una frode gonfiando per anni il valore del patrimonio immobiliare e finanziario della Trump Organization, la multinazionale dell’ex presidente. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati