Tamás Deutsch 57 anni, Ungheria,
eurodeputato di Fidesz
Ha definito il parlamento europeo un “manicomio”, ma vorrebbe comunque essere rieletto per il quarto mandato consecutivo. Compagno di strada di Viktor Orbán fin dai suoi esordi in politica nella dissidenza anticomunista degli anni ottanta, Tamás Deutsch, 57 anni, è stato scelto all’inizio di aprile come capolista di Fidesz, il partito nazionalista del primo ministro ungherese. Veterano del parlamento europeo dal 2009, ha sostituito l’ex ministra della giustizia Judit Varga, costretta ad annunciare il ritiro dalla vita politica a febbraio, dopo uno scandalo per la grazia concessa a una persona coinvolta in un caso di pedofilia. Anche se meno popolare di Varga, Deutsch ha il vantaggio di essere una figura affidabile per il regime ungherese.
Capelli lunghi, piglio sportivo e arrogante, Deutsch è già di fatto capo-delegazione di Fidesz a Strasburgo, dove segue fedelmente le indicazioni di Orbán. Quando Fidesz era ancora nel Partito popolare europeo (Ppe), Deutsch aveva paragonato il presidente del gruppo, il tedesco Manfred Weber, a un agente della Gestapo. Nell’emiciclo passa il tempo a criticare Bruxelles e le innumerevoli sanzioni decise dalla Commissione europea contro le tendenze autoritarie in Ungheria. Durante il lancio della campagna elettorale ha accusato Bruxelles di essere diventata come Mosca, mettendo sullo stesso piano l’Unione europea e l’Unione Sovietica. Fidesz, tuttavia, non vuole uscire dall’Unione. “No all’immigrazione, no alle teorie di genere, no alla guerra” è lo slogan che riassume le convinzioni di Deutsch, condivise con Orbán. Sull’Ucraina accusa la Commissione di “voler trascinare l’Europa nel conflitto” e difende la scelta nazionale di non fornire sostegno militare a Kiev. Nonostante le sue posizioni sull’Ucraina, Deutsch sta lavorando affinché Fidesz, cacciato dal Ppe nel 2021, aderisca, dopo le elezioni, al gruppo decisamente molto più atlantista dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), di cui fanno parte il polacco Diritto e giustizia (Pis) e Fratelli d’Italia. Nonostante le divergenze sui rapporti con la Russia, gli italiani e i polacchi sembrano favorevoli.–Jean-Baptiste Chastand
Beata Szydło 61 anni, Polonia, eurodeputata di Diritto e giustizia (Pis)
In Polonia il partito Diritto e giustizia (Pis), che non è più al governo dalle elezioni dell’autunno 2023, dà grande importanza alle europee. Nelle tredici circoscrizioni elettorali del paese ha presentato personalità di primo piano: diversi ex ministri ed eurodeputati, tutti pesi massimi della politica polacca. A cominciare da Beata Szydło, alla guida del governo dal 2015 al 2017, che si presenta come capolista nel suo feudo: la circoscrizione di Cracovia, dove è già stata eletta eurodeputata nel 2019. Come gli altri 26 parlamentari europei del Pis, Szydło è affiliata al gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr). Quando era presidente del consiglio sono stati approvati vari provvedimenti che hanno messo a rischio l’autonomia della magistratura e aumentato i poteri dell’esecutivo. Queste leggi hanno scatenato grandi manifestazioni di protesta e portato a uno scontro aperto con Bruxelles durato anni. A Strasburgo Szydło ha continuato a difendere la linea del Pis. Nel 2020, in occasione di un dibattito sullo stato di diritto in Polonia, ha sostenuto che il suo partito, “forte di un chiaro mandato democratico, aveva la missione di riformare la giustizia”.
Alle elezioni del 9 giugno il Pis ha presentato anche le sue figure più discusse, come l’ex ministro dell’interno Mariusz Kamiński e il suo collaboratore Maciej Wąsik, che, dopo essere stati condannati per abuso di potere a due anni di carcere, lo scorso inverno hanno ottenuto la grazia. Nelle liste elettorali c’è anche Jacek Kurski, ex direttore della tv pubblica Tvp, che per anni è stata di fatto la macchina di propaganda del governo.
Il Pis, che ha inaspettatamente ottenuto un buon risultato alle elezioni locali di aprile, punta a vincere le europee. Ma il suo obiettivo prioritario è battere gli avversari storici della Coalizione civica (Ko), guidata dell’attuale presidente del consiglio Donald Tusk. La campagna elettorale del Pis si fonda, come sempre, sull’euroscetticismo: il partito è contrario al green deal europeo, al patto sulla migrazione e l’asilo e alla moneta unica.–Hélène Bienvenu
Cristian Terheș 45 anni, Romania, eurodeputato di Alleanza per l’unità dei romeni (Aur)
Dracula è tornato! Non si tratta dell’ultimo film hollywoodiano. Questa volta il vampiro dei Carpazi entra in politica. Era il 9 aprile quando a Târgoviște, una città cento chilometri a nordovest di Bucarest, il partito nazionalista Alleanza per l’unità dei romeni (Aur) ha presentato la sua lista per le europee. Il luogo scelto è significativo: Târgoviște è infatti la città natale di Vlad Tepeș l’impalatore, il personaggio storico a cui è ispirata la leggenda di Dracula. Cinque secoli fa questo principe di Valacchia (una delle regioni che costituiscono la Romania) riuscì a mettere ordine in un paese indebolito dalla corruzione e a sconfiggere le armate dell’impero ottomano.
L’Aur sa come usare il passato a proprio vantaggio e sfrutta i simboli dell’immaginario collettivo dei romeni per opporsi a tutto ciò che viene associato alla modernità: la presunta influenza degli stranieri sul paese, il dominio dell’Unione europea, i capitali occidentali, i vaccini, l’aborto, gli omosessuali, l’immigrazione e così via. Nel partito sanno anche usare bene le parole: in romeno “Aur” significa “oro”. E nel partito tutto è dorato: le bandiere, le macchine, i vestiti e il futuro del popolo.
Sul palco dell’antica cittadella di Târgoviște, coperto con le bandiere gialle del partito, un attore mascherato da Vlad l’impalatore presenta i candidati. Dopo lo spettacolo il leader del partito, George Simion, 37 anni, saluta la folla: “Siamo qui per un’Europa delle nazioni, contro il federalismo”. Poi ribadisce la sua fiducia a Cristian Terheș.
Al capolista di Aur i cambiamenti radicali piacciono parecchio, nella vita professionale come in politica. Terheș ha fatto studi di teologia per poi passare al giornalismo, approfondito negli Stati Uniti. Tornato in Romania, questo prete greco-cattolico è entrato in politica per combattere il Partito socialdemocratico (Psd), che accusava di corruzione. Poi, nel 2019, si è presentato alle europee proprio nelle liste del Psd. Ed è stato eletto. Un anno dopo ha lasciato i socialdemocratici per entrare nel Partito nazionale contadino cristiano-democratico (Pntcd). Infine, nel 2022, si è unito al giovane partito Aur, che aveva ottenuto il 10 per cento alle legislative del 2020. “Difenderemo gli interessi della Romania nelle commissioni del parlamento europeo”, ha dichiarato a Târgoviște. “Non siamo i vassalli di nessuno e a Bruxelles faremo sentire la voce della nazione romena”. Una voce che probabilmente sarà ascoltata anche a Mosca.–Mirel Bran
Charlie Weimers 41 anni, Svezia, eurodeputato dei Democratici di Svezia (Sd)
È il miglior candidato possibile per i Democratici di Svezia (Sd) e un esempio della contiguità tra la destra e l’estrema destra. Nel settembre 2018 Charlie Weimers, allora capo di gabinetto di Lars Adaktusson, leader del partito dei Democratici cristiani (Kd) svedesi al parlamento europeo, annunciò il suo ingresso nel partito di estrema destra appena tre giorni prima delle elezioni legislative. All’epoca l’Sd, formazione di matrice neonazista, era ancora considerato un partito inavvicinabile dalla destra tradizionale. In seguito le cose sono cambiate e il Partito moderato ha concluso un accordo di governo con l’Sd nell’ottobre 2022. “Capisco che la gente sia delusa, ma non ho altra scelta: devo seguire la mia coscienza”, si giustificò all’epoca Weimers, osservando che i Democratici di Svezia stavano conducendo “la politica migratoria più responsabile possibile” ed erano gli unici a “combattere il multiculturalismo che ha permesso la diffusione dell’islamismo”.
La defezione di Weimars, che prima di militare in Kd era stato nei Moderati, infastidì senz’altro i Democratici cristiani, ma di certo non li sorprese. Già da tempo, infatti, Weimars era considerato uno dei dirigenti più conservatori del partito: una volta disse chiaramente che l’estrema destra non aveva necessariamente torto su tutto.
Eletto al parlamento europeo nel 2019 con l’Sd, cinque anni dopo Weimers si ritrova capolista. Durante il congresso dei Democratici di Svezia del novembre 2023 ha denunciato la “burocrazia di Bruxelles” e il “trasferimento di poteri” dagli stati all’Unione. “Come Frankenstein, i federalisti europei vogliono creare un organismo perfetto, ma stanno dando vita a un mostro”, ripete con insistenza, assicurando anche che chiederà l’uscita di Stoccolma dall’Unione se nel consiglio europeo dovesse essere cancellato il diritto di veto. La sua campagna elettorale è incentrata sulla lotta all’immigrazione e all’“islamizzazione” dell’Europa, costantemente denunciata dal suo partito, da sempre sostenitore della teoria della “grande sostituzione etnica”. Vicepresidente del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), Weimers ha fatto sapere di essere contrario alla fusione con quello di Identità e democrazia (Id), considerato troppo ambiguo sul sostegno all’Ucraina. E minaccia anche di lasciare l’Ecr se Fidesz, il partito nazionalista e filorusso del premier ungherese Viktor Orbán, dovesse entrare a farne parte.–Anne-Françoise Hivert
Sebastiaan Stöteler 40 anni, Paesi Bassi, consigliere comunale del Partito per la libertà (Pvv)
“Restituire importanza ai Paesi Bassi a scapito di Bruxelles”: è questo il compito che Geert Wilders, leader del Partito per la libertà (Pvv), ha dato ai suoi candidati alle elezioni europee e in particolare al capolista, Sebastiaan Stöteler. Ufficiale giudiziario di professione, Stöteler ha aderito al partito di Wilders nel 2016. Consigliere comunale ad Almelo e provinciale nella zona di Overijssel, nell’est del paese, non è una faccia conosciuta nella politica olandese, ma potrebbe sfruttare la recente ondata di popolarità del Pvv, vincitore delle elezioni legislative del dicembre 2023.
Il Pvv, che non ha eurodeputati (l’unico eletto nel 2019, Marcel de Graaff, è passato al Forum per la democrazia di Thierry Baudet, rivale di Wilders nell’estrema destra olandese), stavolta spera di farne eleggere più d’uno.
Il programma della lista di Stöteler si può riassumere in pochi slogan: “Basta sogni eurofili”, “Proteggere la sovranità”, “Ridare ai Paesi Bassi un ruolo di primo piano” e “Cambiare l’Europa dall’interno”. Il partito contesta anche le regole del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo e si oppone all’adozione del principio della maggioranza qualificata nel processo decisionale. Il tutto “in collaborazione con quelli che condividono le nostre idee”, cioè le forze del gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte anche il francese Rassemblement national (e l’italiana
Lega).
C’è però da sottolineare che l’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione non è più nel programma del Pvv, anche se solo pochi mesi fa Wilders aveva cavalcato il tema durante la campagna elettorale per le legislative. Oggi il suo partito ritiene che una “stretta cooperazione economica” con l’Europa sia nell’interesse del paese. Questo netto cambio di rotta è stato conseguenza dei lunghi negoziati per la formazione di una coalizione di governo. Anche la sospensione degli aiuti all’Ucraina non fa più parte del programma della formazione populista e xenofoba creata nel 2006 da Wilders.
Ammiratore dei regimi autoritari e sospettato di simpatie verso il Cremlino, il leader populista non si oppone più al sostegno politico e militare a Kiev. Eppure qualche tempo fa aveva criticato la decisione del primo ministro Rutte d’inviare aiuti all’Ucraina per un miliardo di dollari. È troppo il denaro olandese che “finisce all’estero”, aveva affermato.–Jean-Pierre Stroobants
Jorge Buxadé 48 anni, Spagna, eurodeputato di Vox
Cattolico in ottimi rapporti con l’Opus Dei, nazionalista e nostalgico della Spagna centralista, Jorge Buxadé è considerato uno dei principali ideologi del partito di estrema destra Vox. Deputato europeo dal 2019 (nel gruppo Ecr), è entrato in Vox nel 2015, un anno dopo la sua fondazione. Con il tempo è riuscito a far fuori i dirigenti dell’ala liberista e si è imposto come il numero due del partito, dopo il leader Santiago Abascal.
Nato a Barcellona, avvocato ed ex professore di diritto, Buxadé ha militato nel Partito popolare dal 2004 al 2014: l’unica militanza di cui “si pente”, ha confessato al quotidiano El Mundo. All’ex capo di governo popolare Mariano Rajoy rimprovera di non essere stato abbastanza intransigente con gli indipendentisti catalani.
Quello di cui invece non si rammarica sono i suoi “amori” di gioventù: alle elezioni catalane del 1995, “giovane, entusiasta e mosso da ideali patriottici”, si candidò con la formazione d’ispirazione fascista Falange española de las Jons, erede del movimento fondato nel 1934 da José Antonio Primo de Rivera e poi diventato il partito unico del regime franchista. Rimasto un grande ammiratore di De Rivera, nel 2012 lo definì “uno spirito superiore”.
Sposato e padre di quattro figli, Buxadé ha presieduto il forum delle famiglie catalane, un’organizzazione nata nel 2007 che si oppone al diritto all’aborto e al matrimonio paritario, ma anche all’insegnamento obbligatorio in lingua catalana nelle scuole. Convinto avversario dell’indipendentismo catalano, nel 2009 fu scelto dal governo di Mariano Rajoy per scrivere il ricorso contro il primo referendum indipendentista, puramente simbolico, convocato nel comune di Arenys de Munt. Il movimento nazionalista catalano rimane la sua bestia nera, ma si scaglia anche contro il green deal europeo, la “diabolica” Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e soprattutto l’immigrazione. In Spagna Buxadé si presenta con orgoglio come l’eurodeputato che ha ideato i nuovi metodi di selezione dei migranti adottati nel Patto sulla migrazione e l’asilo. Tra i suoi nemici giurati ci sono anche il cosiddetto femminismo radicale, le teorie di genere e la memoria storica, che in Spagna vuol dire essenzialmente fare giustizia per i crimini compiuti dal franchismo. Buxadé si presenta per la seconda volta come capolista alle europee. Nel 2019 Vox aveva ottenuto il 6,3 per cento; secondo i sondaggi oggi è intorno al 10 per cento.–Sandrine Morel
Andrej Danko 49 anni, Slovacchia, leader del partito nazionale slovacco (Sns)
Andrej Danko è uno dei capilista che si presentano alle europee sapendo che non andranno a Strasburgo. Il leader del Partito nazionalista slovacco (Sns) è troppo impegnato a Bratislava, dove occupa dall’ottobre 2023 la vicepresidenza del parlamento.
Nato nel 1990, l’Sns è il più solido dei partiti slovacchi di estrema destra; sostiene un programma fortemente euroscettico, anche se non chiede l’uscita dall’Unione europea e dalla Nato. Oltre che per le sue posizioni molto conservatrici su diritti lgbt, ambiente e immigrazione, Danko è noto da anni soprattutto per le sue simpatie filorusse. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, nel febbraio 2022, accusa l’occidente di essere il vero responsabile del conflitto. “La Russia non ha aggredito nessuno, si limita a difendere i suoi interessi”, ha detto a marzo, dichiarandosi a favore di una partizione dell’Ucraina. Si è sistematicamente opposto alle sanzioni europee contro Mosca e alla consegna di armi a Kiev, e non ha mai criticato Vladimir Putin.
Nonostante questo, a febbraio Danko è riuscito a far entrare l’Sns nel gruppo Identità e democrazia, il cui partito principale è il Rassemblement national. I bulgari della formazione filorussa Rinascita, ammessi nel gruppo insieme all’Sns, sono stati in seguito “esclusi”, con la massima discrezione, a causa delle pressioni di Marine Le Pen. Danko, invece, è riuscito a non farsi cacciare, nonostante gli sforzi che il Rassemblement national sta facendo per prendere le distanze da Mosca.–Jean-Baptiste Chastand
◆Le elezioni europee si svolgono tra il 6 e il 9 giugno 2024 nei 27 paesi che fanno parte dell’Unione. Più di 370 milioni di elettori sono chiamati a eleggere i deputati del parlamento, che si riunisce a Strasburgo, in Francia, e a Bruxelles, in Belgio. Quest’anno il numero degli eurodeputati è stato aumentato da 705 a 720 per assecondare i cambiamenti demografici negli stati dell’Unione. Dopo il voto il parlamento dovrà approvare o respingere il candidato alla presidenza della Commissione europea designato dal Consiglio europeo. La presidente uscente della Commissione è la tedesca Ursula von der Leyen, eletta con i voti di una grande coalizione composta da liberali, popolari e socialisti. Reuters
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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati