Appena finita la registrazione del terzo concerto per piano di Beethoven a Filadelfia, Rudolf Serkin si girò verso le prime parti dei legni dell’orchestra e gli chiese di fare con lui un album con il quintetto di Mozart. È così che nel 1953 cominciò la vita discografica del Philadelphia Woodwind Quintet. Il pezzo di Mozart diventò il loro emblema, lo incisero anche in stereofonia con Robert Casadesus, una lettura fluida, ma senza le ombre e la nostalgia di Serkin, che faceva regnare uno spirito sempre collegiale. Il quintetto aveva una grande curiosità nel repertorio: Rudolf Firkušný li scelse per quella che sarebbe stata la loro seconda uscita, il concertino del suo maestro Leoš Janáček, e loro gli aggiunsero un disinvolto Mládí. Poi arriva il novecento con Hindemith, Ibert, Nielsen, Milhaud, Toch, Françaix, Jolivet e anche Poulenc, con l’autore al pianoforte nel suo sestetto. Ci sono gli statunitensi (Persichetti, Barber) e l’asprezza di Schönberg, un disco li rese dei beniamini dei musicofili intellettuali di New York. E alla fine arriva anche un album con Ornette Coleman: un mondo nuovo.
Jean-Charles Hoffelé, Classica

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati