L’attacco senza precedenti di Hamas contro Israele dovrebbe servire da promemoria dell’insostenibilità della situazione nei Territori palestinesi occupati, e dei pericoli che organizzazioni come Hamas rappresentano per Israele. Le tensioni in Cisgiordania aumentavano da tempo, ma nessuno si aspettava un’incursione coordinata così sanguinosa dalla Striscia di Gaza. Negli ultimi mesi in Cisgiordania le violenze sono state quotidiane. Da gennaio al 7 ottobre, giorno degli attacchi, sono morti duecento palestinesi e una trentina di israeliani. Il governo Netanyahu ha ignorato queste violenze e ha tirato dritto con le sue altre priorità politiche, come la riforma della giustizia. Riguardo a Gaza, l’esercito israeliano parlava di “stabile instabilità”: la situazione, si diceva, per quanto potenzialmente esplosiva era comunque sotto controllo. Poi sono arrivati gli attacchi di Hamas. Il gruppo islamista, che negli anni novanta e nei primi duemila ha compiuto molti attentati suicidi, non ha fatto distinzioni tra civili e militari, infliggendo a Israele il colpo più duro della sua storia recente.

L’attacco solleva interrogativi morali e pratici. La violenza indiscriminata di Hamas è ripugnante e non aiuterà in nessun modo la causa palestinese. Al contrario, metterà in pericolo un numero ancora maggiore di palestinesi, mentre Israele bombarda l’enclave sotto assedio, senza curarsi delle vittime civili. Allo stesso tempo i Territori palestinesi sono un vulcano pronto a eruttare. Il processo di pace non esiste. Israele ha continuato a costruire insediamenti in Cisgiordania, alzando muri e posti di blocco, limitando i movimenti dei palestinesi senza rinunciare mai all’uso della forza o delle punizioni collettive per mantenere il controllo. Questo non ha fatto che radicalizzare i palestinesi.

Ora Israele ha dichiarato guerra, anche se gli attacchi del passato – invasioni di terra e bombardamenti – non hanno mai indebolito Hamas. La regione negli ultimi anni ha assistito a un riallineamento geopolitico, con la riconciliazione tra Israele e alcuni paesi arabi, e la distensione tra Iran e Arabia Saudita. In questi cambiamenti, però, l’occupazione della Palestina, il peccato originale, è stata messa in secondo piano. Se Israele e gli altri paesi vogliono la pace e la stabilità nella regione, devono sforzarsi di trovare una soluzione. Se non si affronta il nodo centrale le operazioni militari saranno solo interventi di facciata. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati